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Perché agli Usa va bene mantenere la tregua nella guerra commerciale con la Cina

Che cosa sta succedendo fra Usa e Cina

“Se non è rotto, non aggiustarlo”. Che sarebbe l’equivalente di “if it’s not broken, don’t fix it”. Un’espressione che si presta benissimo, dal lato americano, all’attuale situazione nella guerra dei dazi tra Stati Uniti e Cina. E non a caso è stata usata dal segretario al Tesoro statunitense Scott Bessent per sottolineare come Washington sia soddisfatta dell’attuale tariffa imposta sulle merci di Pechino. 

LO STATUS QUO SODDISFACENTE

“La Cina è la voce di entrate più importante per quanto riguarda le entrate tariffarie”, ha dichiarato Bessent su Fox News, evidenziando come “al momento lo status quo funzioni piuttosto bene” per gli Usa. Il segretario al Tesoro ha comunque aperto alla possibilità di avere nuovi scambi con Pechino per raggiungere un’intesa più duratura dopo che la scorsa settimana il presidente Donald Trump ha prorogato la sospensione dell’aumento dei dazi sui prodotti cinesi per altri 90 giorni. 

I dazi rimarranno gli stessi fino a novembre, dopo che i due paesi hanno interrotto la girandola di aumenti tariffari, arrivati fino al 145%, e allentando le restrizioni all’esportazione di terre rare e di alcune tecnologie specifiche. Le tariffe sono quindi del 30% sui prodotti cinesi in direzione Stati Uniti e del 10% sui prodotti statunitensi in direzione Cina. “Abbiamo avuto ottimi colloqui con la Cina. Immagino che li rivedremo prima di novembre”, ha sostenuto Bessent.

I SEGNALI DEGLI USA

Secondo Bloomberg, le affermazioni del funzionario americano “indicano che è ancora in atto un allentamento delle tensioni tra le due parti, il che potrebbe creare un’opportunità per il presidente Donald Trump di incontrare il leader cinese Xi Jinping”. E che quindi “l’amministrazione Trump sta cercando di mantenere la calma con il suo rivale economico prima che la tregua commerciale scada a novembre”. 

GLI EFFETTI DELLA TREGUA E DELLO SCONTRO CON LA CINA

Tregua o non tregua, comunque oggi ci sono effetti tangibili dallo scontro con la Cina. E per l’amministrazione Trump sono sia positivi sia negativi. Il flusso costante di denaro che oggi gonfia le casse americane, derivante dalle tariffe, contribuirà “ad attenuare – secondo S&P Global Ratings – il colpo alla salute finanziaria degli Stati Uniti causato dai tagli fiscali del presidente”. 

Ma ci sono anche i risvolti negativi. Tanti. Sia per le aziende, per interi comparti e soprattutto per la popolazione americana. L’ultimo caso è ricordato da Bloomberg, che menziona la lettera spedita ieri da Caleb Ragland, presidente dell’American Soybean Association, a Donald Trump, in cui avverte l’inquilino della Casa Bianca dei disastri per il settore della soia. Con i coltivatori americani che sono sull’orlo di “un precipizio commerciale e finanziario”, tanto da non poter sopravvivere a uno scontro prolungato con la Cina. Rientra in questo contesto l’auspicio di Trump, della settimana scorsa, affinché Pechino acquisti nuovamente carichi di soia dagli Usa. Cosa ancora non avvenuta. 

LA CINA, LA RUSSIA E IL PETROLIO

Da Washington è arrivato poi un timido avvertimento indirizzato a Pechino riguardo il petrolio russo. Gli Usa vorrebbero che la Cina smettesse di comprarlo da Mosca, in modo da togliere al Cremlino un’altra entrata economica con cui continua a finanziare la guerra contro l’Ucraina. Ma venerdì scorso, come sottolineato da Reuters, è stato lo stesso Trump ad ammettere che non esistono piani imminenti per imporre delle tariffe di ritorsione contro la Cina per questo motivo, come invece è stato già annunciato per l’India. 

Sul tema “dei dazi secondari” Bessent ha spiegato il motivo, almeno quello ufficioso, per cui a essere nel mirino per il momento è solo Nuova Delhi: la Cina già commerciava con la Russia prima dell’invasione dell’Ucraina del 2022. L’India invece ha aumentato i suoi acquisti di greggio da Mosca dopo l’inizio della guerra. Tanto basta. Per adesso a Washington non conviene rompere lo status quo.

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