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Pensioni

Pensioni, ecco gli effetti delle riforme sui conti pubblici

Che cosa emerge dall'ultimo rapporto della Ragioneria generale di stato sulle tendenze di medio-lungo periodo del sistema pensionistico. L'approfondimento di Giuliano Cazzola

Nel Rapporto (n. 25) della RGS Le tendenze di medio-lungo periodo del sistema pensionistico e socio-sanitario 2024 la questione cruciale della evoluzione della spesa pensionistica viene affrontata prendendo le mosse dalle previsioni demografiche e dagli andamenti del mercato del lavoro, una connessione sempre più interdipendente. Come già osservato in esercizi precedenti, le previsioni Istat 2022 confermano già nel medio termine uno scenario demografico di crisi. Difatti, sulla base del complesso degli scenari prodotti dall’Istat, la dinamica della popolazione risulta in calo rispetto al dato del 2024 lungo tutto l’orizzonte di previsione, all’interno dell’intervallo di confidenza del 90 per cento. Nello scenario mediano, la popolazione residente si riduce da 59 mln al 1° gennaio 2024 a 58,2 mln nel 2030, 54,5 mln nel 2050 e 48,1 mln di soggetti nel 2070.

Complessivamente, i parametri demografici dello scenario nazionale base, aggiornati con la nuova previsione della popolazione Istat, risultano così specificati:

  1. il tasso di fecondità crescerà leggermente dall’1,24 del 2022 all’1,44 del 2070, con una progressione pressoché lineare;
  2. la speranza di vita al 2070 raggiungerà 85,8 anni per gli uomini e 89,2 anni per le donne, con un incremento, rispettivamente, di 5,2 e 4,4 anni rispetto al 2022;
  3. il flusso migratorio netto si attestarà su un livello medio annuo di circa 168,4 mila unità nel periodo 2024-2027, presentando un profilo nettamente decrescente fino al 2030 e sostanzialmente stabile nel periodo successivo.

Alla fine del periodo di previsione il tasso di disoccupazione per gli individui nella fascia d’età 15-64 convergerà al 6 per cento, coerentemente con i precedenti round di previsione. Alla stessa data e nella stessa fascia d’età, il tasso di attività si attesterà al 71,4 per cento, con un incremento di 5,9 punti percentuali rispetto al livello del 2022, mentre il tasso di occupazione salirà al 67,2 per cento mostrando una crescita di 7 punti percentuali rispetto al 2022.

In linea con i precedenti esercizi di simulazione, i tassi di crescita della produttività per occupato presentano un profilo temporale crescente che converge gradualmente a un valore dell’1,5 per cento nel 2043, per poi flettere lievemente e stabilizzarsi a un tasso medio dell’1,3 per cento nell’ultimo ventennio di previsione.

Quanto all’incidenza della spesa pensionistica sul PIL, dopo la crescita nel triennio 2008-2010, imputabile esclusivamente alla fase acuta della recessione, il rapporto risente negativamente dell’ulteriore fase di contrazione degli anni successivi con effetti che si propagano per tutto il quadriennio 2012-2015. A seguito della doppia recessione, la spesa pensionistica/PIL si attesta negli anni 2013-2014 su un valore più elevato di circa 2,5 punti percentuali rispetto al livello pre-crisi del 2007, passando dal 13,3 per cento al 15,8 per cento. A partire dal 2015, in presenza di una crescita economica che torna ad essere leggermente positiva, la spesa pensionistica in rapporto al PIL flette gradualmente portandosi al 15,4 per cento nel 2016. Tale tendenza, che sconta anche l’aumento dei requisiti di pensionamento, prosegue fino a raggiungere un minimo relativo del 15,2 per cento nel biennio 2017-2018.

A partire dal 2019 e fino al 2022, il rapporto tra spesa pensionistica e PIL torna ad aumentare con un picco pari al 16,9 per cento del PIL nel 2020, per poi ripiegare su un livello pari al 15,1 per cento nel 2022. La spesa in rapporto al PIL cresce significativamente a causa della forte contrazione dei livelli di prodotto dovuti agli effetti della fase iniziale e più acuta dell’emergenza sanitaria (2020), recuperati nel biennio 2021-202213. L’andamento è condizionato, inoltre, dall’applicazione delle misure in ambito previdenziale contenute nel D.L 4/2019 convertito dalla L. 26/2019 (e successive proroghe), le quali, favorendo il pensionamento anticipato, determinano un sostanziale incremento del numero di pensioni in rapporto al numero di occupati.

Nel biennio 2023-2024, tenuto anche conto dell’elevato livello dell’indicizzazione (imputabile al significativo incremento del tasso di inflazione registrato a partire dalla fine del 2021 fino al 2023), la spesa in rapporto al PIL aumenta portandosi, alla fine del biennio, al 15,6 per cento, livello che verrà sostanzialmente mantenuto fino al 2028.

Di seguito, il rapporto spesa/PIL – secondo la RGS – aumenterà  velocemente fino a raggiungere il picco relativo del 17 per cento nel 2040. Nella parte centrale del periodo di previsione, si assiste all’incremento del rapporto fra numero di pensioni e numero di occupati indotto dalla transizione demografica, solo in parte compensato dall’innalzamento dei requisiti minimi di accesso al pensionamento. Tale incremento sopravanza l’effetto di contenimento degli importi pensionistici esercitato dalla graduale applicazione del sistema di calcolo contributivo sull’intera vita lavorativa.

Dopo un triennio di sostanziale stabilità, a partire dal 2044 il rapporto tra spesa pensionistica e PIL diminuisce prima gradualmente e poi rapidamente portandosi al 16,0 per cento nel 2050 e al 13,9 per cento nel 2070. La rapida riduzione del rapporto fra spesa pensionistica e PIL è determinata dall’applicazione generalizzata del calcolo contributivo che si accompagna alla stabilizzazione, e successiva inversione di tendenza, del rapporto fra numero di pensioni e numero di occupati. Tale andamento si spiega, da un lato, con la progressiva uscita delle generazioni del baby boom e, dall’altro, con l’entrata a pieno regime del sistema contributivo e con l’operare dei meccanismi di stabilizzazione previsti dal sistema pensionistico italiano, espressamente disegnati per garantire la sostenibilità finanziaria del sistema e l’adeguatezza delle prestazioni, i quali prevedono l’adeguamento automatico dei requisiti minimi di pensionamento e dei coefficienti di trasformazione in funzione della speranza di vita.

Quanto agli effetti finanziari del complessivo ciclo di riforme (e controriforme) pensionistiche adottate in Italia nell’ultimo ventennio la RGS fa notare come l’insieme degli interventi di riforma approvati a partire dal 2004 abbiano generato una riduzione dell’incidenza della spesa pensionistica in rapporto al PIL pari a oltre 60 punti percentuali cumulati al 2060. Di questi, circa un terzo è dovuto agli interventi previsti con la riforma del 2011 (la cosiddetta Riforma Fornero, contenuta nell’art. 24 del D.L. 201/2011, convertito in L. 214/2011). E pensare che c’era qualcuno che la voleva abolire; ma è riuscito solo ad azzopparla, perché dall’ 1 gennaio dell’anno prossimo, le riforma del 2011 riprenderà il suo cammino per quanto riguarda la questione più importante sul piano della sostenibilità: come già ricordato l’adeguamento automatico dei requisiti minimi di pensionamento e dei coefficienti di trasformazione in funzione della speranza di vita.

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