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Pensioni

Pensioni, ecco i veri effetti della quota 100

L'analisi dell'editorialista Giuliano Cazzola

È come inventare l’acqua calda o scoprire che 2+2 fa inesorabilmente 4. Coloro che si avvarranno di quota 100, almeno nel settore privato (il primo a venire allo scoperto nella nuova scansione delle finestre), saranno in grande prevalenza maschi e residenti al Nord. Così è sempre stato e sempre sarà, nel caso dei trattamenti anticipati.

Perché a determinare questa situazione non è il destino cinico e baro, ma la struttura del mercato del lavoro e prima ancora le caratteristiche dello sviluppo economico del Paese. Si verifica pertanto un assetto del pensionamento in cui le lavoratrici sono praticamente ‘’costrette’’ ad adattarsi al pensionamento di vecchiaia (per maturare il quale sono sufficienti venti anni di anzianità di servizio) all’età prevista (ora pari a 67 anni), mentre i lavoratori – almeno nelle generazioni del baby boom e della società industriale – sono in grado di far valere lunghi, stabili e continuativi periodi di lavoro (nel 2018 occorrevano 42 anni e 10 mesi, un requisito congelato dal decreto del governo giallo-verde ) per usufruire del pensionamento anticipato, di fatto, ad un’età, come vedremo più avanti, mediamente intorno ai 60 anni (anche se in questa fattispecie non è richiesto un requisito anagrafico).

Di seguito si riportano i dati di flusso (la rilevazione è del 2 gennaio u.s.) riguardanti il genere e relativi alle due tipologie pensionistiche del 2017 e 2018, per quanto riguarda il Fondo pensioni lavoratori dipendenti (FPLD) presso l’Inps, l’architrave del sistema obbligatorio.

Le riforme hanno sicuramente ridotto il numero delle pensioni ed elevata l’età media alla decorrenza, anche per la stessa pensione di anzianità (nel 2010 l’età media alla decorrenza era di 58-59 anni). Ma quota 100 implementerà i numeri attuali. Tuttavia, è evidente che non risponde a verità quanto affermano i critici della riforma Fornero, con l’appoggio di quelle ‘’fumerie di oppio’’ in cui si sono riconvertiti i talk show televisivi. E’ solo una fake news raccontare che, dopo le regole introdotte nel 2011, i lavoratori non possano andare in quiescenza se non da ‘’grandi vecchi’’. L’asino casca quando si va a vedere l’età media alla decorrenza della pensione di vecchiaia e di quella di anzianità.

Nel 2017 si sono riscontrati i dati seguenti:

  • vecchiaia: maschi 66,6 anni, femmine 64,9 anni; totale 65,8 anni
  • anzianità: maschi 61,1 anni, femmine 59,9 anni; totale 60,8 anni

Nel 2018:

  • vecchiaia: maschi 66,5 anni, femmine 65,9; totale 66,3 anni
  • anzianità: maschi 61 anni, femmine 60,1 anni; totale 60,7 anni

Chiarito quanto si riferisce a ciò che chiamano il tasso di mascolinità e all’età media alla decorrenza delle pensioni, passiamo ora ad esaminare la loro ripartizione territoriale, come riassunta nella tabella seguente. Nel 2017 su più di 96mila trattamenti anticipati 64mila sono stati maturati nelle regioni settentrionali. Se si aggiunge il Centro si arriva ad 80mila e oltre. Gli stessi valori si riscontrano anche nel 2018 con 61,5mila pensioni su 89mila (a cui si possono aggiungere 15mila delle regioni centrali). Se si osservano invece le statistiche dell’invalidità e dei superstiti, il Sud e le Isole detengono una solida maggioranza relativa. Volendo restare rigorosamente al di sopra dell’Appennino sono state più di 126mila le nuove pensioni anticipate erogate negli ultimi due anni nel Fpld.

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