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Pensioni

Pensioni d’oro, come funziona e cosa penso del contributo di solidarietà progettato dalla Lega

Il commento dell'editorialista Giuliano Cazzola, esperto di welfare, pensioni e dintorni, blogger di Start Magazine

Sarà perché oltre ad essere giallo come il pus è verde come l’erba, in materia di pensioni questo governo quasi ogni giorno fa sbocciare un fiore che – nell’universo della botanica – appartiene ad una specie che spande fetore anziché profumo.

Per mettere una pezza all’infortunio occorso col progetto di legge a firma dei capigruppo D’Uva e Molinari, la Lega ha rimesso in campo il Piano (uno dei tanti) di Alberto Brambilla.

La pietra d’angolo della proposta non fa riferimento alle combinazioni di ricalcolo formulate dalla fervida fantasia degli apprendisti stregoni, ma ad una nuova tipologia di contributo di solidarietà, in cui sarebbero coinvolti i trattamenti in essere a partire da un limite molto più basso dei canonici 4mila euro mensili netti (si parla di 2mila-2,5mila euro) mediante un’aliquota dapprima modesta (s’ipotizza lo 0,35%) poi crescente con criteri di progressività, fino al 15%.

Le aliquote si applicherebbero per fasce dell’importo della pensione, praticamente in senso inverso all’applicazione della perequazione automatica. Tale soluzione – soprattutto se relativa alle quote liquidate col calcolo retributivo – sarebbe non solo più equa rispetto all’accanimento terapeutico nei confronti delle pensioni c.d. d’oro, ma soprattutto produrrebbe almeno il doppio dei risparmi previsti dal pdl D’Uva-Molinari.

Come è evidente, questa considerazione si accontenta di un giudizio di carattere tecnico, perché, sul piano politico, resta da dimostrare che l’operazione anti pensioni dorate – di contenuto pauperista-populista – sia giustificata da ragioni da ragioni che non siano meramente vendicative.

Non si comprende perché i pensionati che – come tutti i contribuenti – sono sottoposti (almeno fino a quando non ci sarà la dual tax) ad un sistema di tassazione progressiva sul complesso del loro reddito, dovrebbero essere taglieggiati a parte, con i medesimi criteri, sul trattamento di quiescenza.

Poi ci sarebbe da fare i conti con la Consulta che si è pronunciata recentemente contro lo snaturamento del carattere di straordinarietà e di temporaneità che condiziona la legittimità dei contributi di solidarietà.

Sono tuttavia convinto che un progetto siffatto potrebbe anche dribblare la sanzione costituzionale se le risorse derivanti dall’operazione fossero reinvestite all’interno del sistema pensionistico a beneficio delle pensioni più basse (anche i giudici delle leggi sentono l’aria che tira).

Rimane, però, un aspetto difficilmente superabile a meno di una svolta radicale nella giurisprudenza della Corte: il contributo non potrebbe essere permanente, ma limitato nel tempo. Questi nuovi governanti – la cosa è evidente – girano intorno al problema come dei poveri gattini ciechi: per loro la linea di condotta non è rettilinea; sono i primi a rinunciare agli obiettivi che si sono dati e ai criteri che hanno dichiarato di voler adottare.

Mentre siamo in attesa di vedere come finirà la storia delle ‘’pensioni d’oro’’, un quotidiano ha raccontato di un’altra idea che frulla per la mente degli esperti della Lega: la deportazione (garantiscono che sia volontaria) dei pensionati di origine meridionale (trasferitisi per lavoro al Nord dove hanno maturato il diritto a pensione) nel paesello natio per almeno un paio di anni, allo scopo di trasferire reddito sonante e garantito nelle aree più depresse del Paese (ovviamente sarebbero graditi anche i pensionati di altre nazionalità). In cambio questi soggetti godrebbero di agevolazioni fiscali.

Quando all’università preparavo l’esame di economia ricordo che si parlava molto di rimesse degli emigrati come parte di reddito prodotto in un altro Paese che andava ad aggiungersi a quello del Paese di origine. Ma si diceva anche che questi flussi erano destinati ad esaurirsi nel tempo quando si affievolivano i legami affettivi originari. La Lega intende smentire questa tesi e rinfocolare – a suon di bonus fiscali – il ritorno degli immigrati del boom economico. Basterebbe consultare l’elenco telefonico di Milano per accorgersi che i Padula, i La Padula, gli Esposito, i Capone sono molti di più dei Brambilla.

Tutto ciò premesso, non pare proprio che la coalizione giallo-verde abbia una visione prospettica del Sud particolarmente significativa: invece del lavoro ci sarebbe il reddito di cittadinanza che in seguito diventerebbe pensione di cittadinanza; in più tornerebbero gli zii non dall’America (come si sperava una volta) ma più prosaicamente da Torino, da Milano o da Genova (quello che era chiamato il ‘’triangolo industriale’’) a spendere in loco le loro pensioni di anzianità. Certo che così è abbastanza facile capire come si vincono le elezioni. Che bisogno ci sarebbe di lavorare?

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