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Sanità

Patrimonio sanitario pubblico: le regioni fanno fatica a spendere i fondi stanziati. Report

Patrimonio sanitario pubblico: l'audizione parlamentare della Corte dei conti in materia di ristrutturazione immobiliare e ammodernamento tecnologico 

La pandemia da Covid 19 ha acceso i riflettori sulle condizioni di salute del sistema sanitario nazionale. Lo stress test cui è stato sottoposto il nostro paese ha evidenziato necessità di interventi in materia di ristrutturazione edilizia e di ammodernamento tecnologico del patrimonio sanitario pubblico, oltre alla realizzazione di residenze per anziani e soggetti non autosufficienti, interventi, peraltro, avviati già più di 30 anni fa. Il rinnovamento delle strutture sanitarie è uno dei capitoli del PNRRhttps://www.startmag.it/economia/ecco-come-la-corte-dei-conti-si-spacca-sul-pnrr/ e, difatti, su tali temi è intervenuta la Corte dei conti nel corso dell’”Audizione nell’ambito dell’indagine conoscitiva sulla ristrutturazione edilizia e l’ammodernamento tecnologico del patrimonio sanitario pubblico nel quadro della missione 6 del PNRR”.

I RITARDI DELLE REGIONI

La Corte, nel corso della sua audizione, ha sottolineato che non tutte le regioni hanno elaborato un attento inventario delle strutture e delle attrezzature esistenti in modo da definire “una mappatura che alimenti piani di intervento coerenti con le necessità”. La Corte rintraccia le ragioni di queste mancanze nelle carenze delle “capacità tecniche delle proprie strutture”, le quali hanno causato ritardi “nella gestione degli accordi di programma”.

I magistrati contabili elencano le ragioni che chiedono una programmazione efficiente degli interventi per migliorare l’assistenza, tra questi:

  • ridurre i costi di manutenzione;
  • rispondere adeguatamente alla spinta delle politiche ambientali ed energetiche;
  • calibrare gli interventi sulle necessità di potenziamento dell’assistenza territoriale;
  • superare criticità connesse alla vetustà del patrimonio;
  • economizzare sui costi sopportati per gli affitti dei locali utilizzati;
  • mettere in sicurezza le strutture dai rischi sismici.

I NUMERI DEL PATRIMONIO SANITARIO PUBBLICO

Il patrimonio edilizio delle Aziende del SSN, come illustrano i dati dell’audizione, è composto da 4.058 strutture per una superficie complessiva di oltre 17 milioni di metri quadri. Il taglio medio delle unità immobiliari destinato ad attività assistenziale è pari a 4.240 mq. Tale patrimonio non è uniforme ma presenta numerose differenze territoriali: le regioni sia del Nord-ovest che del Nord-est presentano le dimensioni maggiori (fatta eccezione della Liguria). “Sono la Lombardia (8.879 mq), il Piemonte (8.469 mq) e, anche se in misura minore, l’Emilia- Romagna (6.400 mq) le regioni che fanno registrare i valori più elevati – si legge nell’audizione -; rilevanti sono anche le dimensioni delle strutture di regioni più piccole (Molise, Friuli e Trentino-Alto Adige)”.

LE AZIENDE SANITARIE HANNO UTILIZZATO RISORSE CORRENTI PER INVESTIMENTI

Alcuni aspetti, più di altri, attirano l’attenzione della Corte. Negli ultimi anni numerose aziende sanitarie hanno utilizzato risorse proprie per rispondere ai fabbisogni di investimenti e attrezzature. “Ciò si è tradotto nell’utilizzo di risorse di parte corrente stornate per essere destinate ad investimenti – si legge nella relazione della Corte -. Una soluzione che, considerando il crescere delle esigenze per la copertura dei bisogni di salute a fronte di risorse che tendono a ritornare su profili più contenuti, quali quelli precedenti la pandemia, rischia di incidere sulla qualità dei servizi”.

I FONDI RISERVATI PER L’EMERGENZA DA COVID 19

La Corte, inoltre, evidenzia come siano emerse difficoltà anche nella realizzazione di progetti associati a particolari emergenze, come è successo nel corso della pandemia da Covid 19.  Per il potenziamento della rete ospedaliera il decreto Rilancio (d.l. 34/2020) ha autorizzato “una spesa complessiva di 1,5 miliardi, di cui 1.413 milioni destinati alla realizzazione dei posti letto di terapia intensiva e semintensiva, per le apparecchiature elettromedicali e per i mezzi di soccorso sanitari e 54,4 milioni per la realizzazione di strutture movimentabili di terapia intensiva”. Il finanziamento è utilizzabile per:

  • interventi su nuove costruzioni o già esistenti;
  • l’acquisizione di attrezzature elettromedicali, diretti ad aumentare la dotazione strutturale sul territorio nazionale di almeno 3.500 posti letto di terapia intensiva, portando tutte le regioni ad una dotazione di 0,14 posti letto per mille abitanti;
  • riqualificare 4.225 posti letto di area semi-intensiva, con relativa dotazione impiantistica idonea a supportare le apparecchiature di ausilio alla ventilazione, mediante adeguamento e ristrutturazione di unità di area medica, prevedendo che tali postazioni siano fruibili sia in regime ordinario, sia in regime di trattamento infettivologico ad alta intensità di cure.

LE DIFFICOLTÀ NELLA REALIZZAZIONE DI PROGETTI ASSOCIATI AL COVID 19

Alla fine di marzo 2023 sono arrivate solo “234 richieste di erogazione fondi, di cui 31 per il rimborso delle spese sostenute nel corso della prima emergenza sanitaria e, comunque, attinenti ai Piani regionali di riorganizzazione della rete ospedaliera, 203 per il trasferimento dei fondi necessari all’avvio ed all’avanzamento degli interventi di potenziamento della rete ospedaliera”. Alle regioni sono stati trasferiti 365,2 milioni a fronte dei 422 milioni richiesti. Inoltre, in “tre anni è stato pagato solo il 30 per cento delle risorse e con forti differenze a livello territoriale”. E “dei 255 progetti censiti relativi a 234 soggetti attuatori, 185 hanno presentato la prima richiesta di fondi, ma solo 37 la seconda, denotando uno stato di avanzamento ancora insoddisfacente”.

I RITARDI DEI PROGETTI GIÀ SOTTOSCRITTI

I ritardi non si sono accumulati solo nell’utilizzo risorse non ancora assegnate ma nella realizzazione di progetti già sottoscritti. “Bisogna lavorare sui tempi di realizzazione dei progetti, studiando come migliorare e accelerare tutte le diverse fasi – si legge nel testo dell’audizione -. L’esame degli accordi definiti prima del 2010, a valere sulle risorse ripartite dal CIPE, presenta una situazione in certa misura preoccupante”. La Corte poi scende nel dettaglio delle cifre. “Dei 10,8 miliardi destinati agli accordi ne risultano ad oggi sottoscritti (al netto delle deroghe) per 9,2 miliardi. Si tratta di accordi che prevedevano 2.369 interventi. Ad oggi, il numero di interventi ammessi a finanziamento sono 1.962 per un importo di 8,7 miliardi – continuano i magistrati -. A distanza di oltre un decennio, su questo fronte residuano da ammettere a finanziamento oltre 500 milioni. Degli interventi ammessi poco più dell’84 per cento (in media) è oggi operativo con l’avvio in esercizio”. Tali percentuali non valgono su tutto il territorio nazionale, il tasso di operatività “scende a meno del 67 per cento nel Centro e al 74 per cento nel Mezzogiorno” e questo “a confronto di valori al di sopra del 95 per cento nel Nord”.

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