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Vi spiego la partita (politica ed economica) del Def e della manovra

L’opinione dell’economista Emanuele Canegrati su Def e dintorni Mentre il quadro post-elettorale fatica ancora a delinearsi, con i partiti politici ancora lontani dall’avere trovato un accordo che possa finalmente garantire al Paese un governo duraturo, il ciclo di bilancio prosegue inesorabile per la sua strada. La prossima scadenza prevista è quella del 10 aprile, termine…

Mentre il quadro post-elettorale fatica ancora a delinearsi, con i partiti politici ancora lontani dall’avere trovato un accordo che possa finalmente garantire al Paese un governo duraturo, il ciclo di bilancio prosegue inesorabile per la sua strada.

La prossima scadenza prevista è quella del 10 aprile, termine entro il quale il governo è tenuto, secondo la legge di contabilità, a presentare il Documento di economia e finanza (Def) alle Camere per la sua approvazione, prima di essere inviato alla Commissione Europea, che esprimerà le proprie osservazioni nel mese di maggio. In quell’occasione, Bruxelles ci dirà anche se dovremo effettuare una manovra correttiva di circa 3,5 miliardi di euro per rientrare nei parametri di deficit imposti dai trattati europei. Dal momento che i conti pubblici sono migliorati e il rapporto deficit/Pil è sceso all’1,9% dall’atteso 2,1% è molto probabile che la Commissione sia propensa a condonare la manovra.

Il primo vero problema da affrontare sarà però chi scriverà il Def. L’attuale governo è infatti dimissionario e rimane in carica per il solo disbrigo degli affari correnti. Per questo motivo, il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan aveva deciso, in un primo momento, di presentare al Parlamento soltanto il quadro tendenziale, ovvero a legislazione vigente, del documento, lasciando la compilazione del quadro programmatico, che recepisce le misure di politica economica, al prossimo esecutivo. La Commissione Europea ha fatto sapere di essere disposta ad accettare l’invio del Def formato dal solo quadro tendenziale anche dopo la scadenza prevista, riconoscendo la situazione particolare venutasi a creare con l’incombenza delle elezioni.

Nelle ultime ore, tuttavia, si è fatta strada l’ipotesi che il Tesoro possa lasciare anche la responsabilità del quadro tendenziale al prossimo esecutivo, ovvero decida di non presentare alcun documento. Intendiamoci, il quadro macroeconomico è di fatto già nel cassetto del ministro, essendo frutto di calcoli basati sugli ultimi dati macro già a disposizione della Direzione Generale del MEF che si occupa della sua stesura. Tuttavia, non presentando il documento, il ministro Padoan si libererebbe dal compito ingrato di mettere per iscritto l’aumento dell’Iva dal prossimo gennaio, previsto dalle clausole di salvaguardia nella legislazione vigente.

Proprio Il disinnesco dell’aumento delle aliquote Iva è diventato il primo rompicapo della nuova legislatura. Un aumento dell’imposta, infatti, darebbe un colpo enorme alla ripresa economica e nessun partito vuole prendersi la paternità dell’aumento. Il problema è che nessuno ha ancora capito dove reperire i circa 30 miliardi necessari per smantellare definitivamente le clausole di salvaguardia. Finora, l’unica soluzione che si è fatta strada, condivisa un po’ da tutti i partiti, è stata quella di approvare in Parlamento una risoluzione che impegni in qualche modo il governo a trovare queste coperture. Questa soluzione non è tuttavia esente da difetti, in quanto la risoluzione non ha nessuna valenza normativa e, soprattutto, non viene presa in considerazione dalla Commissione Europea, che esprime le proprie osservazioni solo sul testo e sui numeri scritti nel Def che, se presentato solo nel quadro tendenziale, prevederebbe l’aumento dell’Iva, cosa che a Bruxelles non dispiacerebbe affatto, dal momento che ha sempre sostenuto la necessità di traslare il carico fiscale dalla tassazione del lavoro a quella dei consumi. A quel punto, con un quadro tendenziale siffatto, approvato dalla Commissione, il futuro governo, per evitare l’aumento, avrebbe solo la legge di Bilancio a disposizione. Nessuno, tuttavia, può mettere la mano sul fuoco sul fatto che il prossimo ottobre, quando la manovra verrà presentata a Bruxelles, la Commissione accetterà la mossa, considerando che il quadro macroeconomico potrebbe essere meno favorevole di quello attuale. A quel punto, il governo avrebbe le mani legate e l’aumento scatterebbe.

Per questo, la soluzione più efficace, per il nuovo esecutivo, potrebbe essere quella di presentare a Bruxelles un Def comprendente anche il quadro programmatico. Per far ciò, tuttavia, occorre un governo pienamente legittimato da una alleanza politica, con un programma economico condiviso da tradurre in cifre. Il tempo per far ciò in teoria c’è ma è molto difficile che entro il prossimo mese si abbia un nuovo ministro dell’economia già nei pieni poteri di imporre la stesura del quadro programmatico.

Il tempo gioca a favore dell’opposizione, che ormai sembra delineata nel Partito Democratico e a sfavore di Lega e Movimento 5 Stelle che attualmente stanno litigando per trovare una soluzione politica condivisa, con Forza Italia in attesa degli sviluppi e che sa di poter giocare una carta che gli altri due partiti non hanno a disposizione, quella del rapporto privilegiato con l’Europa, grazie agli alleati del Partito Popolare Europeo e del presidente del parlamento europeo Antonio Tajani. Un asso che potrebbe tornare utile nella fase di interlocuzione con la Commissione quando questa dovrà decidere se e quanto calcare la mano sui conti pubblici italiani.

Emanuele Canegrati
Liechtenstein Academy Foundation e membro del Comitato Scientifico, Fondazione Magna Carta

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