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Parità Di Genere

Come va la parità di genere in Italia e nell’Ue

La legge di bilancio 2023 non promuove la parità di genere nel mondo del lavoro, invitando le donne a essere madri. L’intervento di Alessandra Servidori, docente di politiche del lavoro.

La Commissione Europea ha misurato alla fine del 2022 il risultato dell’indice di uguaglianza di genere nei paesi componenti l’Unione  e ne ha tratto conclusioni ben poco edificanti: l’uguaglianza di genere continua infatti ad essere a rischio, e  vi sono gruppi specifici i più colpiti.

LO STATO DELLA PARITÀ DI GENERE NELL’UE

Lo stato della parità di genere nell’UE, rivela che i progressi proseguono a rilento, con un aumento di appena 0,6 punti percentuali rispetto all’edizione dello scorso anno. Di conseguenza, l’attuale punteggio medio dell’UE si attesta sui 68,6 punti su 100, ossia solo 5,5 punti in più rispetto al 2010 che è l’anno in cui si è iniziata la misurazione.

L’indice sull’uguaglianza di genere 2022 si concentra per la prima volta principalmente sui dati del primo anno di pandemia 2020: i punteggi presentano forti segnali di allarme in un contesto di perdurante incertezza e turbolenze. La questione più impellente è che si registra una svolta nel punteggio di quest’anno, con diminuzioni in diversi settori per la prima volta dal 2010, in quanto i risultati mostrano che gruppi specifici di persone, che tendono a trovarsi in situazioni più vulnerabili durante i periodi di crisi, sono maggiormente a rischio dove persistono dimensioni di genere molto marcate.

IN QUALI SETTORI È DIMINUITA LA PARITÀ

La commissaria europea per l’Uguaglianza Helena Dalli all’indomani della pandemia, dell’aggressione russa nei confronti dell’Ucraina e della conseguente crisi economica, ha detto che sia le istituzioni regionali che i paesi dell’UE devono prestare attenzione alla parità di genere nelle loro misure politiche e di bilancio.

Le donne, in tutta la loro diversità, non devono rimetterci ed è fondamentale compiere progressi sulle proposte legislative per migliorare l’equilibrio di genere nei consigli di amministrazione, raggiungere la trasparenza delle retribuzioni e porre fine alla violenza contro le donne e alla violenza domestica.

L’indice sull’uguaglianza di genere ha registrato una diminuzione dei punteggi in diversi settori dei domini principali considerati nell’indice. Una diminuzione del punteggio di partecipazione al mercato del lavoro indica che è sempre più probabile che le donne trascorrano meno anni di vita nel mondo del lavoro, il che ostacola le prospettive di carriera e pensionistiche. Inoltre, nel 2020 un numero inferiore di donne rispetto agli uomini ha partecipato ad attività di istruzione formale e informale.

Poiché la COVID-19 ha creato una pressione senza precedenti sul settore sanitario, la parità di genere si è ridotta nello stato di salute e nell’accesso ai servizi sanitari. Se non fosse stato per i progressi nel dominio «potere», l’indice avrebbe registrato una diminuzione complessiva del punteggio. Gran parte di questi progressi è dovuta a una maggiore partecipazione femminile al processo decisionale economico e politico, che a sua volta è legata all’introduzione di quote stabilite per legge in un numero limitato di Stati membri dell’UE. Ciò sottolinea l’importanza dell’accordo politico raggiunto nel giugno 2022 dal Parlamento europeo e dal Consiglio dell’UE sulla direttiva volta a migliorare l’equilibrio di genere nei consigli di amministrazione delle società.

L’IMPATTO DELLA PANDEMIA

Ma l’impatto della pandemia su gruppi specifici di persone è devastante: donne e uomini di età avanzata e donne e uomini con disabilità hanno segnalato maggiori esigenze insoddisfatte di controlli medici. Inoltre, le giovani donne hanno fatto fronte a livelli di disoccupazione più elevati a causa delle ripercussioni economiche della pandemia e le donne provenienti da un contesto migratorio sono a rischio ancora più elevato.

Un’indagine online complementare incentrata sugli aspetti critici relativi al tempo dedicato all’assistenza non retribuita ha rivelato un aumento delle responsabilità di assistenza complessive durante la pandemia. Tuttavia, l’aumento non è stato distribuito in modo uniforme tra donne e uomini, aggravando le disuguaglianze di genere esistenti. Ciò vale in particolare per l’assistenza all’infanzia ad alta intensità, in cui il 40 % delle donne, rispetto al 21% degli uomini, dedica almeno quattro ore, in un normale giorno della settimana, alla cura dei bambini nella prima infanzia.

Anche il divario di genere nel lavoro domestico dispendioso in termini di tempo si è ampliato durante la pandemia: il 20% delle donne, rispetto al 12% degli uomini, svolge lavori domestici per almeno quattro ore al giorno. Anche i punteggi per paese continuano a presentare un quadro eterogeneo. L’Italia è bloccata al 2019 al 60,1%; tra i paesi con i migliori risultati figurano la Svezia, la Danimarca e i Paesi Bassi che arrivano all’84% sebbene i progressi verso la parità di genere siano in una fase di stallo in Svezia e Danimarca, mentre la Grecia, l’Ungheria e la Romania hanno più difficoltà a promuovere la parità di genere.

Un aspetto più positivo è che, dall’ultima edizione, gli aumenti più significativi dei punteggi dell’indice sono stati riscontrati in Lituania, Belgio, Croazia e nei Paesi Bassi – mentre l’indice percentuale UE è ora solo al 68,6.

LE DIFFERENZE SUL LAVORO

D’altronde per esempio, le differenze tra donne e uomini sul lavoro in Europa in paesi ad alto reddito, rilevano un profondo (ma non sorprendente) divario. Gli uomini, infatti, svolgono lavori più pagati fuori casa, mentre le donne si occupano della maggior parte dei lavori non pagati in casa e anche quando lavorano al di fuori delle mura domestiche sono pagate di meno.

Dai vari studi  emerge, ad esempio, che nel Regno Unito nel 2019 una donna in età lavorativa guadagnava il 40% in meno della sua controparte maschile. Il gap tra i generi è migliorato di 13 punti percentuali in 25 anni, grazie soprattutto al miglioramento dell’educazione femminile, ma le disuguaglianze restano profonde nei tre fattori che influiscono sui guadagni nel mercato del lavoro: occupazione, ore lavorate e paga oraria. Le tre componenti sono collegate tra loro e in tutte il gap si allarga con la formazione di una famiglia.

Condivido per esempio, a fronte di dati e non di opinioni, ricondurre le disuguaglianze nel lavoro pagato a una non equa divisione del lavoro non pagato, che rende difficile per le donne raggiungere gli stessi risultati degli uomini. A ciò si aggiungono anche preferenze e convinzioni diffuse sulla divisione dei ruoli all’interno della famiglia: due donne inglesi su cinque (e la stessa percentuale di uomini) credono che sia giusto che una donna resti a casa se ha figli in età scolare. Non è tanto lontana la stessa mentalità italiana.

IL MESSAGGIO DELLA LEGGE DI BILANCIO 2023

La legge di bilancio 2023 peraltro suona come un forte invito alle donne a fare un passo indietro rispetto al lavoro. Il messaggio è chiaro: siate madri, siate nonne, qualche misura di de-contribuzione mitigherà il rischio che impegni familiari più cogenti sulle vostre spalle non incontrino il favore delle imprese. Poiché da un lato il mese di congedo parentale, concesso alle sole madri e retribuito all’80%, di questa mini-riforma nostrana del congedo si accavalleranno di fatto con i cambiamenti entrati in vigore lo scorso agosto dal recepimento della Direttiva Europea 2019/1158, grazie alla quale ai genitori viene dato il diritto, in alternativa tra di loro, a usufruire di tre mesi di congedo parentale in più.

Il rinnovo dell’opzione donna a condizioni più favorevoli per chi ha avuto figli, e le maggiorazioni dell’assegno unico per i figli, graduate per età e numero dei figli, evidenzia che il ritiro anticipato dal lavoro viene pagato dalle donne che aderiscono all’opzione donna con un calcolo interamente contributivo anche per chi potrebbe ancora avvalersi dei vantaggi di un calcolo misto retributivo-contributivo se continuasse a lavorare.

Nel concreto, quindi, la misura ostacola la chiusura del divario pensionistico di genere che risulta tuttora superiore al 30%, scoraggia il recupero in età matura di eventuali assenze dal mercato del lavoro dovute a figli e famiglia e perpetua l’idea che i nonni sono preferibili all’asilo nido o che occuparsi degli anziani in famiglia tocchi alle donne non appena hanno finito di lavorare, se poi anche prima è meglio.

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