Quando parla il governatore di Banca d’Italia, Fabio Panetta, non ci si annoia mai. Non la manda a dire. I discorsi soporiferi del suo predecessore Ignazio Visco sono ormai dimenticati.
Ieri Panetta, intervenendo all’assemblea annuale dell’Abi, ha smontato ad uno ad uno tutti i (presunti argomenti) che la presidente della Bce, Christine Lagarde, usa disinvoltamente per non tagliare i tassi.
Non esiste un problema dell’inflazione dei servizi, strutturalmente più alta rispetto a quella dei beni e temporalmente sempre sfasata. Non esistono nemmeno timori che la crescita dei salari inneschi un rialzo dell’inflazione. Si tratta di un “inevitabile” recupero del potere d’acquisto perso in passato e, in ogni caso, i profitti aziendali offrono sufficiente spazio per non traslare sui prezzi quegli aumenti di costo.
Quindi non ci sono scuse per tagliare ancora i tassi che devono essere adeguati al calo dell’inflazione effettiva e attesa.
Sul fronte interno, il PIL del secondo trimestre dovrebbe far segnare un +0,3% congiunturale, in linea con un incremento annuo del +0,9%. Quasi tutto merito della domanda estera, mentre quella interna resta debole.
Di rilievo il fatto che questa crescita sia avvenuta in presenza di una riduzione del credito a imprese e famiglie la cui entità è paragonabile a quella delle crisi degli ultimi 15 anni.
Ciononostante, il Pil ha retto grazie ai sostegni al reddito in occasione della crisi dei prezzi energetici e della maggiore solidità di fondo di imprese, famiglie e banche. Più liquidità e più redditività hanno consentito di attutire il colpo.
Infine, Panetta manda l’ultimo “pizzino” ai colleghi di Francoforte. Quanto a lungo si potranno tollerare questi tassi se l’inflazione italiana è nettamente più bassa di quella degli altri principali Paesi?