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Welfare

Non sono cosa buona e giusta i conservatorismi nella spesa sociale

La combinazione tra una rinnovata pressione sociale e il ritorno dei vincoli di bilancio dovrebbe indurre chi governa ad affrontare a viso aperto i nodi della qualità della spesa in funzione di migliori prestazioni sociali. Il Canto Libero di Sacconi

Dalla “settimana sociale” della Cei alle iniziative della opposizione su salario minimo e servizio sanitario nazionale, si apre una stagione di confronto sulla quantità e qualità dei nostri servizi di welfare. Contemporaneamente, l’Italia sarà chiamata ad una importante correzione dei conti pubblici attraverso la legge di Bilancio. Proprio quando la usuale semplificazione della domanda politica e sociale vorrebbe una maggiore allocazione di risorse pubbliche per sanità, assistenza, istruzione, trasporti, ecc.

È invece questo il momento per discutere dei modelli organizzativi di welfare perché già all’interno del nostro multiforme Stato si riscontrano pratiche diverse secondo la regola per cui “meno si spende, meglio si spende.” Governo e maggioranza dovrebbero uscire da una posizione meramente difensiva rispetto alla accusa di “sottofinanziamento” del fondo sanitario nazionale riproponendo i piani di “rientro”, o meglio di “convergenza”, per le Regioni che hanno modelli viziati da un cattivo rapporto costi-benefici. La persistente esclusione di molti giovani dal mercato del lavoro dovrebbe far riflettere sulla efficacia dei molti fondi europei affidati alla formazione a catalogo e alle funzioni burocratiche dei centri per l’impiego. L’istruzione dovrebbe uscire dal modello di reclutamento realizzato per stabilizzazione dei “precari” a prescindere dai fabbisogni educativi. Basta considerare la fragilità delle conoscenze in matematica nelle prove Invalsi. I sistemi di gestione del trasporto pubblico locale sono condizionati da relazioni industriali centralizzate e viziose per storica responsabilità primaria di parti datoriali disinteressate a “far di conto”.

Insomma, la combinazione tra una rinnovata pressione sociale e il ritorno dei vincoli di bilancio dovrebbe indurre chi governa ad affrontare a viso aperto i nodi della qualità della spesa in funzione di migliori prestazioni sociali. Alberto Mingardi, fondatore e presidente dell’Istituto Bruno Leoni, ci ricorda sempre che i populisti si riconoscono facilmente dalla spesa pubblica che producono.

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