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Non solo Recovery Fund. Perché non va sprecato il Fondo nuove competenze

Il post di Alessandra Servidori

 

Attanagliati dalla sindrome del Recovery Fund e Mes 1-2, sfuggono importanti provvedimenti che in queste ore danno la bussola pragmatica di come investire i fondi che (forse) arrivano dalla Ue nel primo semestre del 2021.

L’Europa, e significativamente Ursula von der Leyen che ne ha la facoltà indiscussa, punta il dito accusandoci di “Non saper spendere le risorse europee”. Come non darle ragione posto che già negli anni precedenti abbiamo ampiamente dimostrato di essere in grave difetto.

Se andiamo per esempio sul sito Svimez (Associazione per lo sviluppo dell’industria del Mezzogiorno) scopriamo che dei 44,7 miliardi di euro a disposizione del nostro paese, nel periodo di bilancio Ue 2014-2020 — e il tempo scorre inesorabilmente — sono stati attivati progetti per soli 18 miliardi. Ma sono più di 595 mila programmi, che hanno una dimensione media di circa 30 mila euro.

Tranne poche eccezioni, non ci troviamo di fronte a scelte strategiche, su scala adeguata, e con un orizzonte di crescita. È venuta meno, in molti casi, la distinzione fondamentale tra risorse ordinarie e straordinarie. I fondi sono ripartiti in anticipo e diventano, nella sostanza, di proprietà esclusiva dei beneficiari, Regioni e ministeri.

Complessivamente per il ciclo di programmazione 2014-2020 l’Italia ha avuto a disposizione una importante dotazione di risorse per la politica di coesione. Tra fondi europei, cofinanziamento del fondo di rotazione e risorse aggiuntive del fondo di sviluppo e Coesione ammontavano a circa 145 miliardi di euro la dotazione da spendere in sette anni.

Le variabili che incidono sui ritardi di spesa dei fondi strutturali sono principalmente legati a quattro aspetti e responsabilità di contesto: la stabilità amministrativa (i rallentamenti — soprattutto nella fase di programmazione e pubblicazione dei bandi — sono correlati al turn-over politico ed amministrativo); la mancanza di competenze per formulare progetti e seguire la modulistica e la tempistica prevista dai bandi nonché la incapacità a dotarsi di partnership pragmatiche; la qualità della governance (le amministrazioni che già funzionano anche con le risorse ordinarie sono quelle che utilizzano più velocemente anche quelle europee); le continue innovazioni normative (le norme introdotte per arginare la corruzione hanno aggravato i procedimenti amministrativi e rallentato la spesa).

A ridosso della fine dell’anno scatta il termine ultimo per l’Italia di dimostrare che lo spreco non è ammissibile. Parliamo di due provvedimenti che ora e subito possono rappresentare uno scatto di responsabilità. Il Fondo nuove competenze deve servire per fronteggiare l’urgenza della ricerca di professionisti in grado di occupare posti di lavoro in comparti sprovvisti: medici, tecnici della salute, specialisti in sanificazione. Poi con il tempo necessario consolidare questo settore con i fondi previsti dal Reocvery Fund e Mes.

Unioncamere nel suo rapporto segnala che scendono a quasi 192mila gli ingressi previsti dalle imprese per il mese di dicembre con una flessione rispetto all’anno precedente che supera il 36%. In controtendenza (e in forte aumento), invece, la ricerca di professionisti della sanità. La disoccupazione aumenta in tutti i settori a causa delle restrizioni e le previsioni sono drammatiche. Nonostante il significativo calo degli ingressi programmati dalle imprese di tutti i settori economici, è in crescita la domanda di alcune figure professionali legate alla salute, alla gestione della sicurezza sanitaria, alla transizione digitale e alle discipline scientifiche. In particolare, cresce la domanda di medici e tecnici della salute (rispettivamente del 3,6% e 10,5%), così come delle figure professionali specializzate nelle attività di igienizzazione e pulizia (+31,5%). In crescita anche la domanda di specialisti in scienze matematiche, informatiche, chimiche, fisiche e naturali (+16%), professioni che applicano e rendono disponibili conoscenze e competenze Stem utili a fronteggiare la crisi economica, sociale e sanitaria che ha investito il Paese.

I datori di lavoro possono presentare istanza ad Anpal per accedere agli interventi del Fondo nuove competenze. I contributi erogati attraverso il Fondo remunerano ai datori di lavoro il costo del personale, comprensivo di contributi previdenziali e assistenziali, relativo alle ore di frequenza dei percorsi formativi di sviluppo delle competenze stabiliti dagli accordi collettivi stipulati. La misura si rivolge quindi ai datori di lavoro privati che stipulino, entro il 31 dicembre 2020, accordi collettivi di rimodulazione dell’orario di lavoro dei propri lavoratori, per mutate esigenze organizzative e produttive dell’impresa o per favorire percorsi di ricollocazione. La riduzione dell’orario di lavoro dovrà essere finalizzata ad appositi percorsi di sviluppo delle competenze del lavoratore.

Il fondo nuove competenze è attuato sulla base delle disposizioni del decreto interministeriale del 22 ottobre 2020 con bando operativo pubblicato dal 4 novembre. La dotazione del fondo è costituita da 730 milioni di euro, di cui 230 milioni a valere sul Programma operativo nazionale Sistemi di politiche attive per il lavoro, cofinanziato dal Fondo sociale europeo. Potrà essere incrementato con ulteriori risorse dei Programmi operativi nazionali e regionali di Fondo sociale europeo e, per le specifiche finalità, del Fondo per la formazione e il sostegno al reddito dei lavoratori e dei Fondi paritetici interprofessionali.

Si capisce dunque quale scommessa di rilancio può ora adesso essere sviluppata anche fuori dalla famosa cabina di regia che pare inghiotta tutta la capacità di programmazione dei fondi per i prossimi anni.

Ammesso che si sciolgano i problemi in casa nostra e soprattutto che riusciamo ad essere credibili in Europa. Il problema vero sono gli accordi con i sindacati, gli enti formativi (alcuni già decotti) previsti nel formulare i progetti, la scadenza che è vicinissima, l’impossibilità del singolo lavoratore ad esprimere la sua disponibilità. La norma istitutiva del Fondo nuove competenze (art. 88 del decreto legge 34, convertito in legge 128/2020 modificato dall’art. 4, del Dl n. 104, convertito in legge 226/2020) attribuisce un ruolo, nella sua governance, al ministero del Lavoro, all’Anpal, alle regioni, all’Inps, ai fondi paritetici interprofessionali e al Fondo per la formazione dei lavoratori somministrati. Il dialogo tra tutti questi soggetti deve svolgersi mediante intese, convenzioni, pareri, avvisi: sono attività burocratiche che devono esaurirsi con la fine del tragico 2020  fra 20 giorni) e devono anche partire i corsi di formazione.

Il sistema della formazione professionale è alle corde e la norma debolissima del fondo prevede il conseguimento di una qualificazione di livello EQF 3 o EQF 4. Cioè la lavoratrice e il lavoratore acquisisce le competenze corrispondenti a un attestato di operatore professionale (EQF 3) o diploma professionale (EQF4). Nulla a che vedere con EQF 5, 6, 7, 8, che corrispondono alle qualificazioni possedute dopo aver frequentato un Its o un corso di laurea tra quelli più richiesti dalle imprese, che avrebbero potuto e dovuto costituire gli obiettivi prioritari, considerato il grave difetto di professionalità soprattutto nel comparto sanità di questo livello che caratterizza il mercato del lavoro italiano e di cui abbiamo una urgenza straordinaria viste le condizioni in cui ci troviamo.

D’altronde di burocrazia e incompetenza nonché di dati incerti e contestabili sia sull’utilizzo delle risorse per il reddito di cittadinanza e non solo, stanno soffrendo sia Inps che deve elargire il Fondo e Anpal che deve monitorarne la correttezza di utilizzo. Grande sofferenza.

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