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Non solo Fed e Bce, cosa faranno le banche centrali

Tutte le prossime mosse delle banche centrali. L'analisi di Bret Barker, Head of Global Rates, TCW

 

È evidente quanto il tema dell’inflazione sia particolarmente sentito dalla Federal Reserve ed è anche per questo che abbiamo assistito al più grande aumento dei tassi degli ultimi 28 anni. Ma soprattutto, la Fed non ha a disposizione più informazioni di noi sul percorso che prenderà l’inflazione. Per questo riteniamo sia passibile di ripetere il ciclo del 1994, in cui il mercato guidava la banca centrale americana nell’aggiustamento della politica.

La scorsa settimana l’Indice dei Prezzi al Consumo (IPC) ha mostrato un’ampia resilienza tanto che le aspettative di inflazione dell’Università del Michigan sono salite ai massimi da oltre un decennio, il che ha spinto al rialzo i tassi dei Treasury front-end. La Fed sembrava accontentarsi di aumentare i tassi di 50 punti base ad ogni riunione, ma la reazione del mercato ai dati ha contribuito a forzare la sua mano, spingendola a effettuare un rialzo di 75 punti base. Concordiamo sul fatto che i rialzi di 75 punti base non saranno la norma in futuro, ma è chiaro che la Fed ha sentito il bisogno di anticipare la narrativa sull’inflazione per calmare i mercati.

La conferenza stampa del presidente della Fed, Powell, ha messo in evidenza una serie di questioni. La Fed potrebbe non sapere dove sia la neutralità, ma vuole arrivare il più rapidamente possibile a una situazione, appunto, di neutralità o, almeno, di lieve restrizione. Powell ritiene che la neutralità sia attorno al 2-2,5% e che il 3-3,5% sia una misura restrittiva.  Ricordiamo che la Fed ha un duplice mandato: massima occupazione e prezzi stabili. La Fed ritiene che il mercato del lavoro sia così solido da potersi concentrare sull’aspetto inflazionistico del suo mandato. Ci sono rischi di un inasprimento eccessivo, ma anche di un inasprimento insufficiente. Powell vuole chiaramente evitare di bloccare l’inflazione e rallentare la crescita.  Secondo le sue parole, la domanda è surriscaldata e bisogna rallentarla. Purtroppo, l’inflazione e il lavoro sono “lagging indicator”, indicatori che seguono in ritardo i movimenti. Concentrarsi sull’IPC o sul tasso di disoccupazione aumenta il rischio che la Fed aumenti i tassi più del necessario.

In prospettiva, il Dot plot, che illustra il probabile percorso della politica della Fed da parte del FOMC, mostra che il tasso dei Fed fund si avvicinerà al 3,5% quest’anno e al 3,75% il prossimo. Si tratta di un dato molto vicino alle aspettative del mercato, che indica la volontà della Fed di entrare in un territorio restrittivo. Il percorso futuro non è chiaro, data l’incertezza sull’inflazione, ma il mercato e la Fed sono ora allineati su una politica restrittiva per il resto dell’anno. Prevediamo un rallentamento della crescita e la curva dei Treasury sta lanciando un segnale d’allarme con la sua inversione, ma molto probabilmente è troppo presto per dichiarare che una recessione è imminente.

Guardando al resto del mondo, questo ciclo è molto diverso dal ciclo di inasprimento del 2018 che ha visto la Fed alzare i tassi mentre le altre banche centrali dei mercati sviluppati restavano in attesa, spingendo le banche dei mercati emergenti ad alzare i tassi. Questo ciclo ha visto una stretta monetaria su base globale con alcuni Paesi emergenti, come il Brasile, in netto anticipo rispetto alla Fed. Nelle ultime due settimane, le banche centrali globali si sono tutte riunite intorno all’idea di accelerare il ritmo della stretta. La Reserve Bank of Australia aveva segnalato che si stava preparando a un aumento già a febbraio e da allora ha aumentato i tassi di 75 punti base nelle ultime due riunioni. La BCE è stata l’ultima a cambiare idea e ora è disposta ad alzare i tassi di 50 punti base. Le azioni della Fed di ieri sono aggressive, ma si inseriscono nel contesto degli altri Paesi del G7. L’unica eccezione è la Banca del Giappone. La Bank of Japan continua a mantenere un atteggiamento di allentamento difendendo l’ancoraggio al Treasury a 10 anni. Di conseguenza, lo yen non è mai stato così debole negli ultimi 24 anni.

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