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Non servono certificazioni: la parità di genere è una questione di soldi

La certificazione di genere avrebbe dovuto dare impulso  all’occupabilità delle donne attraverso le risorse del Pnrr. Ma serve riformulare il mondo del lavoro secondo per consentire la conciliazione della vita privata e quella lavorativa. L'intervento di Alessandra Servidori

Si avvicina il 25 novembre, giornata internazionale contro la violenza sulle donne, e la contestuale legge di bilancio in discussione in Parlamento fa saltare nei vari emendamenti presentati qualsiasi logica di compatibilità.

La questione femminile, con le barbarie che sulle donne si abbattono quotidianamente, pare essere materia relegata alla sola convegnistica, invece è proprio una questione di bilanciamento delle risorse che dobbiamo programmare e nel lungo tempo.E non se ne può più di affermare che se  maggiore presenza femminile nel mercato del lavoro farebbe aumentare il Pil anche del 12% e i vantaggi economici sarebbero evidenti a partire dai modelli di leadership che – si dice – vogliamo promuovere. Ma non è la cd certificazione di genere che pareva, attraverso le risorse del PNRR ormai  peraltro esaurite – dare impulso  all’occupabilità delle donne ma a ben contare e a ben analizzare i risultati di questa operazione definita  “straordinaria” ne hanno avuto beneficiato gli enti di formazione, gli enti di certificazione, e le aziende che hanno ricevuto le risorse, ma non abbiamo avuto un contestuale aumento dell’occupazione femminile.

Infatti basta comparare i numeri e la verità è evidente, poiché la certificazione di genere è un riconoscimento per le aziende che attuano politiche e pratiche per la parità tra i sessi in ambito lavorativo, come definito dalla prassi di riferimento UNI/PdR 125:2022. Valuta sei aree principali: cultura e strategia, governance, processi HR, equità salariale, conciliazione vita-lavoro e prevenzione delle discriminazioni, per cui sono stati fatti e pagati innumerevoli corsi di formazione e le aziende certificate possono beneficiare di agevolazioni, come l’esonero contributivo, e di un punteggio premiale nei bandi di gara europei e nazionali. In buona sostanza invece è utile sostenere a sistema, non solo di anno in anno con enorme incertezza, il welfare integrativo e la conciliazione vita lavoro familiare per avere  la possibilità di rendere il mercato del lavoro più bilanciabile per le lavoratrici che si rendono così autonome economicamente e meno soggette al ricatto della dipendenza economica.

Perché se questo sistema non funziona subentra prima di tutto la child penality che ne è una causa diretta poiché colpendo le neo mamme o coloro che intenderebbero diventarlo, ostacola la loro possibilità di lavorare. La parità e l’indipendenza economica  si definisce nel quotidiano e non nei principi o nei provvedimenti annuali. E ricordiamoci bene che la parità di genere è tutt’ora una priorità della UE come obiettivo strategico e trasversale del Pnrr.

Gli interventi mirati alle donne erano 3,1 miliardi di euro circa e il piano prometteva di generare un aumento dell’occupazione femminile del 4% entro il 2026. Dunque come si combatte la violenza contro le donne? Maggiori servizi, trasparenza retributiva più inclusiva, assicurare una parità salariale per un lavoro di pari valore anche per poter avere la possibilità di arrivare ad una contribuzione previdenziale dignitosa. Una delle più grandi sfide dell’Italia contemporanea è certamente l’incremento demografico e l’opposto è una patologia che non segnala genericamente la perdita del desiderio di paternità e maternità ma qualcosa di diverso e più profondo e sostenere famiglia e natalità significa lavorare  sul piano politico, uno Stato che crea a sistema strutturale agevolazioni nei servizi, incentivi reali di stabilità e un sistema fiscale che contempli il numero dei figli, delle persone non autosufficienti sia minori che disabili . Poichè vero è che persona e donna  sono un binomio assoluto naturale esistente il cui destino è inseparabile dell’essere integrale dell’umanità.  

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