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Mps, tutti i nodi del Monte dei Paschi di Siena

Cosa sta succedendo nel Monte dei Paschi di Siena (Mps) fra la dismissione di 10-15 mld di Npl e l'uscita del Tesoro dalla compagine azionaria. Intanto i conti del primo semestre non promettono bene

Si annuncia una fine d’anno non propriamente facile per il Monte dei Paschi di Siena tra un primo semestre con risultati in calo e il problema della cessione degli Npl. Tema, quest’ultimo, strettamente legato a un altro: l’uscita del Tesoro dalla compagine azionaria.

Tutte questioni che dovranno avere un’accelerazione nella prossima primavera quando peraltro scadrà il consiglio d’amministrazione e dovranno essere approvati i conti del 2019.

LA DISMISSIONE DEGLI NPL

Come racconta Mf, sta andando avanti “il complesso programma di deconsolidamento delle esposizioni non performanti”. Si tratta di almeno 10 miliardi di euro da cedere all’ex Sga, ora Amco, guidata da Marina Natale. Almeno questo è il percorso avviato. In primavera il ministero dell’Economia Mef ha presentato a Bruxelles una proposta formale di scissione dei crediti deteriorati a favore di Amco ma il punto è il prezzo di cessione, sul quale Montepaschi banca sta lavorando a Bruxelles con la Direzione della Concorrenza Ue per evitare che i valori non siano in linea con il mercato. A gestire il fascicolo è Margrethe Vestager, riconfermata nel ruolo con la nuova Commissione europea.

Sarà lei ad analizzare il report chiesto al consulente Oliver Wyman, advisor designato lo scorso giugno da Bruxelles. Secondo il Sole 24 Ore il lavoro sarebbe stato completato e dalle prime valutazioni emergerebbe un orientamento “non favorevole”: “se effettuata a valori di carico” l’operazione “sarebbe distorsiva della concorrenza”. Al momento, sempre stando a quanto riporta il quotidiano confindustriale, sarebbe in atto un carteggio tra il Tesoro e la Direzione alla Concorrenza.

Lo scopo di tale processo, ricordiamo, è di permettere all’istituto di credito senese di arrivare a un Npe ratio del 5%, in linea con il mercato bancario e tale da rendere appetibile Mps per un eventuale matrimonio con un’altra banca italiana di medie dimensioni, per esempio Ubi o Banco Bpm.

Secondo gli analisti di Fidentis, però, non basterebbe la cessione di 10 miliardi di crediti deteriorati. “Mps risulterebbe essere scarsamente o per nulla interessante dal punto di vista delle fusioni e acquisizioni” e, di conseguenza, in tal caso “non ci sarà partner che non avrà bisogno di coprirsi dai rischi legali per almeno 5 miliardi di euro”.

L’USCITA DEL TESORO

Come si diceva, al programma di dismissione di 10-15 miliardi di Npl è strettamente correlata l’uscita del Tesoro che attualmente detiene il 68% di Rocca Salimbeni. In base agli accordi fissati al momento del salvataggio, nel 2017, il piano per l’addio del Mef doveva essere definito entro il 2019 ma a questo punto non si esclude una proroga di sei mesi. Entro tale data Via XX Settembre dovrebbe aver definito il calendario di uscita e la modalità su cui incardinare la privatizzazione. Probabile la fusione con un istituto di medie dimensioni come Ubi o Banco Bpm. Nozze che sarebbero un tassello importante del consolidamento bancario in Italia che comincerà nel 2020. Un’aggregazione in cui Montepaschi verrebbe resa “più attrattiva” – secondo Mediobanca Securities – “deconsolidando 10 miliardi di Npe”; un’operazione che “porterebbe l’Npe ratio di Mps intorno al 5% dal 14,5% di fine giugno 2019”.

Ora il dossier, riferisce ancora il Sole 24 Ore, è in mano al governo: bisognerà vedere se si continuerà a prender tempo – “inviando a fine anno una generica sequenza di ipotesi per definire l’uscita entro il 2021” – o se invece il tema entrerà nell’agenda di Palazzo Chigi.

I CONTI TRABALLANTI

Intanto il Monte ha chiuso il primo semestre dell’anno con ricavi in calo del 9,3% a 1,55 miliardi. Segno meno(-6,5%) anche per il margine d’interesse, pari a 813 milioni, e per le commissioni (-10,7%) a 723 milioni. Dunque il risultato operativo lordo di Siena è sceso di oltre 150 milioni a 403 milioni. Forte decremento anche per l’utile consolidato del gruppo a 93 milioni dai 289 milioni dello stesso periodo del 2018. Stabili i volumi di raccolta a 192,4 miliardi.

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