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Morti e infortuni sul lavoro: numeri, confronti e sorprese

Morti e infortuni sul lavoro: i numeri dicono che l’Italia fa meglio di molti Paesi europei ed è in linea con quelli maggiormente industrializzati. L'approfondimento di Giuliano Cazzola e l'analisi dell'associazione Liberi Oltre

 

Ho scoperto l’esistenza di un’associazione di ‘’cacciatori di luoghi comuni’’; si chiama ‘’Liberi oltre le illusioni’’ e si pone l’obiettivo di contrastare il declino culturale dell’Italia.

La nota del 7 febbraio affronta un argomento delicato, quello degli infortuni sul lavoro, sulla base di una comparazione storica e internazionale. È molto rischioso avventurarsi su di un percorso fatto di sofferenza e di decessi: anche un solo morto sul lavoro è un evento drammatico ed inaccettabile, perché oltre al dramma della persona e dei suoi cari, emerge una inadeguatezza delle misure di prevenzione e di sicurezza che costituiscono un preciso impegno connesso al rapporto di lavoro e sancito dalla legge e dai contratti, tutelato dai servizi preposti.

‘’Quando accade un incidente sul lavoro con esito mortale – scrive Costantino de Blasi, esperto di risk management – si fanno sui media grandi discussioni sulle morti bianche, sulla strage infinita, sulla sicurezza che manca; non si fa mai un’analisi approfondita sulle cause e sull’incidenza di questi incidenti’’.

Ma la questione viene affrontata come se quella dei morti sul luogo di lavoro fosse una peculiarità italiana. Così, dopo aver ricapitolato l’evoluzione della legislazione sulla sicurezza nel lavoro (dal dlgs n.626/1994 al dlgs n.81/2008 e successive modifiche e integrazioni) l’autore ricorda i dati riportati in un articolo apparso il 26 gennaio scorso su Repubblica a firma di Marco Bentivogli, dove veniva ricordato che secondo le rilevazioni INAIL tra il 1971 e il 1980 la media dei decessi sul luogo di lavoro era 8,1 al giorno, fra il 1981 e 1990 era 5,7 al giorno, fra il 1991 e il 2000 era 4,1; fra il 2001 e il 2020 intorno 3,5.

Dunque, al netto di altri fattori, la normativa sembra aver ridotto la strage, anche se i numeri rimangono, ancora troppo alti. Da questa amara constatazione – che è pur sempre una tendenza di cui tenere conto per fare ancora meglio – la nota si diffonde su quanto avviene nei principali Paesi europei, più paludati dell’Italia nella nostra stessa considerazione.

Costantino de Blasi avverte che una delle difficoltà di un’analisi comparata sta nella non omogeneità delle rilevazioni. In ordine agli infortuni, ad esempio, alcuni Paesi europei non fanno ricadere nella casistica quelli in intinere (tragitto casa luogo di lavoro e ritorno), oppure rilevano in modo differente dall’infortunio le malattie professionali, oppure ancora utilizzano sistemi di raccolta e catalogazione dei dati diversi da quelli previsti dall’assicurazione pubblica (nel caso Italia l’INAIL). Pertanto l’autore dichiara di aver cercato di normalizzare i dati al fine di poter realizzare una comparazione il più possibile coerente, cominciando con l’escludere nelle tabelle e nei grafici gli infortuni in itinere (che in effetti avvengono in occasione di lavoro, ma attengono maggiormente ai problemi del traffico e delle comunicazioni.

Nel 2018, anno in cui si ferma la raccolta dati da parte dell’INAIL, nell’Europa a 27 ci sono stati 3,1 milioni di incidenti sul lavoro su 188 milioni di occupati, con un tasso di incidenti dell’1,66%. L’incidenza di infortuni sul totale degli occupati per i 4 principali Paesi è riassunta nella tabella seguente:

Una parte consistente degli infortuni con esiti mortali è dovuta a quelli con mezzi di trasporto (trucks, trasporto pubblico, movimentazione merci ecc.). La differenza, considerevole, di esiti tragici con e senza mezzi di trasporto è riportata nel grafico seguente. Per il nostro Paese il tasso passa da 1,04 a 2,70.

L’analisi del trend mostra un netto e costante miglioramento del tasso di incidenza degli infortuni sul luogo di lavoro con esito mortale per tutti i Paesi considerati ad eccezione della Francia. Considerando un periodo di tempo sufficientemente lungo, 1998-2018, ed escludendo sia quelli in itinere che quelli con mezzo di trasporto, il miglioramento – è scritto nella nota – è particolarmente sensibile per Italia e Spagna e più contenuto per Germania che però partiva da dati già bassi.

Nel 2018 in Italia si sono avuti 291.000 infortuni, 523 dei quali con esiti mortali. Il tasso di mortalità per incidente è stato dello 0,179%.

La nota, pertanto, arriva alle seguenti conclusioni: i dati dimostrano che non c’è nessuna anomalia italiana. I numeri dicono che l’Italia fa meglio di molti Paesi europei ed è in linea con quelli maggiormente industrializzati. Gli effetti della Legge 626/94 prima e del Dlgs 81/2008 dopo sono ben visibili e gli obblighi di prevenzione e controllo introdotti dalle norme hanno sensibilmente mitigato il numero degli infortuni.

È giusto sottolineare che ogni incidente sarebbe evitabile ed è giusto dolersi e chiedere interventi quando questi incidenti causano la morte di un lavoratore; ma è altresì opportuno considerare quanto è stato fatto e come gli infortuni non siano anomali e, ancora una volta, il rischio zero non esiste.

Poiché fino ad ora si è parlato di infortuni sul lavoro, mi permetto di aggiungere alcune considerazioni per quanto riguarda gli infortuni da Covid-19, effettuate sulla base di un confronto dei dati, di fonte INAIL, prima e dopo la campagna di vaccinazione di massa e dell’adozione dei relativi provvedimenti per l’accesso sui posti di lavoro (green pass, ecc.). Per capire i benefici che la somministrazione dei vaccini ha prodotto nel mondo del lavoro è sufficiente leggere i dati del 2020: le 148.485 infezioni denunciate, in quell’anno, ammontano al 77,7% di tutti i casi di contagio pervenuti fino al 31 dicembre 2021, con novembre (40.661 denunce) il mese col maggior numero di eventi, seguito da marzo con 28.688 casi.

Quanto ai casi mortali, nell’anno 2020, i 568 decessi da Covid-19, hanno rappresentato il 70,0% di tutti i casi mortali da contagio pervenuti fino al 31 dicembre 2021; il mese di aprile 2020 (197 deceduti) ha riscontrato il maggior numero di eventi, seguito da marzo con 142 casi. In generale, se nell’anno 2020 l’incidenza media delle denunce da Covid-19 sul totale di tutti gli infortuni denunciati è stata di una denuncia ogni quattro, nei primi dieci mesi del 2021 si è scesi a una su tredici. È bene considerare questo arco temporale perché è quello della svolta nella campagna vaccinale essendo inoltre la certificazione verde la principale novità intervenuta, a titolo di prevenzione, nelle aziende a partire dalla ripresa delle attività dopo la pausa estiva dello scorso anno.

Ho voluto segnalare separatamente questa tipologia di infortuni per la loro particolarità (potrei azzardare anche il termine ‘’eccezionalità’’, almeno fino allo scoppio della pandemia) e perché ritengo necessario tenerne conto nel conteggio totale degli infortuni sul lavoro.

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