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Il caso delle filiere fuori controllo della moda

Le clausole contrattuali non bastano più per fare fronte alle accuse di sfruttamento dei subappalti nel settore della moda. L'intervento di Marco Sartori, Ceo di Complegal.

Le vicende emerse negli ultimi mesi sulle aziende operanti nel settore dell’alta moda hanno acceso i riflettori su un filone investigativo avviato dalla Procura di Milano che sta coinvolgendo numerose aziende del lusso tessile e dell’abbigliamento di alta gamma.

Le imputazioni, che hanno portato al commissariamento giudiziale di società come Armani Operation, Manufactures Dior, Alviero Martini, Valentino Bags e, in ultimo, Loro Piana, ruotano attorno ad un comportamento delittuosocomune: lo sfruttamento del lavoro lungo la filiera produttiva.

La condotta contestata alle imprese è quella di non aver verificato la reale capacità imprenditoriale di appaltatori e subappaltatori né di aver condotto ispezioni, preliminari e periodiche all’instaurazione del rapporto di lavoro, volte ad accertare le effettive condizioni lavorative e igienico-sanitarie degli ambienti di lavoro.

In questo scenario, diventa sempre più urgente per le aziende della moda, attivarsi per migliorare le proprie prassi di controllo della supply chain. Un intervento, questo, che deve avvenire non solo in chiave preventiva, ma anche come segnale di “ravvedimento operoso”, potenzialmente apprezzato dal tribunale in caso di accertamenti.

Quali allora le soluzioni concrete che le imprese dovrebbero intraprendere:

  • implementare Modelli 231, di cui diverse delle aziende recentemente coinvolte nelle indagini erano difatti sprovviste, purché però si tratti di modelli efficaci e calati nella realtà aziendale, non meri adempimenti formali;
  • dotarsi di una procedura di gestione della filiera produttiva, contenente verifiche in grado di consentire la valutazione della solidità degli appaltatori, del rispetto delle normative in tema di salute e sicurezza sul lavoro e volte altresì a prevenire fenomeni di subappalti irregolari e di sfruttamento lungo la catena produttiva;
  • garantire una formazione specifica delle funzioni aziendali coinvolte nella gestione della supply chain, affinché conoscano nel dettaglio la procedura adottata e siano in grado di individuare tempestivamente i segnali di rischio (cosiddette “red flags”) legati a fornitori potenzialmente inaffidabili;
  • ricorrere a strumenti di presidio e monitoraggio dei fornitori, strutturati per valutarne trasparenza ed affidabilità.

Non è più sufficiente affidarsi a clausole contrattuali che obbligano il fornitore a render nota al committente la catena di subappalti ma è necessario un vero e proprio cambio di rotta. Solo così le aziende potranno tutelarsi dai rischi legali e reputazionali, dimostrando di saper coniugare l’etica del lavoro ai propri obiettivi d’impresa

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