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Mes, ecco i veri rischi

La sentenza della Corte costituzionale tedesca e la posizione della maggioranza di governo in Italia. L'analisi di Liturri sul Mes

 

Non lascia spazio a dubbi la posizione espressa dalla maggioranza alla Camera mercoledì 30 novembre a proposito della ratifica della riforma del Mes. Sembra attendista, ma invece è efficace proprio nel merito, perché colpisce il punto debole della riforma del Mes, che nasce vecchia e che quindi non merita nemmeno la ratifica. Tuttavia presenta un punto di vulnerabilità su cui è opportuno soffermarsi,che è stato messo in ulteriore evidenza proprio dalla sentenza di ieri della Corte Costituzionale tedesca che non ha ravvisato sostanziali ostacoli alla ratifica della riforma da parte del Bundestag. Bisogna partire dal testo della mozione di maggioranza che ha impegnato il governo “a non approvare il disegno di legge di ratifica della riforma del trattato istitutivo del MES alla luce dello stato dell’arte della procedura di ratifica in altri Stati membri e della relativa incidenza sull’evoluzione del quadro regolatorio europeo”.

Qui analizziamo il significato dei due pilastri su cui si regge la linea della maggioranza: da un lato la procedura appena conclusasi in Germania, con la sentenza della Corte Costituzionale; dall’altro l’incidenza che potrebbe avere tale processo, e non solo quello, sull’”evoluzione del processo regolatorio europeo”.

Quest’ultimo passaggio intende dire due cose: la prima è che la decisione di Karlsruhe, anche dando il via libera al Trattato, potrebbe comunque avere degli effetti sulla riforma del Mes. La seconda è che bisogna tenere conto degli effetti della riforma delle regole di governo economico della UE.

La prima non è un’ipotesi teorica, perché è esattamente quanto accaduto nel 2012 in occasione della ratifica del trattato istitutivo. La sentenza di Karlsruhe – interpellata anche in quell’occasione – giunse quando tutti gli Stati aderenti avevano depositato gli strumenti di ratifica presso il segretariato generale del Consiglio della UE e quindi il Trattato era già in vigore. Purtroppo l’intervento della Corte tedesca bocciò sostanzialmente la ratifica del Bundestag e la assoggettò a delle condizioni che avrebbero richiesto la modifica del testo e quindi una nuova ratifica da parte di tutti gli altri Stati. Per non ricominciare tutto daccapo, il Bundestag accolse le richieste della Corte con un addendum che vale solo in Germania. Con l’incredibile risultato che il testo del Trattato del Mes in vigore in Germania è diverso da quello vigente negli altri Paesi. Questa volta, memori di quel pasticcio, l’attesa della Corte tedesca è stata doverosa.

Ma vi è di più. La posizione della maggioranza parlamentare che sostiene il governo Meloni è rafforzata da un precedente storico risalente alla nascita del Mes che ci ricorda che non è la prima volta che un testo del Mes non viene ratificato perché tra la firma del governo e la ratifica del Parlamento sono sopravvenute nuove esigenze. Infatti l’11 luglio 2011 il Trattato del Mes fu firmato da tutti i 17 Stati membri dell’eurozona dell’epoca, incluso l’allora ministro dell’economia del governo Berlusconi, Giulio Tremonti. Ma quel testo non fu mai ratificato. Il rapido evolversi della crisi del debito pubblico di alcuni Paesi costrinse ad apportare delle modifiche, seppur marginali, ed il Premier Mario Monti firmò un nuovo testo del Trattato il 2 febbraio 2012 poi ratificato dal nostro Parlamento nel luglio successivo.

Se si è rimesso mano al testo allora, quando erano passati solo pochi mesi dalla firma dei governi, perché non farlo anche oggi, quando sono passati quasi due anni dalla firma, con una pandemia ed una guerra di mezzo? In altre parole, perché nel 2011 è stato opportuno non ratificare per tenere conto del corso degli eventi, ed oggi – di fronte a significative novità – dobbiamo comunque procedere?

Questa posizione è ulteriormente rafforzata da un altro argomento. Una delle principali novità del Mes riformando è la puntuale definizione delle condizioni di accesso alla linea di credito precauzionale (Pccl) in contrapposizione a quella a condizioni rafforzate (Eccl). Queste condizioni, riportate nell’allegato 3, sono già oggi disallineate rispetto alla proposta di riforma del Patto di Stabilità presentata il 9 novembre dalla Commissione. Perché è vero che il deficit/PIL del 3% ed il rapporto debito/PIL del 60% permangono nella nuova proposta, ma la Commissione ha cancellato il tanto discusso parametro del saldo strutturale di bilancio. Quindi come si fa a ratificare un Trattato che contiene almeno una condizione ormai bocciata pure dalla Commissione? Questa è l’evoluzione del processo regolatorio europeo a cui si riferisce la mozione di maggioranza e che consiglia di fermare tutto. La forza di questi argomenti, già da soli sufficienti, ci porta però ad evidenziare anche la pericolosità dell’eccessivo affidamento riposto sull’attesa della ratifica tedesca. Infatti, con la luce verde arrivata da Karlsurhe, l’Italia si ritrova ora nella scomoda situazione di essere l’unico Paese a non aver ratificato. Quindi non serviva attendere l’assist tedesco che non è arrivata, perché abbiamo tutti gli argomenti a prescindere dalle eventuali obiezioni di Karlsruhe, e non ratificare il Mes è una eccezionale opportunità negoziale da sfruttare per far sì che la riforma delle regole europee non ci veda ancora una volta penalizzati.

Purtroppo questo percorso non è privo di insidie. Ricordiamo che Ursula Von der Leyen poco prima delle elezioni, di fronte all’ipotesi di una vittoria della Meloni e conseguenti importanti rivendicazioni verso la UE, disse che “…se le cose andranno in una direzione difficile, abbiamo degli strumenti…“. Ed è vero. Gli strumenti per costringerci a cambiare idea ci sono ma i bottoni per azionarli non sono nella stanza della Von der Leyen ma in quella di Christine Lagarde all’ultimo piano dell’Eurotower di Francoforte. È sufficiente lasciare scadere dei titoli italiani senza provvedere al loro riacquisto, anche solo per qualche giorno, per lanciare inequivocabili messaggi agli investitori. Sono metodi già utilizzati ed immediatamente efficaci e, soprattutto, non lasciano impronte.

Possiamo solo augurarci che non osino nemmeno provarci, di fronte ad una volontà politica che appare solida. A riprova dell’atmosfera ostile che si sta preparando, da Bruxelles il solito “alto funzionario Ue” – in vista dell’Eurogruppo di lunedì 5 dicembre – ha maliziosamente fatto sapere che “gli altri Paesi della zona euro continuano a credere che l’Italia ratificherà la riforma del Mes, un impegno politico preso ormai da tempo che l’Italia rispetterà”. Al ministro Giancarlo Giorgetti spetterà il difficile compito di spiegare i buoni argomenti per non ratificare e per, sperabilmente, mettere la pietra tombale su uno strumento nato male ed invecchiato peggio, la cui unica ed accettabile riforma sarebbe quella finalizzata alla sua messa in liquidazione e restituzione all’Italia dei 14 miliardi di capitale versato, oltre ad interessi e spese.

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