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Fed

Che cosa si aspettano i mercati Usa dalla Fed

I mercati sembrano ritenere che il rallentamento dell’inflazione possa indurre la Fed a cambiare passo. L'analisi di Richard Flax, Chief Investment Officer di Moneyfarm.

La scorsa settimana i mercati finanziari hanno festeggiato una delle giornate migliori degli ultimi tempi grazie al dato sull’inflazione negli Stati Uniti, che sembra confermare una graduale normalizzazione della crescita dei prezzi. L’inflazione di ottobre si è attestata al 7,7%, sorprendendo in positivo rispetto alle previsioni degli economisti. Ciò ha provocato un forte rialzo di obbligazioni e azioni, mentre il dollaro si è indebolito.

L’inflazione statunitense si è dimostrata negli ultimi mesi più resistente di quanto molti si aspettassero, anche quando altri indicatori economici avrebbero fatto presagire un rallentamento. Il rallentamento dell’inflazione a settembre era stato meno significativo del previsto e, per questo, la banca centrale statunitense aveva adottato una retorica più aggressiva che ha influito negativamente sui valori azionari.

Il dato di ottobre è in controtendenza, mostrando sia una decelerazione (dall’8,2% anno su anno di settembre al 7,7% di ottobre), sia un risultato migliore del previsto (7,7% contro 7,9% previsto dagli analisti). Questo è vero sia per l’inflazione al consumo che per quella core (escludendo cibo ed energia).

I mercati sembrano ritenere che questo rallentamento dell’inflazione possa indurre la banca centrale statunitense ad adottare un tasso di riferimento più espansivo del previsto. Potrebbe essere un’ipotesi un po’ prematura, perché stiamo guardando a un singolo dato che non fa ancora tendenza e la strada per raggiungere il 2% di inflazione è ancora lunga. Ma dopo alcuni mesi di delusione sul fronte dell’inflazione, è rassicurante vedere qualche progresso.

I bruschi movimenti a cui abbiamo assistito ci dicono senz’altro qualcosa sul clima che c’è oggi sui mercati. Molti investitori avevano presumibilmente scommesso su un risultato dell’inflazione deludente, e questo ha reso volatili le negoziazioni.

Ci sarà massima attenzione sulle prossime dichiarazioni della Fed per cercare conferme a una narrativa più accomodante. La speranza è che i prossimi dati macro dicano che questo è solo l’inizio di una tendenza verso una domanda più debole e un equilibrio migliore.

Questa situazione in miglioramento potrebbe spingere a incrementare il peso degli asset rischiosi in portafoglio, avvantaggiandosi delle valutazioni, ma nella gestione complessiva di un portafoglio di investimento non bisogna sottovalutare alcuni rischi che, se si materializzassero, potrebbero influenzare negativamente la situazione. Eccoli elencati di seguito.

Crisi energetica

La crisi energetica rischia di peggiorare ulteriormente e potrebbe scatenare una crisi di liquidità per le aziende energetiche europee, mettendo in crisi il sistema economico dell’area geografica e certamente peggiorando le attese recessive per l’economia globale in generale.

Negli ultimi mesi, infatti, la volatilità dei prezzi delle materie prime ha messo in luce la fragilità dei bilanci delle aziende energetiche, che devono correre al riparo dal cambiamento dei prezzi in futuro. Per fare ciò, le aziende utilizzano una quantità significativa di strumenti derivati che richiedono un collaterale, cioè una quantità di cash (o simile) che garantisca che siano in grado di pagare la controparte nel caso in cui la posizione derivata vada in perdita.

Per dare un’idea della dimensione del problema, la Svezia ha proposto una linea di credito da 23 miliardi per le proprie aziende energetiche. Per il momento la situazione sembra gestibile, sia perché i prezzi delle materie prime si sono parzialmente normalizzati, sia perché i regolatori si sono dichiarati pronti a intervenire a supporto. Tuttavia, se la situazione geopolitica dovesse peggiorare o se la riapertura della Cina fosse più marcata delle attese, mettendo pressione sui prezzi delle risorse energetiche, le prospettive per l’economia europea sarebbero molto poco rosee.

Il settore immobiliare in Cina

La Cina rimane in una situazione molto complicata. Nonostante l’allentamento di alcune misure anti-Covid, la seconda economia del mondo sembra più fragile che mai. Il mercato immobiliare continua a tentennare a causa di una nuova, preoccupante, tendenza dei consumatori cinesi che continuano a bloccare i pagamenti per le nuove costruzioni. Tradizionalmente i costruttori richiedono circa un 30% del pagamento in anticipo, quota che poi viene però sistematicamente utilizzata per finanziare nuovi progetti, piuttosto che per completare velocemente quelli già iniziati. I lunghi lockdown hanno ulteriormente ritardato il completamento di proprietà già vendute e parzialmente pagate, scatenando proteste, boicottaggi e mettendo sotto pressione la liquidità del settore immobiliare. Inoltre, a peggiorare le cose, le banche cinesi hanno “semi-chiuso” i rubinetti di credito per il settore, al fine rispettare le norme governative sui livelli massimi di leva degli istituti creditizi e per le paure legate a un’industria che, dopo il caso Evergrande, sembra decisamente in bolla.

A nostro parere, nonostante la situazione non vada sottovalutata, il governo ha reagito prontamente, con una serie di misure sufficienti per dare stabilità. In particolare, il Partito Comunista Cinese è intervenuto sia incentivando la domanda di mutui (per esempio abbassando i tassi), sia istituendo fondi di aiuto per il completamento dei progetti immobiliari, con quasi 800 miliardi di yuan già stanziati. Per il momento i mercati sono soddisfatti delle misure adottate e la domanda per i mutui ha ricominciato a salire, facendo sperare in un graduale miglioramento della situazione. Tuttavia, la deriva sempre più autoritaria del governo e la minor attenzione alle logiche di mercato potrebbero sfociare in misure poco market-friendly e peggiorare le attese di crescita.

Il rischio geopolitico: Ucraina e Taiwan

La situazione geopolitica globale rimane l’incognita principale. Anzitutto, Putin potrebbe dare seguito alle sue minacce e testare armi tattiche nucleari, causando un’escalation poco prevedibile e un possibile conflitto con la Nato. Dall’altro lato abbiamo Xi Jinping, che ha ottenuto il terzo mandato a capo della Segreteria Generale del Partito Comunista. Un evento storico, data la longevità del potere di Xi, che è in carica dal 2012 e continuerà ad esserlo per i prossimi 5 anni. Un mandato che porta con sé diverse sfide: economiche (sfide di crescita ben al di sotto della media cinese), politiche (il suo terzo mandato potrebbe generare instabilità nel lungo periodo) e geopolitiche. Durante il Congresso il leader ha infatti ribadito la sua volontà di annettere Taiwan entro il 2024, facendo aumentare, di conseguenza, le paure di un conflitto aperto sull’isola. Gli Stati Uniti potrebbero intervenire in caso di invasione, con effetti chiaramente catastrofici per l’economia globale.

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