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Perché i mercati non credono alle paroline della Bce di Lagarde

“Whatever it takes” di Mario Draghi poteva funzionare solo nel luglio 2012. Lagarde, anche volendo, non può usare più la stessa frase ed è costretta a premettere spesso “nell’ambito di quanto consentito dal nostro mandato”. Cioè poco o nulla. E i mercati ne traggono le conseguenze.

È accaduto ciò che era ampiamente prevedibile. Il Consiglio direttivo della BCE ha annunciato le sue decisioni di politica monetaria, la presidente Christine Lagarde le ha commentate in conferenza stampa ed i mercati hanno reagito in modo conseguente.

L’annuncio di tre rialzi dei tassi entro fine anno – di cui 25 punti base a luglio e forse 50 a settembre – e il termine del programma di acquisti APP da 20 miliardi al mese sono stati sufficienti per trasmettere ai mercati degli evidenti segnali di difficoltà della banca centrale. Troppe istanze contrapposte da conciliare ed è inevitabile che gli investitori non credano al fatto che Lagarde riesca nella quadratura del cerchio.

Due i segnali della sfiducia verso la capacità della BCE. Il primo è stata la reazione del cambio euro/dollaro che, dopo un primo lieve apprezzamento, è tornato a scendere sotto 1,06 per poi fermarsi venerdì pomeriggio poco al di sopra di 1,05. Troppe sono le incognite ed i rischi che incombono sul futuro dell’economia dell’eurozona, per credere che un rialzo dei tassi possa riportare gli investitori a comprare attività in euro. Non casualmente, nel peggiore scenario di previsione della BCE, il PIL 2023 è previsto scendere del 1,7% (contro una crescita del 2,1% dello scenario base).

A peggiorare la situazione, nel pomeriggio di venerdì è arrivato pure il dato sui prezzi al consumo negli USA, cresciuti a maggio del 8,6% su base annua, contro delle attese del 8,3%. Ulteriore paglia sul fuoco del rialzo dei tassi da parte della FED e quindi motivo per vendere euro.

Ma soprattutto è stata evidente la delusione suscitata da quanto detto (o non detto) dalla Lagarde riguardo al rischio di frammentazione della trasmissione della politica monetaria a causa della divaricazione degli spread tra i rendimenti dei titoli pubblici degli Stati membri. Non è sufficiente dire “che non tollereremo la frammentazione e determineremo sulla base delle circostanze, come e quando è probabile che tali rischio si concretizzi e lo preverremo”. E poi, in conferenza stampa, di fronte alle ripetute domande con cui le hanno chiesto come pensa di attuare tale proposito, restare molto evasiva. L’unico approfondimento è stato a proposito della possibilità di flessibilità di esecuzione dei riacquisti di titoli del programma PEPP (ma anche APP) che progressivamente verranno a scadenza. Troppo poco, secondo i mercati. Che infatti durante tutta la giornata hanno picchiato pesantemente sui prezzi del decennale italiano (ma anche Grecia e Spagna hanno subito ribassi), che ha chiuso con un rendimento di 3,84%, ai massimi da quasi 10 anni. Stessa sorte anche per l’indice azionario italiano, trainato al ribasso dai titoli bancari.

Bloomberg ha parlato di vero e proprio sconcerto degli investitori sull’assenza di un piano per tenere unita l’eurozona. Gli investitori ritengono molto improbabile che la BCE si muova in modo preventivo. Può farlo, peraltro maltrattando i Trattati, solo sotto la pressione dei mercati, i quali stanno andando esattamente a testare la soglia di resistenza e intervento della BCE. Ne abbiamo avuto una dimostrazione nel marzo 2020, quando, nonostante fossero già evidenti le disastrose conseguenze economiche del lockdown da Covid, la Lagarde il 12 marzo si trastullava ancora con il famoso “non siamo qui per ridurre gli spread”, salvo correre ai ripari solo sei giorni dopo, varando un programma di acquisti da 1.800 miliardi (PEPP).

“Whatever it takes” di Mario Draghi poteva funzionare solo nel luglio 2012. Poi sono arrivati fiumi di pagine della Corte di Giustizia Europea e della Corte Costituzionale tedesca a porre ben definiti paletti ed ora la Lagarde, anche volendo, non può usare più la stessa frase ed è costretta a premettere spesso “nell’ambito di quanto consentito dal nostro mandato”. Cioè poco o nulla. I mercati lo sanno e ne traggono le conseguenze.

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