Ad oggi, le così dette “Magnifiche sette” detengono circa il 70% della capitalizzazione di mercato mondiale. Questo livello di concentrazione dovrebbe preoccupare gli investitori?
Un documentario del 2004 sui fast food statunitensi analizzava gli effetti di un consumo smodato di questo tipo di alimenti sul benessere fisico e psichico di un individuo, coniando così l’espressione “Super Size Me”. Vent’anni dopo, gli investitori azionari stanno affrontando un simile periodo di eccessi per una ristretta cerchia di società statunitensi, i cui effetti deleteri sono una distorsione delle valutazioni azionarie e una concentrazione della fonte dei rendimenti degli indici.
Questa élite di aziende, soprannominata “Magnifiche sette”, è composta da Alphabet, Amazon, Apple, Meta, Microsoft, Nvidia e Tesla. Per la maggior parte si tratta di imprese molto note, salvo forse Nvidia, che pur essendo in attività da 30 anni, è salita alla ribalta solo di recente, uscendo dalla comunità tecnologica di nicchia in cui era molto conosciuta. Quest’ultima, produttore di chip per l’intelligenza artificiale, lo scorso 14 febbraio 2024 ha consolidato la sua rapidissima supremazia diventando la terza maggiore impresa statunitense per capitalizzazione, superando Alphabet, società madre di Google, e Amazon. Il rialzo delle quotazioni azionarie ha spinto il valore di Nvidia al livello di 1.825 miliardi di dollari, contro i 1.821 miliardi di Alphabet. Nell’ultimo anno il prezzo delle azioni di Nvidia si è triplicato.
La crescente popolarità degli investimenti indicizzati a basso costo (rispetto alla gestione attiva) ha alimentato e continua ad alimentare l’ascesa delle Magnifiche sette. I fondi d’investimento passivi hanno raccolto nuovi capitali, accettando semplicemente il prezzo di mercato delle azioni al momento di effettuare acquisti. Inoltre, quanto più alto è il valore di una società, tanto maggiore è l’investimento effettuato da un fondo passivo, il che dà origine a una spirale dei prezzi che non permette di valutare obiettivamente un’azienda.
Un mercato altamente concentrato
Pur non essendo classificate come tali nelle definizioni dei settori d’investimento, cinque delle Magnifiche sette provengono dal settore tecnologico, che in generale stava già sovraperformando. Grazie a questo impulso, la concentrazione è schizzata verso livelli record. Nei casi più estremi, oggi la valutazione di alcune di queste società supera la capitalizzazione di mercato di tutte le società quotate dei paesi del G7 messe insieme (Apple, Microsoft e ora Nvidia sono più grandi di tutte le società quotate nelle borse di Regno Unito, Francia e Canada prese nel complesso). Guardando la situazione da una prospettiva diversa, oggi il 70% circa della capitalizzazione di mercato mondiale è riconducibile a titoli statunitensi. Sebbene l’economia degli Stati Uniti sia ben consolidata rispetto a quella di altri paesi, rappresenta solo il 18% circa del prodotto interno lordo globale, sottolineando dunque come ci sia un divario piuttosto ampio rispetto alla valutazione del suo mercato azionario. Secondo gli analisti di Deutsche Bank, l’S&P 500 ha raggiunto la massima concentrazione degli ultimi 100 anni o più, il che comporta rischi e conseguenze per altri asset.
Quando la concentrazione raggiunge livelli tanto estremi, le speculazioni sullo scoppio di una bolla diventano inevitabili. In passato, circostanze come queste hanno prodotto tendenzialmente alcuni anni molto favorevoli per i gestori attivi, in particolare quelli orientati al valore. Se nel caos generato dallo scoppio di una bolla il pubblico perdesse fiducia e i capitali iniziassero a defluire dai fondi indicizzati, il crollo delle quotazioni azionarie potrebbe essere altrettanto rapido quanto la loro ascesa. L’inasprimento della regolamentazione, un maggiore controllo pubblico sulle grandi aziende tecnologiche, una più consistente regolamentazione dell’IA e i fattori geopolitici sono solo alcuni degli ostacoli all’orizzonte.
Pur non appartenendo al settore tecnologico, anche l’azienda produttrice di auto elettriche Tesla deve affrontare diverse sfide, non da ultimo il rapido aumento della concorrenza nel settore dei veicoli elettrici. Pare che la cinese BYD abbia superato i livelli di produzione raggiunti da Tesla nell’ultimo trimestre del 2023 e, grazie ai suoi aggressivi programmi di sconti, potrebbe rafforzare la sua presenza nei mercati esteri in cui i consumatori sono attenti ai prezzi.
Investire durante l’attesa
Confrontando i grafici di alcuni indici equiponderati, che neutralizzano gli effetti della concentrazione delle società più grandi con quelli degli omologhi ponderati in base alla capitalizzazione di mercato, è chiaro che nel lungo periodo i primi tendono a sovraperformare. È altrettanto vero che evitare i titoli delle società a più alta capitalizzazione è stato un approccio sensato quando la concentrazione era ai massimi, perché le quotazioni delle società con le valutazioni più elevate scontano già gran parte delle buone notizie. Gli anni successivi allo scoppio della bolla delle dot.com nel 2000, ad esempio, sono stati ricchi di successi per i gestori value e, per molti versi, hanno visto la consacrazione del settore degli hedge fund. In quegli anni una selezione dei titoli efficace veniva premiata e molti titoli sottovalutati erano pronti a sovraperformare il mercato.
Gli indici equiponderati tendono a sottoperformare notevolmente in periodi di grave stress o in presenza di bolle (come la crisi finanziaria globale, la pandemia da Covid, la guerra del Golfo del 1990-91 e la bolla delle dot.com). Da marzo dello scorso anno le versioni equiponderate dell’S&P 500 e dell’MSCI World hanno nettamente sottoperformato quelle ponderate in base alla capitalizzazione di mercato. Vista l’assenza di uno stress significativo a livello mondiale, questo andamento è indicativo di una bolla o la nostra è solo un’interpretazione troppo fantasiosa delle relazioni storiche?
Mentre il mercato attende che la bolla delle Magnifiche sette scoppi o si sgonfi, continuiamo a ricordare agli investitori i benefici della diversificazione e a spiegare perché i titoli più grandi per capitalizzazione di mercato non generano sempre i migliori rendimenti nel lungo periodo.