I produttori di articoli di lusso navigano a vista. Sebbene il settore sappia ormai che le sue esportazioni saranno tassate al 15% all’ingresso negli Stati Uniti a partire dal 1° agosto, l’intero settore si interroga sulle conseguenze di questi costi aggiuntivi e sulla strategia più appropriata da adottare per evitare di gravare sulla propria redditività – scrive Le Monde.
GLI STATI UNITI, UN MERCATO INDISPENSABILE
Come ricorda Pierre-François Le Louët, copresidente dell’Unione francese delle industrie della moda e dell’abbigliamento, “gli Stati Uniti costituiscono un mercato molto importante, di cui i produttori di articoli di lusso e i marchi di prêt-à-porter di alta gamma non possono fare a meno”. Da solo, il Paese assicura circa 80 miliardi dei 363 miliardi di euro del fatturato mondiale degli articoli di lusso. La Francia vi ha esportato, in particolare, quasi l’8% del suo prêt-à-porter femminile, il 13% della sua produzione di borse e altrettanto di prodotti cosmetici nel 2024.
IL RALLENTAMENTO GLOBALE E LA DIPENDENZA DAGLI USA
Gli Stati Uniti rimangono la priorità dei produttori francesi, che devono affrontare il rallentamento del mercato mondiale. Secondo le previsioni della società di consulenza Bain & Company, pubblicate a giugno, le vendite di prêt-à-porter, cosmetici e profumi potrebbero diminuire dal 2% al 5% nel corso del 2025.
IL CROLLO DEL MERCATO CINESE
Il settore punta proprio sulle vendite negli Stati Uniti per compensare il rallentamento dei consumi in Cina. Nel 2024, secondo Bain & Company, l’attività è crollata di circa il 20% e l’inizio del 2025 non dà segni incoraggianti. I turisti hanno abbandonato l’isola di Hainan, un territorio famoso per i suoi centri commerciali specializzati in duty free.
L’IMPORTANZA DI MANTENERE I PREZZI COMPETITIVI
Di conseguenza, tutti i marchi di lusso hanno l’imperativo di continuare a vendere negli Stati Uniti a prezzi ragionevoli, nei propri punti vendita, in particolare quelli aperti di recente a New York, Miami o quelli di prossima apertura su Rodeo Drive a Beverly Hills, e nei grandi magazzini americani. […]
LE PRIME MOSSE DEI GIGANTI DEL LUSSO
Già a febbraio, Axel Dumas, amministratore delegato di Hermès, aveva affermato che avrebbe trasferito il costo di questi dazi doganali sul prezzo di vendita di tutti i suoi prodotti venduti oltreoceano. Giovedì 24 luglio, durante la presentazione dei risultati semestrali di LVMH, Cécile Cabanis, direttrice finanziaria del gruppo del lusso, ha assicurato che il produttore si sarebbe concesso aumenti di prezzo “moderati” sul mercato della moda e della pelletteria.
L’AUMENTO DEI PREZZI NON È SEMPRE UNA SOLUZIONE
Mentre le grandi case di lusso devono rilanciare le vendite, il loro margine di manovra si riduce. Tutte temono ora di dover aumentare i prezzi. La maggior parte di loro lo ha già fatto in modo eccessivo all’indomani della crisi legata al Covid-19, con il rischio di raffreddare la clientela.
Secondo i calcoli della società McKinsey, tra il 2019 e il 2023 quasi l’80% della crescita del mercato è stato determinato dall’aumento dei prezzi e non dall’incremento dei volumi di vendita. Uno studio più recente, condotto da KPMG tra esperti e professionisti del settore del lusso, sottolinea quanto l’industria del lusso abbia giocato con il fuoco. Secondo lo studio, “l’aumento dei prezzi praticato dal settore del lusso” non è stato “sempre accompagnato da un aumento del valore percepito”. […]
TAGLIARE I MARGINI: UNA STRADA RISCHIOSA
Per assorbire i dazi doganali americani, i produttori potrebbero piuttosto ridurre i propri margini. Ma in questo settore dominato da gruppi quotati in borsa, come LVMH, Kering, Hermès e L’Oréal, la cui capitalizzazione di borsa evolve in base alle prospettive di redditività, questa leva sarà azionata con cautela.
Resta da rivedere i costi di produzione. Degradare la qualità dei tessuti o delle pelli non è più un tabù nei laboratori, osserva uno specialista dell’approvvigionamento, sotto copertura di anonimato […]
LA CRISI DELLA FILIERA DELLA PELLE
Una tale prospettiva getta nell’inquietudine il settore francese della pelle. Infatti, già nel 2023 e nel 2024, mentre i costi energetici erano alle stelle e i salari aumentavano in Francia, i committenti erano già “riluttanti” a concedere ai loro subappaltatori i “pochi euro” di aumento del prezzo di acquisto delle borse “vendute a diverse migliaia di euro”, lamenta questo esperto di produzione. E da allora, di fronte all’erosione delle vendite, i marchi hanno ridotto il loro portafoglio ordini.
(Estratto dalla rassegna stampa estera a cura di eprcomunicazione)