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Kadewe Berlino

Lunga vita al grande magazzino KaDeWe, l’Harrods di Berlino

Il grande magazzino KaDeWe di Berlino, pezzo di storia tedesca e d'Occidente, si è salvato dalla bancarotta del Gruppo Signa grazie al tailandese Central Group... il che la dice lunga su come siano cambiati gli equilibri economici globali negli ultimi decenni. L'articolo di Pierluigi Mennitti

 

Il KaDeWe è salvo, il grande magazzino di Berlino continuerà a vivere. A strapparlo alla fine ingloriosa dell’impero immobiliare Signa del finanziere austriaco René Benko è il Central Group thailandese appartenente alla famiglia del miliardario Tos Chirathivat, il quale aveva già concluso un’opzione per l’acquisto della metà della prestigiosa proprietà nella primavera del 2023, prima che il Gruppo Signa fallisse. Ora i thailandesi hanno rilevato addirittura l’intero patrimonio KaDeWe, mettendo fine all’incubo dei berlinesi.

La notizia, anticipata dall’Handelsblatt, è stata rilanciata dall’intera stampa della capitale con toni da breaking news. Il KaDeWe, d’altronde, non è un grande magazzino qualsiasi, ma al pari degli Harrods a Londra, di Lafayette a Parigi o di Macy’s a New York, un simbolo della storia commerciale del mondo occidentale. Fin dal nome, che per esteso è Kaufhaus des Westens, appunto Grande magazzino d’Occidente. Per scongiurarne il fallimento era intervenuto anche il Senato cittadino, che riunito in seduta straordinaria aveva cercato di mettere assieme un pacchetto di finanziamenti per consentirne la sopravvivenza, in attesa che un compratore privato si facesse avanti. Ma il gruppo asiatico ha stretto i tempi e completato un’operazione che in maniera felpata stava portando avanti già da tempo.

Chirathivat in persona ha voluto dare ufficialità all’acquisizione. “Siamo lieti di aggiungere KaDeWe Berlin al nostro portafoglio di tradizionali proprietà di lusso di punta”, ha detto l’imprenditore, “l’ulteriore investimento di capitale dimostra l’impegno della nostra famiglia nei confronti del Gruppo KaDeWe e dei nostri fedeli clienti, dipendenti e partner commerciali in Europa. Continueremo a lavorare con tutti i soggetti coinvolti per trovare la migliore soluzione possibile in modo che i nostri grandi magazzini possano riprendere le normali operazioni, meglio e più forti di prima e il più rapidamente possibile”.

Il prezzo di acquisto sarebbe stato di ben un miliardo di euro e quindi notevolmente inferiore all’importo che aveva sui libri contabili il precedente proprietario, l’insolvente Signa Prime Selection. Ma su questo Chirathivat mantiene il riserbo e anche l’ufficio stampa del suo gruppo non ha fornito alcuna conferma.

Resta dunque il respiro di sollievo di Berlino, che appena tre anni fa aveva festeggiato i 115 anni del KaDeWe anche con una miniserie televisiva di successo. Con i suoi sessantamila metri quadrati di spazio espositivo, il Grande magazzino d’Occidente è probabilmente il “monumento” più visitato anche dai turisti. Ad attirarli è soprattutto il leggendario sesto piano, il settore gastronomico ricco di ristoranti, vinoteche e bistrot, e di prodotti alimentari freschi provenienti da tutto il mondo: formaggi dalla Francia, salumi dall’Ungheria, pasta fresca dall’Italia, spezie dall’Asia, gamberi dal Mare del Nord, ostriche dalla Bretagna, aragoste dal Maine. Il tutto innaffiato da litri di champagne, Chablis francese o Terlaner altoatesino, che fanno di questo angolo cittadino un indirizzo non proprio economico. Negli anni del Muro, era l’unico posto a Berlino dove trovare ogni giorno la mozzarella di bufala campana fresca.

Dentro questo caleidoscopio scintillante è transitata in 118 anni un’umanità assai varia. Dal bel mondo dell’aristocrazia militare prussiana, che da Potsdam sciamava verso Berlino lungo i viali della Kurfürstendamm, alla trasgressiva bohème artistica degli anni Venti, cosmopolita e multiculturale, che aveva eletto Berlino a capitale del mondo e il KaDeWe a suo emporio: Marlene Dietrich, Christopher Isherwood, Billy Wilder, Otto Dix, Luigi Pirandello, Filippo Tommaso Marinetti e Vladimir Nabokov, che pure a Berlino non si integrò mai.

Divenne poi il freddo spaccio d’élite delle gerarchie naziste e ne pagò le conseguenze, sbriciolandosi sotto le bombe della seconda guerra mondiale in una collina di macerie, una delle tante nella Berlino della “Stunde Null”. Rinacque a nuova vita dopo la guerra e subito tornò a circondarsi di strass e paillettes, celebrandosi come vetrina d’Occidente, baluardo consumistico e luccicante del capitalismo in opposizione alla seriosità pauperistica della Berlino comunista. Il KaDeWe divenne un simbolo della guerra fredda, isola artificiale in un mare di totalitarismo, avamposto di luci e beni di consumo.

Poi il Muro cadde e il primo posto dove i berlinesi dell’est andarono a spendere il sussidio in marchi occidentali fu proprio il KaDeWe, davanti alle cui vetrine si formavano file interminabili dei nuovi cittadini della Germania riunita. Un’attrazione che la vetrina d’Occidente non ha più perduto, neppure di fronte all’incalzare dei moderni centri commerciali. E ora ha schivato anche gli azzardi finanziari di un suo avventato proprietario. E che a salvarlo dalla chiusura non sia arrivato un imprenditore tedesco, ma un miliardario thailandese, la dice lunga su come siano cambiati gli equilibri economici globali negli ultimi decenni.

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