Già all’inizio del 2023, pochi mesi dopo il lancio di ChatGPT, Sam Altman, Ceo di OpenAI, faceva visita alla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen per evitare una “eccessiva regolamentazione” dell’intelligenza artificiale nel Vecchio Continente. Ai tempi il Time aveva rivelato le attività di lobbying condotte dalla software house, ma quella non era che l’alba di questa tendenza. A meno di tre anni di distanza, un’analisi condotta da Corporate Europe Observatory e Lobby Control, due organizzazioni no-profit che si occupano di monitorare l’influenza delle imprese, hanno scoperto che le big tech statunitensi si sono riversate a Bruxelles con budget ancora più grandi e un esercito di lobbisti, sempre più inseriti – e ascoltati – da Parlamento e Commissione europei.
QUANTO SPENDONO LE BIG TECH PER FARE PRESSIONI SU BRUXELLES
Secondo l’analisi di Corporate Europe Observatory e Lobby Control, le società tecnologiche stanno spendendo più che mai per fare lobbying presso l’Unione europea, in un contesto di crescente opposizione alle normative digitali. Come emerge dai dati del Registro per la trasparenza dell’Ue, i 733 gruppi dell’industria digitale registrati a Bruxelles investono oggi 151 milioni di euro l’anno, rispetto ai 113 milioni di due anni fa.
L’aumento delle spese coincide con le pressioni dell’industria contro leggi dell’Ue come il Digital Markets Act (DMA) e il Digital Services Act (DSA), normative che secondo l’amministrazione Trump penalizzerebbero le aziende statunitensi. La Commissione europea, intanto, sta preparando un piano di revisione e semplificazione del quadro regolatorio digitale, suscitando l’interesse diretto dei colossi tecnologici.
CHI SPENDE QUANTO
Le spese per il lobbying sono concentrate tra le principali Big Tech, prevalentemente statunitensi. Le dieci aziende più attive – tra cui Meta, Microsoft, Apple, Amazon, Google e Qualcomm – hanno speso complessivamente più dei dieci maggiori gruppi nei settori farmaceutico, finanziario e automobilistico messi insieme. La loro spesa complessiva infatti ha raggiunto i 49 milioni di euro, in crescita dai 40 milioni di due anni fa.
In particolare, Amazon, Microsoft e Meta hanno registrato aumenti significativi rispetto al 2023: oltre 4 milioni di euro in più per Amazon e oltre 2 milioni per Microsoft e Meta, mentre il gruppo di lobbying Digital Europe ha incrementato il proprio budget di 1,2 milioni di euro. Meta, con un budget superiore a 10 milioni di euro, è il principale finanziatore di attività di lobbying nell’Ue.
Bram Vranken, ricercatore di Corporate Europe Observatory, ha definito questo periodo “un momento precario”, sottolineando come la combinazione di deregolamentazione a Bruxelles e sostegno a Washington stia modificando il quadro politico per le Big Tech.

LOBBYING QUOTIDIANO
L’aumento delle spese, afferma l’analisi, si accompagna a un incremento del numero di lobbisti. Secondo i dati, quelli a tempo pieno impegnati nella politica digitale sono ora 890, contro i 699 del 2023, di cui 437 con badge per l’accesso libero al Parlamento europeo.
Nella prima metà del 2025, le aziende tecnologiche hanno dichiarato 146 incontri con il personale della Commissione europea, con focus sull’intelligenza artificiale e sul codice di condotta del settore. I deputati del Parlamento europeo hanno registrato 232 incontri con lobbisti tech. Praticamente più di un incontro al giorno con funzionari della Commissione europea. Le Ong sottolineano come la trasparenza negli incontri sia migliorata, ma manchino ancora meccanismi vincolanti per garantire responsabilità effettiva.
PRESSIONI SULL’AI ACT E IL FUTURO DELLE NORME SULL’IA
E il lavoro dei lobbisti a Bruxelles sta producendo i suoi effetti. A un anno dall’adozione dell’AI Act, volto a ridurre i rischi legati all’intelligenza artificiale, l’Ue – secondo Politico – sta già valutando la sospensione temporanea di alcune parti della normativa, nonostante a settembre abbia dichiarato di non prendere in considerazione un’ipotesi di “stop the clock” o di sospensione della fase di attuazione delle norme sull’IA. Tuttavia, il pacchetto di semplificazione digitale in uscita a metà novembre includerà possibili misure di alleggerimento degli oneri per le aziende soggette all’AI Act.
Il dibattito sul rinvio dell’AI Act, osserva Euronews, arriva tra l’altro in un contesto di forte pressione politica internazionale: a febbraio, il vicepresidente statunitense JD Vance ha dichiarato che “in Europa la libertà di espressione è in ritirata” e ad agosto il segretario di Stato Marco Rubio ha invitato i diplomatici a indebolire il Digital Services Act dell’Ue.
L’ex presidente della Bce ed ex premier Mario Draghi ha definito l’AI Act una “fonte di incertezza”, mentre 31 gruppi per i diritti digitali hanno contestato la Commissione europea e i governi Ue per ritardi nell’applicazione delle regole. La Commissaria per la Tecnologia, Henna Virkkunen, ha indicato che se gli standard tecnici non saranno pronti in tempo, non si può escludere un rinvio di alcune parti del AI Act.






