Perché la Russia non è ancora fallita? Le sanzioni che dallo scorso 22 febbraio pesano sulla Russia non sembra che ne abbiano inficiato la capacità militare o danneggiato l’economia. “E’ un pacchetto che danneggerà la Russia – aveva promesso l’Alto Rappresentante Ue della Politica Estera Josep Borrell quando fu emanato il primo pacchetto di sanzioni -. Sarà colpita la capacità dello Stato russo e del Governo di accedere al nostro mercato dei capitali e finanziari e dei servizi con limitazioni all’offerta di finanziamento e all’accesso del loro debito sovrano”. I target delle sanzioni dovevano essere “i decisori responsabili” della guerra all’Ucraina e “le banche che stanno finanziando i decisori russi”. Da allora si sono succeduti altri quattro pacchetti di sanzioni, eppure la Russia non è ancora fallita.
Stop carbone e high-tech: il quinto pacchetto di sanzioni contro la Russia
La UE ha approvato il quinto pacchetto di sanzioni contro la Russia. Questo nuovo pacchetto comprende il divieto di export di prodotti high-tech e di import di alcune materie prime energetiche. Quest’ultimo è stato un tema molto dibattuto tra USA e Stati membri UE, storicamente dipendenti dai prodotti energetici russi. Al momento il pacchetto prevede solo lo stop al carbone di Mosca, con una prima fase di phasing out, restano fuori invece petrolio e gas. Verrà estesa la platea di personalità russe inserite nella black list europea, della quale dovrebbero far parte anche le due figlie di Vladimir Putin nate dal suo primo matrimonio. Le navi russe non potranno attraccare nei porti europei e gli autotrasportatori russi troveranno strada sbarrata in Europa. Stop all’import di una serie di prodotti russi, come cemento, legno e liquori. Infine a ulteriori 4 banche viene imposto lo stop alle transazioni con l’Ue. “Continueremo a degradare la capacità tecnologica e industriale della Russia”, ha spiegato la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, aggiungendo che l’embargo sul carbone “taglierà un’altra importante fonte di entrate per la Russia”.
Sanzioni inefficaci finora contro la Russia secondo la prof. Morini
“Non sono efficaci e non lo sono mai state storicamente. Non solo quelle nei confronti della Russia. Possono avere un effetto immediato dal punto di vista della reazione di chi è al potere ed eventualmente nell’opinione pubblica. Ma gli effetti reali si vedono nel medio-lungo periodo”. A parlare così, in un’intervista a “Il Mattino”, è la professoressa dell’Università di Genova Mara Morini, docente di Politics of Eastern Europe e Politica comparata, esperta di politica russa, coordina lo Standing Group “Russia e spazio post-sovietico” della Società Italiana di Scienza Politica (SISP), e per Il Mulino ha scritto un libro intitolato “La Russia di Putin”. Secondo Morini le sanzioni non hanno fatto male nemmeno agli oligarchi. “Non hanno prodotto nessun effetto nemmeno sugli oligarchi dal momento in cui si puntava al fatto che sanzionando gli oligarchi, questi ultimi avrebbero tentato di destituire o convincere Putin ad interrompere il conflitto – spiega la prof.ssa Morini -. Ma il rapporto tra Putin e questa seconda generazione di oligarchi è tale per cui gli oligarchi non hanno il potere di esercitare pressioni sulla sua persona. Anche dal punto di vista dell’opinione pubblica, il racconto di file davanti ai negozi, come ai tempi della Perestrojka, è falso”.
I movimenti della Banca Centrale Russa
A corroborare la tesi di inefficacia delle sanzioni arrivano le constatazioni dell’analista dell’Ispi, Matteo Villa, sui movimenti delle riserve della Banca Centrale Russa. “Nelle cinque settimane tra il 18 febbraio e il 25 marzo, le riserve della Banca centrale russa si sono ridotte di 39 miliardi di dollari, ovvero del 6% – scrive Villa nella sua analisi per l’Istituto diretto da Paolo Magri -. Se si considera che nello stesso periodo lo Stato russo ha incamerato un minimo di 15 miliardi di dollari, che equivalgono all’80% delle entrate derivante dalle esportazioni dei propri prodotti energetici verso il mondo (Paesi sanzionatori e non), in un solo mese”. Insomma la Banca centrale russa avrebbe avuto accesso a fondi in valuta estera che in teoria congelati.
Le sanzioni ‘bucate’
Matteo Villa sottolinea che non è possibile sapere la composizione di quel calo “ovvero quale tipologia di riserva (tra le diverse valute estere detenute e l’oro) la CBR abbia utilizzato”. Sta di fatto che le sanzioni occidentali avrebbero dovuto bloccare l’accesso a circa il 60% delle riserve della CBR “quelle depositate nei Paesi che hanno imposto il ban: gli Stati Uniti, i membri UE, il Regno Unito e il Giappone”. La Banca Centrale Russa avrebbe potuto usare liberamente le riserve in yuan cinesi o in valute di Paesi che non hanno sanzionato la Russia. “È tuttavia altamente improbabile che la Russia abbia venduto decine di miliardi in yuan in cambio di rubli, anche considerando che prima della crisi la CBR deteneva yuan per un valore equivalente a soli 89 miliardi di dollari”, afferma Villa. Quindi la BCR ha avuto accesso a riserve “occidentali”, in dollari e in euro, “utili sia per ripagare il debito sovrano e le obbligazioni che giungono a scadenza, sia per stabilizzare il tasso di cambio”.
Le riserve in dollari e in euro che impediscono il default di Mosca
In realtà i fondi in valute occidentali, in particolare quelli in dollari, non erano del tutto congelati. Come chiarisce un documento del Tesoro americano “le riserve della CBR non sono da considerarsi congelate nel caso in cui il loro utilizzo sia necessario a ripagare “interessi, dividendi o pagamenti del principale” in connessione con debiti o azioni della CBR o del Ministero del Tesoro russo”. In sostanza la Russia ha potuto continuare a pagare i suoi debiti usando dollari ed euro, cosa che, nei fatti, ne ha allontanato il default. Fallimento che invece le sanzioni avrebbero voluto provocare.
Il cambio di passo dopo la strage di Bucha
L’eccidio di Bucha ha fatto cambiare qualcosa. Dopo la strada nella cittadina vicino Kiev, “gli Stati Uniti avrebbero finalmente vietato ulteriori transazioni, provocando l’inizio di quel default tecnico russo su circa 600 milioni di dollari che non hanno potuto essere pagati, e che Mosca si è offerta di pagare in rubli”. Il Tesoro degli Stati Uniti ha interrotto i pagamenti del debito in dollari dai conti della Russia presso le banche statunitensi. Come scrive Repubblica, lo scorso lunedì Mosca, per la prima volta dal 24 febbraio, non è stata in grado di onorare in dollari, come contrattualmente previsto, i pagamenti sulle obbligazioni. Il regolamento, come da stessa ammissione di Mosca, è avvenuto in rubli. Il ministero delle Finanze guidato da Anton Siluanov, ha affermato di “aver adempiuto pienamente ai suoi obblighi”. JPMorgan Chase & Co., la banca che avrebbe dovuto ricevere i pagamenti lunedì, non è stata autorizzata a elaborare gli ultimi bonifici. Mosca ha pagato in rubli l’equivalente di 649,2 milioni di dollari, suddivisi in oltre 550 milioni di rimborso residuo su un titolo da 2 miliardi scaduto lunedì, più interessi su un’altra obbligazione di durata fino al 2042.
Default artificiale
Con quest’ultima azione gli Stati Uniti puntano a costringere la Russia a ricorrere alle riserve domestiche di dollari, foraggiate dalle esportazioni di petrolio e gas, sottraendole in questo modo al finanziamento del conflitto ucraino. Il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha precisato che “una situazione di default è teoricamente possibile ma sarebbe puramente artificiale. Non ci sono basi per un vero default”. Le agenzie di rating, però, potrebbero annunciare il default tecnico. “Pare ci sarà ancora un mese di tempo per pagare in dollari le cedole, a dispetto delle previsioni di un default entro marzo o i primi giorni del mese di aprile – dice la prof.ssa Morini -. Anche questa volta c’è stata una grande capacità di intervento immediato sulla politica economica da parte della governatrice della Banca Centrale russa Elvira Nabiullina”.