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Le mosse di Usa e Svizzera su Svb e Credit Suisse dimostrano i danni di Mes e bail-in

La Svizzera ha dimostrato anche l’inutilità dell’intervento di un fondo con risorse per definizione limitare come il Mes. Infatti le dimensioni dell’intervento di Berna evidenziano delle ridicole dimensioni sia del Fondo di Risoluzione Unico alimentato dai contributi delle banche (circa 60 miliardi a fine 2022) sia del prestito di pari importo che il Mes riformato potrebbe erogare per potenziarne la capacità di intervento.

 

Il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni non avrebbe potuto avere un assist migliore per consolidare ed avvalorare la posizione espressa in Parlamento mercoledì pomeriggio a proposito della mancata ratifica del Mes. È uno strumento vecchio e inadatto ai tempi attuali, l’ha definito la Meloni e, in ogni caso, si deve parlare almeno contemporaneamente di riforma del Patto di Stabilità e di completamento dell’Unione Bancaria, per sincronizzare questo fondo con le attuali esigenze. Finalmente ci presentiamo in Europa con una posizione negoziale che non ci vede schiacciati in un angolo.

Sono bastati pochi giorni e la realtà ha confermato tutto. Il Mes, nel migliore dei casi non serve, oppure fa solo danni. Da lunedì a giovedì, la gestione delle difficoltà di alcune banche Usa e del Credit Suisse da parte delle rispettive banche centrali ed autorità di regolazione, ha fatto strame degli strumenti da negozio di antiquariato (ad essere buoni, perché sono armi letali) che purtroppo abbiamo nell’eurozona. A partire dal Mes, per finire alla direttiva BRRD, quella che fa partecipare alle perdite di una banca anche i depositi oltre € 100mila.

Negli USA hanno di fatto esteso omnibus la protezione dei depositanti che il fondo di garanzia (FDIC) offre fino a 250mila dollari. In Svizzera, la Banca Centrale è intervenuta prestando al Credit Suisse $ 54 miliardi.

Da dove ha preso il denaro il FDIC? Dalla Fed, presso cui ha un conto da cui in questi giorni ha attinto senza limiti di sorta. E la Fed da dove ha preso quel denaro? Da nessuna parte, perché è nel suo potere “stampare” o, più propriamente emettere passività di banca centrale, senza limiti. Lo stesso è accaduto alla BNS. Un funzionario ha acceso il computer ed ha acceso un deposito a favore del Credit Suisse con una semplice scrittura contabile.

Crollano così miseramente gli improvvidi appelli alla ratifica del Mes piovuti da più parti. In California non hanno avuto bisogno di improbabili prestiti “paracadute” forniti all’autorità di risoluzione delle crisi bancarie – sarebbe questo il ruolo “salvifico” attribuito al Mes – ed anzi, hanno se ne sono bellamente infischiati di tutti i ragionamenti fatti a livello di organi di coordinamento internazionali in tema di protezione dei depositanti. E la rabbia dei regolatori europei, a cui è stato improvvisamente rotto il giocattolo, si è manifestata anche in modo scomposto con un clamoroso articolo sul Financial Times. È stato come prendere la direttiva sul bail-in e, indirettamente, cestinarla. Perché si è ritenuto – con argomenti anche ovviamente contestabili – che il rischio sistemico che ne sarebbe derivato per il sistema dei pagamenti e finanziario americano era troppo elevato. Quindi si sono garantiti anche i depositi oltre $ 250mila. Ma la Svizzera ha dimostrato anche l’inutilità dell’intervento di un fondo con risorse per definizione limitare come il Mes. Infatti le dimensioni dell’intervento di Berna (50 miliardi di Franchi) ci offrono l’immediata evidenza delle ridicole dimensioni sia del Fondo di Risoluzione Unico alimentato dai contributi delle banche (circa 60 miliardi a fine 2022) e del prestito di pari importo che il Mes riformato potrebbe erogare per potenziarne la capacità di intervento.

Qualcuno crede che si possa risolvere una crisi bancaria in Eurozona con 120 miliardi, quando una sola banca svizzera ne ha richiesti oltre 50, sperando che bastino? Questo significa salvare le banche con i soldi dei contribuenti (bail out), come è stato anche sostenuto? Ora non è possibile dirlo con certezza, perché sarà il tempo a dire quanto si realizzerà dagli attivi delle banche coinvolte. Ma si è stabilito, di fatto almeno, un principio: le banche possono fallire e perdono soldi gli azionisti e gli obbligazionisti, ma i depositanti non sono investitori ma risparmiatori e semplici utenti di un servizio di pagamento, la cui stabilità è un bene supremo da difendere ad ogni costo. Non a caso, l’articolo 47 della Costituzione “tutela il risparmio”.

Se qualcuno non fosse ancora convinto della validità della posizione negoziale assunta dal governo e della drastica debolezza degli strumenti che (non) abbiamo nell’Eurozona, lo lasciamo con le parole di Ignazio Angeloni (già in Bankitalia ed in Bce in posizioni di rilievo) che ieri sul Sole 24 Ore ha scritto:

“Ciò a cui abbiamo assistito è la conseguenza non della strategia arrischiata di una banca, ma di condizioni monetarie espansive mantenute a lungo senza una strategia di uscita tempestiva. Richiama quindi l’attenzione su cosa la politica monetaria può fare per prevenire l’instabilità finanziaria. E in Europa sulla necessità di avere un’autorità di gestione delle crisi forte, indipendente, professionale e dotata di mezzi finanziari e strumenti di intervento. La cosa che, a dieci anni dal lancio dell’Unione bancaria, ancora non abbiamo”.

Sì, avete letto bene. “Non abbiamo”. In Europa, in caso di crisi bancaria, fermeremo il vento con le mani.

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