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Mercati

Le banche centrali aumenteranno la volatilità del mercati?

Outlook mercati: si prospetta un aumento della volatilità anche per colpa delle banche centrali. L'analisi di William Davies, Global Chief Investment Officer di Columbia Threadneedle Investments 

Solitamente quando le banche centrali agiscono all’unisono offrono supporto ai mercati e la volatilità tende a diminuire. Al contrario, guardando alla situazione attuale, l’eventuale divergenza nelle tempistiche o nell’entità dei tagli dei tassi potrebbe causare un lieve incremento della volatilità. I tassi d’interesse scenderanno, ma meno rapidamente di quanto previsto da alcuni operatori. Tuttavia, riteniamo che la resilienza dell’economia globale sosterrà le azioni; pertanto dovremmo osservare ulteriori rialzi da qui a fine anno. Storicamente le riduzioni dei tassi d’interesse favoriscono le small cap ed esaminando i fattori che hanno trainato i mercati negli ultimi 18 mesi circa, possiamo notare come diverse società a grande capitalizzazione, le così dette mega cap, abbiamo sovraperformato. A nostro avviso è probabile che nei prossimi mesi del 2024 e nel corso del 2025 assisteremo ad un progressivo ampliamento del mercato. In generale, ci aspettiamo che nei prossimi anni l’inflazione viaggi a livelli superiori a quelli del primo ventennio di questo secolo, durante i quali è rimasta generalmente al di sotto del 2%. In particolare, pur escludendo un ritorno a livelli superiori al 6-7%, riteniamo difficile una discesa ulteriore dall’attuale tasso del 3-4% negli Stati Uniti verso il 2%.

Guardando poi ai principali rischi a livello macro, i fattori geopolitici restano ad oggi una fonte di preoccupazione: i conflitti in Ucraina e in Medio Oriente potrebbero infatti destabilizzare i mercati e incrementarne la volatilità. Nel complesso, il quadro geopolitico continuerà sicuramente a rappresentare un rischio da attenzionare con cura nel prossimo futuro. Un altro fattore problematico da considerare sono i disavanzi di bilancio dei vari paesi. Al momento, in Europa i deficit statali si aggirano intorno al 4%, mentre negli Stati Uniti intorno al 5-6%. Con tassi d’interesse prossimi allo zero, i costi di mantenimento del debito non sono necessariamente molto alti, mentre con tassi intorno al 5%, quest’ultimi aumentano notevolmente. È quindi necessario che nel tempo i deficit pubblici comincino a ridursi, per quanto dal punto di vista politico sia molto più facile incrementare la spesa, ridurre le imposte e far salire il disavanzo, piuttosto che fare il contrario. Questo rappresenta di per sé un rischio, poiché in molti paesi europei il rapporto deficit complessivo/PIL è pari all’incirca al 100% (in Germania è leggermente inferiore), e lo stesso vale per gli Stati Uniti, determinando la presenza di flussi finanziari destinati al mantenimento di tale debito piuttosto elevati.

C’è un infine un altro aspetto da sottolineare: abbiamo visto l’inflazione scendere da livelli prossimi all’8% fino a raggiungere il 2%, 3% e 4%. Un eventuale nuova impennata dell’inflazione dovuta a sviluppi geopolitici o di altra natura, unita alla minaccia di tassi d’interesse in aumento invece che in calo, rappresenterebbe uno shock per i mercati, che reagirebbero negativamente. Pertanto, riassumendo, i tre rischi chiave che vediamo oggi a livello macroeconomico sono rappresentati dal quadro geopolitico, dai deficit fiscali degli Stati e da un eventuale nuovo aumento dell’inflazione.

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