Solitamente quando le banche centrali agiscono all’unisono offrono supporto ai mercati e la volatilità tende a diminuire. Al contrario, guardando alla situazione attuale, l’eventuale divergenza nelle tempistiche o nell’entità dei tagli dei tassi potrebbe causare un lieve incremento della volatilità. I tassi d’interesse scenderanno, ma meno rapidamente di quanto previsto da alcuni operatori. Tuttavia, riteniamo che la resilienza dell’economia globale sosterrà le azioni; pertanto dovremmo osservare ulteriori rialzi da qui a fine anno. Storicamente le riduzioni dei tassi d’interesse favoriscono le small cap ed esaminando i fattori che hanno trainato i mercati negli ultimi 18 mesi circa, possiamo notare come diverse società a grande capitalizzazione, le così dette mega cap, abbiamo sovraperformato. A nostro avviso è probabile che nei prossimi mesi del 2024 e nel corso del 2025 assisteremo ad un progressivo ampliamento del mercato. In generale, ci aspettiamo che nei prossimi anni l’inflazione viaggi a livelli superiori a quelli del primo ventennio di questo secolo, durante i quali è rimasta generalmente al di sotto del 2%. In particolare, pur escludendo un ritorno a livelli superiori al 6-7%, riteniamo difficile una discesa ulteriore dall’attuale tasso del 3-4% negli Stati Uniti verso il 2%.
Guardando poi ai principali rischi a livello macro, i fattori geopolitici restano ad oggi una fonte di preoccupazione: i conflitti in Ucraina e in Medio Oriente potrebbero infatti destabilizzare i mercati e incrementarne la volatilità. Nel complesso, il quadro geopolitico continuerà sicuramente a rappresentare un rischio da attenzionare con cura nel prossimo futuro. Un altro fattore problematico da considerare sono i disavanzi di bilancio dei vari paesi. Al momento, in Europa i deficit statali si aggirano intorno al 4%, mentre negli Stati Uniti intorno al 5-6%. Con tassi d’interesse prossimi allo zero, i costi di mantenimento del debito non sono necessariamente molto alti, mentre con tassi intorno al 5%, quest’ultimi aumentano notevolmente. È quindi necessario che nel tempo i deficit pubblici comincino a ridursi, per quanto dal punto di vista politico sia molto più facile incrementare la spesa, ridurre le imposte e far salire il disavanzo, piuttosto che fare il contrario. Questo rappresenta di per sé un rischio, poiché in molti paesi europei il rapporto deficit complessivo/PIL è pari all’incirca al 100% (in Germania è leggermente inferiore), e lo stesso vale per gli Stati Uniti, determinando la presenza di flussi finanziari destinati al mantenimento di tale debito piuttosto elevati.
C’è un infine un altro aspetto da sottolineare: abbiamo visto l’inflazione scendere da livelli prossimi all’8% fino a raggiungere il 2%, 3% e 4%. Un eventuale nuova impennata dell’inflazione dovuta a sviluppi geopolitici o di altra natura, unita alla minaccia di tassi d’interesse in aumento invece che in calo, rappresenterebbe uno shock per i mercati, che reagirebbero negativamente. Pertanto, riassumendo, i tre rischi chiave che vediamo oggi a livello macroeconomico sono rappresentati dal quadro geopolitico, dai deficit fiscali degli Stati e da un eventuale nuovo aumento dell’inflazione.