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Le 4 bombe (zeppe di timori) del super europeista Moavero Milanesi sul Recovery Fund

Che cosa ha scritto l'ex ministro degli Affari Europei nei governi Monti e Letta, poi ministro degli Esteri nel Conte 1, Enzo Moavero Milanesi, sul Recovery Fund

 

Spentasi l’eco di una consultazione elettorale locale che, a sentire tutti i contendenti prima dell’esito del voto, non avrebbe avuto alcuna ripercussione a livello politico nazionale, è forse il caso di tornare a parlare di fatti e persone che invece incidono, ed incideranno ancora di più, pesantemente sul destino del Paese. Parliamo del Recovery Fund. 750 miliardi da spendere tra i 27 Stati membri nel triennio 2021-2023. 65 miliardi di sussidi e 127 miliardi di prestiti a favore dell’Italia.

Sabato è passato sostanzialmente sotto silenzio un editoriale di Enzo Moavero Milanesi sul Corriere della Sera che invece conviene commentare quasi parola per parola, in quanto contiene e conferma tutti i dubbi che si manifestano ormai da mesi.

La differenza rilevante, direi enorme, è che l’autore non è un quisque de populo. Già ministro degli Affari Europei con Mario Monti ed Enrico Letta, poi ministro degli Esteri nel Conte 1, Moavero è uno che in Europa ci è nato ed è un profondo conoscitore delle cose di Bruxelles. Quindi se decide di prendere carta e penna e di scrivere le sue perplessità, significa che il problema c’è, ed è pure di grande rilevanza.

Moavero, come noi, si è sobbarcato la lettura delle centinaia di pagine di bozze di regolamenti pubblicati dalla Commissione sin dal 28 maggio, a cui si sono aggiunte le linee guida ed i documenti di lavoro pubblicati giovedì 17. E, a giudicare dalle parole usate dal professore, pur avvolte dal solito tono felpato, deve essere letteralmente saltato sulla sedia.

Quattro le bombe di profondità sganciate che non mancheranno di sollevare un’adeguata massa d’acqua nei prossimi giorni:

  • La pretese del Parlamento Europeo di imporre l’esplicita condizione del rispetto dello Stato di diritto per accedere ai fondi, rischia di innescare il veto di Polonia e Ungheria al Recovery Fund. Milanesi non esclude “possibili colpi di coda degli scontenti del compromesso raggiunto a luglio al Consiglio Europeo”.
  • Poiché i sussidi ed i prestiti non pioveranno dal cielo, la Commissione si indebiterà sui mercati e dovrà rimborsare quelle somme dal 2028 con entrate proprie e cioè con tasse e contributi richiesti agli Stati membri. Ciò significa un notevole incremento del budget (fino al 2% del Reddito Nazionale Lordo, dall’ordinario 1,4%) alimentato con tasse, come quella sul digitale, sulla plastica, sulle emissioni di CO2, che sono da anni oggetto di discussioni senza esito. Moavero avverte che “la sua approvazione richiede l’unanimità al Consiglio Ue e, poi, il voto favorevole in tutti i Parlamenti degli Stati. Se uno soltanto dicesse no, lo scenario muterebbe di netto e, come minimo, il saldo positivo del flusso finanziario si ridurrebbe parecchio. Un guaio per l’Italia che vedrebbe quasi dimezzate le sovvenzioni annunciate”.
  • C’è totale incertezza giuridica. Ad oggi Recovery Fund semplicemente non esiste, non esiste uno straccio di strumento legislativo a cui fare riferimento. infatti l’accordo del 21 luglio a Bruxelles ha un valore meramente politico e le bozze di regolamento pubblicate dalla Commissione a fine maggio, “potrebbero cambiare perché sinora non adottate né dal Parlamento europeo, né dal Consiglio”. Oggi si discute quindi di “un singolare effluvio di «soft-law» precorre, con precisazioni, chiarimenti e interpretazioni la formale disciplina del fondo che per ora non c’è”. Insomma, stiamo parlando del nulla.
  • Come se non bastasse, le bozze della Commissione che comunque “contengono disposizioni severe e insolitamente meticolose”, si distinguono per:
    1. consentire una, sia pur temporanea, riduzione delle tasse. Una misura limitata a 2-3 anni, con tutti i limiti connessi alla temporaneità, sempre purché sia “funzionale al varo di una riforma strutturale”.
    2. Prevedere l’applicabilità delle norme sugli aiuti di Stato. “A cosa serve allora, nel quadro eccezionale del Recovery Fund, ribadire l’esigenza delle complicate procedure ad hoc sugli aiuti statali, che possono portare a escludere svariate imprese dai benefici?” Si chiede un attonito Moavero a cui “sfugge la logica” di tale previsione.
    3. Da ultimo, e questo è proprio clamoroso, contenere il richiamo alle norme del Semestre Europeo ed alla procedura d’infrazione che, ancorché sospese, pendono su Paesi come il nostro che “se si trovano in tale procedura d’infrazione e tardano nelle azioni correttive per uscirne, i finanziamenti del Recovery Fund potrebbero essere sospesi a guisa di sanzione”. Un “disegno opinabile, dato che sono proprio gli Stati – come la nostra Italia – in maggiore difficoltà di bilancio e quindi, passibili di procedura ad avere più necessità di fondi Ue (straordinari e ordinari)”. Dove “opinabile”, nel linguaggio diplomatico significa clamorosa sciocchezza che Moavero rimarca sostenendo che “una siffatta condizione incombe sull’avvenire e rende questi Stati ulteriormente subordinati a eventuali future raccomandazioni e prescrizioni macroeconomiche dell’Unione”.

In definitiva, quando vi scrivevamo che il Recovery Fund era lo strumento per affossare definitivamente ogni autonoma scelta di politica economica dell’Italia e conseguente prospettiva di crescita e quindi segnare la definitiva subordinazione del nostro Paese a Bruxelles, peccavamo di eccessivo ottimismo.

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