Al netto dei forfetari, gli autonomi dichiarano molto più dei dipendenti, che a loro volta, nel complesso, sono appaiati ai redditi dichiarati dai pensionati (si veda la Tabella in pagina). E’ questa la tendenza che si evince dalle prime analisi delle dichiarazioni Irpef per l’esercizio 2023, in particolare relativamente allo spaccato dei residenti nelle sei principali città della penisola.
Oltre a confrontare reddito da lavoro dipendente con quello da pensione, l’analisi si estende al “lavoro autonomo allargato”, nel quale convergono, in unica voce, i tre cespiti di lavoro da attività autonoma che possono far capo a uno stesso dichiarante: a) redditi della professione, b) redditi d’impresa (esclusi i forfetari), c) redditi da partecipazione in società di persone.
Come meglio si potrà evincere dalla Tabella in pagina, in cima alla classifica del lavoro autonomo vi è, con un importo significativo, Milano (€ 70.712), seguito, con ammontari che a loro volta non disdegnano, da Roma (€ 46.775), Bari (€ 40.966), Genova (€ 40.709), Torino (€ 38.675), Palermo (€ 38.669) e Napoli (€ 35.397). Facendo la media delle sei città si rileva che il dichiarato medio del titolare di lavoro autonomo (€ 44.487) supera del 72% quello medio del lavoratore dipendente (€ 25.834).
E’ un dato inatteso, che smentisce la credenza diffusa che tradizionalmente associa gli autonomi a dichiarazioni microscopiche, largamente inferiori alle medie del lavoro dipendente. Il motivo, però, è presto detto. Ed è che il portale Mef degli “open data” non ha pubblicato i dati dei contribuenti forfetari, e quindi in questa sede il confronto si è potuto fare conteggiando, come autonomi, solamente le partite Iva ‘strutturate’, con volume d’affari oltre 85mila euro.
Senza volerlo, tuttavia, questa analisi disvela un dato interessante, poiché vuol dire che gli indizi di scarsa virtuosità fiscale degli autonomi non riguardano la totalità di questi ultimi, ma solo una parte di essi. Che si concentra fra due categorie di residenti: coloro che si ecclissano del tutto al Fisco, non dichiarando nulla (media del 30% fra le sei principali città, vedasi Tabella in questo articolo), e coloro che si dichiarano forfetari, nei casi in cui vengono loro consentiti margini di sottofatturazione del corrispettivo.
Il tema dell’equità fiscale di massa fra categorie, quindi, si dovrebbe porre non più genericamente fra dipendenti e autonomi, ma fra dipendenti e “autonomi strutturati”, da un lato, e ampie fasce di forfetari e potenziali evasori totali, dall’altra. Si capisce quindi come chi vive fiscalmente alla luce del sole, dichiarando sopra gli 85mila euro, si senta condannato al suo inferno fiscale, con il risultato, tuttavia fiscalmente apprezzabile, di portare in dichiarazione guadagni medi di tutto rispetto. Mentre, invece, chi si è insinuato nel paradiso fiscale del sommerso, o del “quasi sommerso”, ormai da oltre un decennio è abituato a sentirsi schermato dall’impunità, una sorta di eterna zona franca, mai controllata dal Fisco, poiché tecnicamente non contrastabile in base alle normative tuttora in vigore da più lustri.
Ovviamente, guai a fare di tutt’erbe un fascio. Tra i forfetari, invero, sono ricomprese da un lato, alcune categorie ‘tecnicamente sfigate’ e quindi senza scorciatoia alcuna (come, a esempio, i free lance, condannati a non poter evadere neppure un euro sui ricavi erogati dal committente) e, dall’altro lato, quelle partite iva (e sono la stragrande maggioranza) che, invece, possono decidere a piacimento – e senza tema di controllo – se evadere o meno tutto quello che serve per rimanere più bassi possibile, e comunque sotto la soglia, divenuta negli ultimi anni di estrema convenienza fiscale, oggi costituita dai fatidici 85mila euro nominali.
Stiamo parlando dell’universo mondo dei “piccoli sulla carta”, ovvero di quei forfetari che hanno come controparte un consumatore finale privato, anziché una impresa strutturata o una pubblica amministrazione: soggetti, questi ultimi, verso i quali sottofatturare i ricavi sarebbe materialmente molto complicato.
Tutto porta a concludere, in definitiva, che l’evasione fiscale di massa è essenzialmente problema tecnico e non problema politico.