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Quota 100

Verità e bugie su Inpgi e giornalisti

Che cosa celano le polemiche sulla decisione del governo di far confluire l'Inpgi nell'Inps. E perché Giavazzi parlando a nome di Palazzo Chigi ha commesso quanto meno un errore di forma... L'opinione di Giuliano Cazzola

 

Start Magazine è stato uno dei primi quotidiani ad occuparsi di una norma del ddl bilancio che prevede l’incorporazione dell’INPGI 1 (la gestione che viene definita obbligatoria dimenticando che anche l’iscrizioni all’INPGI 2 è un obbligo di legge per talune categorie di giornalisti) nell’Inps, a partire dal 1° luglio 2022. Ma il quotidiano che ha condotto una vera e propria campagna pro veritate è stato Il Foglio in particolare con gli articoli ben documentati di Luciano Capone.

E’ giusto dare a Cesare (Luciano) quel che è di Cesare (Luciano) per un riconoscimento che gli è stato attribuito addirittura da Francesco Giavazzi, il quale – con una lunga lettera al giornale sottoscritta insieme a Simona Genovese – ha replicato alle critiche di Capone. Se mi è permesso esprimere delle opinioni su questa iniziativa, penso che il prof. Giavazzi abbia commesso almeno due errori. Il primo – a mio avviso molto grave – è quello di aver coinvolto Palazzo Chigi nella polemica su di aspetto del ddl di bilancio.

Giavazzi è uno stretto collaboratore del premier e non può non tirarlo in ballo quando esprime delle valutazioni sulle norme della manovra. Infatti, i media non hanno avuto dubbi ad attribuire la lettera alla Presidenza del Consiglio o persino al governo. Dove sta l’errore, dunque? Nell’aver coinvolto Draghi in un’iniziativa più ispirata dall’opportunità politica che dalla buona amministrazione.

In sostanza, il mondo dell’editoria e della stampa è stato trattato con riguardo per non sottoporsi alle sue ritorsioni, in un momento in cui l’esecutivo ha in corso la sessione di bilancio. Il premier potrebbe rispondere ‘’così va il mondo e non è colpa mia’’.

Ma fa tristezza scoprire che anche il ‘’Migliore’’ è condizionato dal quarto potere, al punto da risolvere il problema del dissesto finanziario della Cassa previdenziale dei giornalisti, ricoverandola ‘’armi e bagagli’’ nell’Inps e lasciando a quel gruppo dirigente che – nel bene e nel male – ha gestito lo sfascio, la titolarità della ditta appollaiata sull’Inpgi 2. Sembra la storia degli ‘’Ammutinati del Bounty’’, quando il cattivo comandante capitano Bligh e i marinai che gli restano fedeli vengono imbarcati su di una scialuppa in mezzo all’Oceano.

Giavazzi ha ragione su di un punto quando rivendica al governo di aver deciso dopo anni di inconcludenza e di dubbia vigilanza da parte delle autorità competenti, Ministero del Lavoro in prima fila. Il Conte 1 aveva negoziato con i vertici dell’Istituto una soluzione semplicemente scandalosa: deportare all’Inpgi 17 mila iscritti all’Inps al fine di compensare lo squilibrio tra contribuenti e prestazioni. Un’operazione destinata a fallire in partenza, perché a questi lavoratori doveva essere riconosciuto il diritto di opzione; e non si è mai visto qualcuno salire a bordo di una nave mentre sta affondando. Poi sarebbe stato come immettere carburante in un serbatoio bucato. Tra qualche anno il problema del ‘’che fare?’’ dell’Inpgi si sarebbe posto comunque. Se la ‘’questione Inpgi’’ ha trovato uno sbocco, non è detto che quello inserito nel ddl di bilancio sia il migliore e soprattutto il più equo.

Per farla breve, Giavazzi e Genovese rispondono alle critiche di Capone con una serie di argomenti relativi alla esigenza di tutelare i diritti acquisiti dei giornalisti (che non possono essere ritenuti responsabili degli errori dell’Inpgi), come peraltro è stato fatto nei casi di altre categorie di lavoratori dipendenti. Ne prendiamo atto, se non fosse che negli ultimi anni vi è stata una campagna contro i ‘’diritti acquisiti ‘’ di altre categorie, non solo dei parlamentari o ex parlamentari; l’ipotesi del ricalcolo contributivo anche per le quote legittimamente sottoposte al regime retributivo è stato ed è oggetto di discussione e costituirà probabilmente una componente della possibile via d’uscita – a sentire le parole ermetiche di Draghi – post quota 100.

Nella lettera i due consiglieri di Draghi, richiamando la giurisprudenza della Consulta in materia, esprimono invece dubbi di costituzionalità , riguardo a eventuali operazioni di ricalcolo ex-post dei benefici pensionistici, nonché a proposito di interventi di solidarietà sulla prestazioni in essere. E’ vero che la Corte Costituzionale ha sostenuto che il ricorso a questi contributi deve essere eccezionale, motivato e razionale. Salvo cambiare opinione l’ultima volta che si è occupata della materia giudicando legittimo il taglio sulle c.d. pensiono d’oro attuato nella legge di bilancio 2019 per la durata di cinque anni (poi ridotti a tre – l’unica osservazione sulla misura – dalla Consulta nella sentenza). Questo balzello pesante su di una platea ridotta (a salire in rapporto all’importo del trattamento) dovrebbe scadere quindi alla fine dell’anno.

Poi c’è la questione del mancato commissariamento, come previsto invece dal dlgs n. 509 del 1994. Alle argomentazioni dei due consiglieri che ormai non c’era più tempo per nominare un commissario che cercasse di rimettere in equilibrio il sistema facciamo rispondere da Luciano Capone che sottolinea come la legge preveda la possibilità di nominare un commissario liquidatore e come la scelta dell’incorporazione nell’Inps abbia comportato una sospensione delle norme di verifica e controllo introdotte nel 2019. Più in generale Giavazzi e Genovese anziché prendersela con Capone e Il Foglio (che pure hanno affrontato una questione praticamente segretata dai media, si dice per volere degli editori) dovrebbero rispondere alle osservazioni espresse dall’UPB durante l’audizione nella Commissione di bilancio del Senato.

Si tratta di una vera e propria requisitoria inoppugnabile, che si sofferma su di un altro aspetto di sistema: ‘’il salvataggio a carico del bilancio pubblico, oltre a indurre a sottovalutare l’inefficacia delle sorveglianze, finisce per premiare ex-post il moral-hazard degli organismi di gestione e dei rappresentanti di categoria, configurandosi come pericoloso precedente all’interno della previdenza di base che a oggi contempla ventitré Casse privatizzate tra il 1994 e il 1996, inclusa la INPGI-GS che rimane in vita dopo lo spinoff dell’INPGI-AGO’’. Vi è la preoccupazione che l’Inpgi-Ago sia la prima Cassa che vada a chiedere soccorso all’Inps, avvalendosi di quanto disposto dall’articolo 38 della Costituzione, come scrisse l’allora presidente Gabriele Cescutti all’indomani della introduzione del regime di privatizzazione per le Casse dei liberi professionisti fortemente voluto anche dall’Inpgi. Ma che altre seguiranno a breve.

La vera svolta sarebbe quella di istituire un Istituto previdenziale unificato delle libere professioni, con gestioni separate ma con un bilancio unitario, in modo di compensare – come avviene nell’Inps – avanzi e disavanzi che si formano nel tempo in conseguenza delle vicende di quel mercato del lavoro. In conclusione è dovuta una risposta ad un patriarca della previdenza dei giornalisti: Pier Luigi Roesler Franz ora sindaco dell’Inpgi, che se la prende con ‘’il partito dell’odio guidato da Tito Boeri’’. Quest’ultimo è in grado – e lo ha fatto – di difendersi da solo. Ma la definizione di ‘’partito dell’odio’’ va respinta al mittente e a tanti suoi colleghi che hanno retto al coda ai pm, che hanno distrutto senza alcun riguardo qualsiasi rispetto per la politica, dando corda e rilievo ad un’accozzaglia di incompetenti. Chi scrive ‘’mette mano alla pistola’’ se sente parlare di pensioni d’oro, ma questa definizione è stata inventata dai media. Fior di giornalisti hanno riempito le biblioteche speculando sulle pensioni altrui, senza alcun ritegno di fronte a quei ‘’diritti acquisiti’’ che dovrebbero essere difesi – secondo Giavazzi – per i giornalisti. Poi, mi perdoni Franz, perché il quale in un suo articolo ricorda tutte le nefandezze compiute in questo Paese per giustificare quelle perpetrate in favore della previdenza dei giornalisti? Troppo comodo dare tutte le colpe agli editori: la crisi del settore è dovuta a dei cambiamenti tecnologici, finanziari e del modo di fare comunicazione che è un passaggio della storia economica del mondo sviluppato. Il c.d. precariato non è il frutto della cattiveria degli editori, ma una condizione specifica attinente alla nuova organizzazione del lavoro.

Certo, non è un bel vedere; ma il settore non è più in grado di permettersi la figura del giornalista d’antan di altre epoche. Il rimprovero che si può fare all’Inpgi – ma è la logica di tutto il sistema pensionistico per cui è tempo perso continuare in questa polemica – è quello di aver voluto mantenere ai giornalisti dei tempi dell’abbondanza il medesimo status anche da pensionati, in tempi di carestia per quelli che sono venuti dopo. Ma in un sistema pubblico come quello italiano in cui 6,5 milioni di persone hanno usufruito dei trattamenti anticipati a fronte di 4,2 milioni di pensionati di vecchiaia, Franz e i suoi sodali sarebbero legittimati ad andare subito al sodo. Invece che discettare sui mali del mondo gli basterebbe ricordare questi dati. E magari dare un’occhiata al grafico dove si vede che il maggiore squilibro tra il metodo retributivo e quello contributivo sta nei trattamenti medio-bassi.

Un lavoratore ad alto reddito è maggiormente penalizzato, sul piano del rendimento dei suoi contributi, dal calcolo retributivo che non da quello contributivo. A questo proposito l’Inpgi non ha tutti i torti quando sostiene questa tesi; ma ciò avviene perché gli stipendi degli ex giornalisti ora in pensione erano piuttosto elevati.

inpgi

Magari sarebbe il caso di affermare, allora, che non ha senso riscrivere la storia, snaturare dopo decenni delle regole che bene o male valgono per 16 milioni di pensionati. E farlo attizzando l’invidia sociale nei confronti di chi nella vita ha fatto carriera, ha avuto più fortuna di qualche altro. Una sorta di cancel culture delle pensioni. E’ il mestiere che hanno esercitato i media negli ultimi trent’anni. Ora tocca a loro. Ma se la sono cercata.

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