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Mercati

Perché Usa e Uk hanno mandato i mercati sulle montagne russe

I mercati finanziari stanno attraversando un periodo di volatilità vertiginosa dovuto all'inflazione negli Usa e alle turbolenze nel Regno Unito. L'analisi di Sonal Desai, Chief Investment Officer di Franklin Templeton Fixed Income.

I mercati finanziari stanno attraversando attualmente un periodo di volatilità vertiginosa. Punto uno: il viaggio sulle montagne russe dei titoli statunitensi legato all’inflazione comunicata per settembre. Punto due: la turbolenza recente nei mercati finanziari del Regno Unito. La forte volatilità e l’incertezza elevata creano un contesto difficile per gli investitori. Secondo me la priorità assoluta per sviluppare una strategia degli investimenti di successo in questo contesto dovrebbe consistere nel definire i fondamentali. Questi suggeriscono due osservazioni: (i) parafrasando Tolstoy, tutti i mercati stabili si assomigliano, ma ogni mercato o paese instabile è instabile a modo suo; (ii) ciò nonostante nel contesto degli investimenti è in atto uno spostamento dei fondamentali trainato da forze strutturali che li accomunano.

Cominciamo con le riflessioni sull’inflazione. L’inflazione dei consumi resta a massimi record in tutte le principali economie sviluppate: a settembre è arrivata all’8,2% a/a negli Stati Uniti, 10% a/a nell’eurozona e 9,9% a/a nel Regno Unito (ad agosto)*. Queste cifre rappresentano tassi di inflazione che non si erano più visti da cinquanta anni a questa parte. Questo trend che li accomuna può essere solo riconducibile a un’unica causa: in effetti, lo shock dell’energia e i problemi delle catene di fornitura hanno avuto un ruolo importante in tutto il mondo. Eppure vi sono differenze sostanziali tra la natura delle pressioni dell’inflazione negli Stati Uniti e in Europa. Negli Stati Uniti, durante la pandemia vi è stata un’espansione fiscale massiccia, e lo stimolo fiscale persiste in forma di sussidi e programmi per la cancellazione del debito. L’eccesso di domanda è pertanto un propulsore importante dell’inflazione: sebbene il calo dei prezzi dell’energia abbia fatto scendere l’inflazione headline, l’inflazione core (esclusi alimentari ed energia) ha avuto un’accelerazione superiore alle aspettative, salendo al 6,6%: il livello più alto degli ultimi 40 anni. Quest’anno l’inflazione finora è stata mediamente del 6,2%, e non accenna a diminuire: al contrario, sta aumentando. L’ultima volta che è stata inferiore al 2% è stato a marzo dell’anno passato. La domanda aggregata intanto continua ad essere resiliente e il mercato del lavoro resta più rigido che mai. L’eccesso di domanda è un propulsore importante dell’inflazione, come ha riconosciuto – in ritardo – la Fed. La Fed pertanto non può fermare entro tempi brevi i rialzi dei tassi, e non lo farà; prevedo che il tasso dei Fed Fund potrebbe facilmente salire oltre il 5%. L’eurozona, essendo fortemente dipendente dal gas russo, ha risentito molto più duramente dello shock dell’energia, che è il propulsore principale dell’inflazione e rappresenta un rischio importante per la crescita. La Banca Centrale Europea (BCE) deve irrigidire la sua politica ma non ha bisogno di essere così aggressiva come la Fed.

Il Regno Unito subisce indiscutibilmente il peggio di entrambi i mondi: uno shock del prezzo dell’energia paragonabile all’eurozona, esacerbato da pressioni salariali. Con un sistema pensionistico più vulnerabile (una componente più pesante a benefici definiti ha trainato una ricerca di rendimento più estrema) così come il mercato residenziale (quota più ampia di ipoteche a tasso variabile), il Regno Unito deve affrontare rischi più seri sia sul piano dell’inflazione che della crescita. Queste differenze determinano una divergenza notevole nell’impostazione politica delle principali banche centrali, dalla svolta molto aggressiva della Fed all’atteggiamento di attesa della Bank of Japan, che a sua volta alimenta una volatilità extra nei mercati valutari. Alle spalle di queste sfide diverse vi è tuttavia anche un altro fattore in comune: le politiche monetarie globali eccessivamente accomodanti per un periodo di tempo eccessivo. L’elemento scatenante sono stati gli shock delle forniture, tuttavia le condizioni monetarie accomodanti hanno consentito alle pressioni dell’inflazione di allargarsi su ampia base. L’altra considerazione importante per gli investitori, è che stiamo assistendo a un ritorno al centro della scena dei fondamentali economici e finanziari. Era chiaro che un mondo di tassi d’interesse pari a zero, allentamento quantitativo senza fine e debito in crescita persistente non sarebbe stato sostenibile. Illudersi che avrebbe potuto durare per sempre si è svelato per quello che è: una pia illusione. I sostenitori della Teoria della Moneta Moderna tacciono. La transizione a un ritorno alla realtà sarebbe sempre stata difficile.

Da qui deriva la volatilità, considerando che le strategie mirate alla ricerca di reddito ideate per un contesto di “stagnazione secolare” vanno completamente riviste. Con il ritorno al centro della scena dei fondamentali, le strategie d’investimento devono imperniarsi su una valutazione più realistica delle eventuali prospettive della politica e concentrarsi più che mai sull’analisi dei fondamentali. Prevedo che l’inflazione resterà più elevata più a lungo, e che la Fed dovrà quindi necessariamente mantenere un’impostazione politica più rigida per un periodo di tempo prolungato. Lo scenario che ritengo più probabile è quello di una recessione modesta che accompagnerebbe una lenta disinflazione. Non credo che torneremo a un mondo di tassi d’interesse estremamente bassi, o perlomeno solo in tempi molto lontani.

Ciò implica un cambiamento molto importante nel contesto dell’investimento obbligazionario. Rendimenti più elevati porteranno nuove opportunità generatrici di reddito e spostamenti di rilievo nelle determinazioni del rapporto rischio-rendimento. Sono convinto che i rendimenti siano destinati a salire ulteriormente, ma con l’avvicinarsi del picco del ciclo i primi a beneficiarne saranno i Treasury USA e le obbligazioni investment grade. Guardando in generale le classi di asset più rischiose, quali l’high yield e i mercati emergenti, siamo convinti che nei prossimi trimestri una selezione oculata dei titoli consentirà agli investitori di cominciare ad avvantaggiarsi di rendimenti che attualmente in molti casi sono superiori al 10%.

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