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Industria Difesa

Tutte le sfide per l’industria italiana della difesa

La de-globalizzazione sta cambiando l'industria della difesa italiana. Ecco come. L'articolo di Giuseppe Cossiga, presidente di Aiad, la Federazione delle aziende italiane per l’aerospazio, la difesa e la sicurezza di Confindustria.

L’industria della difesa nazionale è un soggetto – o, se si preferisce, un attore – economico articolato in plurime realtà aziendali (oltre 180 quelle federate in Aiad), ciascuna strutturata per realizzare prodotti e servizi destinati alle Forze armate nazionali ed estere nel rispetto delle norme che regolano la produzione e le esportazioni di forniture militari. Si tratta di una realtà industriale a servizio degli indirizzi politici del Paese in tema di difesa e sicurezza.

Tale scarna definizione, largamente applicabile anche a omologhe realtà nei Paesi occidentali, è utile al fine di ricomprendere nel campo dell’analisi alcune delle sfide e opportunità, evocate nel titolo, che rischierebbero di restare ai margini se si concentrasse l’attenzione sui soli impatti degli ampi e complessi processi in atto nello scenario di riferimento.

Merita a questo scopo anche riflettere sul significato di globalizzazione. Il termine, affermatosi a partire dagli anni ’90 del secolo scorso per definire il processo di integrazione delle economie a seguito della caduta di barriere politiche e dello straordinario sviluppo tecnologico, nasce in realtà con tutt’altra accezione tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX per identificare uno specifico processo cognitivo infantile, in base al quale il bambino apprende sincreticamente, ovvero non nei particolari, ma globalmente e in modo generico, e solo poi mette a fuoco gli elementi di dettaglio.

Questa precisazione aiuta a comprendere – ancor più utilmente ora che si sente parlare di de-globalizzazione – che le realtà rappresentate in modo sincretico vanno lette ed interpretate considerando anche gli aspetti di dettaglio che le compongono e le dinamiche che tali dettagli legano. Per un lungo lasso di tempo è mancata la consapevolezza di come il processo di globalizzazione sia stato ispirato e guidato quasi esclusivamente da logiche e leggi commerciali che i governi occidentali hanno assecondato perché funzionali alla crescita del proprio Pil, ritenuto parametro indiscusso della potenza di un paese (“Il silenzio di Puskin”, Limes 2/2022).

Gli effetti distorsivi di tale impostazione appaiono oggi evidenti, come evidenti sono le negative ricadute che tali effetti hanno determinato sull’industria della difesa.

LE CONSEGUENZE DELLA PANDEMIA E DELLA GUERRA IN UCRAINA

Merita un accenno come la crisi pandemica da Covid prima e poi la guerra in Ucraina abbiano messo in luce dettagli che il processo di globalizzazione, per quanto studiato e rappresentato, aveva velato. Si pensi, in primo luogo, alla concentrazione di definite produzioni o di specifici componenti in determinate aree geografiche (come i semiconduttori o, più banalmente, in ambito sanitario le mascherine in Cina), scelta correlata ai noti vantaggi di costo produttivo. In questo caso, per dirla con Thomas Friedberger, Co-Chief Investment Officer e Chief Executive Officer di Tikehau Investment Management, la globalizzazione si è rivelata sinonimo di fragilità

Se si guarda quindi alla realtà delle aziende della difesa federate Aiad, in particolare a quella delle Pmi che operano nel settore del munizionamento, il conflitto russo-ucraino ha comportato un innalzamento della domanda che, non riuscendo a trovare diretta e corrispondente crescita dell’offerta – concentrata in poche unità produttive geograficamente definite – ha generato un’inevitabile tensione sui tempi di approvvigionamento (risultati da due a quattro volte superiori all’ordinario), su quelli di produzione, e quindi sui costi e, inevitabilmente, sui prezzi.

Questo è un caso che, partendo dal complesso dato economico-commerciale, evidenzia la necessità di un approccio nella prospettiva politico-strategica di favorire accordi di fornitura che consentano il ricorso a fonti alternative, nonché una pianificazione della domanda a medio lungo termine, sulla cui base impostare eventuali decisioni di investimento industriale volto ad incrementare la capacità.

Ove possibile, il processo di differenziazione delle fonti di approvvigionamento determina il superamento delle dinamiche di concentrazione dei fornitori, caratteristiche del mercato globalizzato. In questo senso infatti – soprattutto a livello macro – si comincia a ragionare in termini di de-globalizzazione o di regionalizzazione dell’economia.

COME CAMBIERÀ L’INDUSTRIA DELLA DIFESA

In sostanza, di fronte alle turbolenze di ordine geopolitico come quelle generate dal conflitto russo-ucraino e dalle tensioni Usa-Cina, si percepisce il bisogno di riequilibrare il complesso rapporto tra ragioni economico-commerciali e politico-strategiche, nell’ambito di un processo volto a consolidare la resilienza dei sistemi-Paese.

In particolare l’industria della difesa è investita da tutti questi fenomeni anche e soprattutto a causa della sua peculiare natura: pur conservando la forma di azienda e quindi la soggezione alle regole del mercato, essa non può sottrarsi dall’essere partecipe degli indirizzi di politica di sicurezza e difesa e di politica estera che provengono dal governo e dal parlamento.

Finita la Guerra fredda, era via via maturato un diffuso sentimento contro l’industria della difesa, per cui convenzionalmente si preferiva rappresentarla attraverso le caratteristiche maggiormente connesse alla dimensione economica: volano per la crescita tecnologica del Paese, settore caratterizzato dalle elevate capacità moltiplicative del reddito prodotto, forte contributore all’export.

L’improvvisa svolta che stiamo vivendo, segnata dall’invasione dell’Ucraina, ha messo definitivamente da parte l’illusione a lungo coltivata dell’eternità della Pax Europaea. Oggi anche il mondo della finanza, come evidenziato nel recente studio di Mediobanca (“Multinazionali industriali mondiali: analisi settoriali e focus sulla difesa”, 4 aprile 2023) guarda “al mondo della difesa con occhi diversi, inserendo tra i fattori di valutazione anche la sicurezza in senso lato, ovvero la tutela dei valori democratici”.

Se la finanza giunge a considerare e valutare ai fini dei propri parametri di investimento fattori non finanziari, quale è appunto la difesa e sicurezza di un Paese o di una intera area, appare cruciale che nelle appropriate sedi istituzionali si esprimano nei confronti di tale comparto industriale indirizzi che garantiscano l’opportuno sostegno alle scelte di investimento e di alleanze strategiche. Si tratta di un cambio di passo che, anche tenendo conto delle esigenze di breve e medio-lungo termine nell’ambito della politica di difesa nazionale, favorisca la partecipazione al processo di consolidamento di una base industriale integrata di dimensione europea. Solo in questa prospettiva, si può scampare il pericolo (immanente) di restare marginalizzati sia in termini economico-finanziari sia politico-strategici.

D’altra parte, non è fuori luogo affermare che l’appartenenza alla Nato, cui fa capo circa il 55% della spesa mondiale per la difesa, richiede livelli di spesa perequati tra i diversi Paesi, per consentire un’adeguata partecipazione allo standard difensivo dell’alleanza nord atlantica.

VELOCI ED EFFICACI

Sotto altri profili, la vera sfida di oggi è quella di riuscire ad essere più veloci ed efficaci, conseguendo quel margine di vantaggio qualitativo che le nuove tecnologie permetteranno nei diversi ambiti dei cinque domini di operazioni (terrestre, marittimo, aereo, spaziale, cibernetico). A questo scopo è inoltre fondamentale definire le priorità per realizzare competenze e capacità industriali necessarie all’autonomia strategica e tecnologica del settore, a partire da:

  • sicurezza degli approvvigionamenti / stoccaggio di componenti long-lead;
  • espansione della capacità progettuale e produttiva e relative risorse umane / competenze con sostenibilità di lungo periodo e nuovi modelli contrattuali;
  • nuove tecnologie abilitanti da correlare a comuni esigenze operative tra SM;
  • predisposizione a ramp-up;
  • espansione ed accelerazione del supporto logistico con nuovo ruolo per l’industria.

Le considerazioni che precedono, peraltro, debbono tenere conto delle oggettive difficoltà, ampliate dal conflitto in atto, di ottenere autorizzazioni all’importazione.

Vi è la diffusa contezza che l’autonomia strategica e tecnologica, anche alla luce delle lessons learned del conflitto in Ucraina, vada primariamente ricercata e già alcuni Paesi sono orientati ad allineare le priorità capacitive e tecnologiche nazionali con quelle europee. Inoltre, proprio in sede europea, l’operatività del Fes e dell’Edf ha cominciato a proporre anche i temi delle autorizzazioni all’export. In virtù del fatto che progetti/programmi sostenuti con fondi europei potrebbero, sulla base di una prassi inerziale, essere soggetti a criteri differenziati su base nazionale, si discute sugli eventuali potenziali effetti distorsivi che da ciò potrebbero derivare e sulle eventuali misure adottabili per evitarli. Questo è il quadro in cui l’Aiad dovrà consapevolmente portare avanti le istanze delle industrie associate.

(L’articolo è stato pubblicato sull’ultimo numero del quadrimestrale di Start Magazine, “Una certa idea di difesa”)

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