Le sorti del 2025, anno della Grande Incertezza, dipenderanno in buona misura da ciò che faranno la Federal Reserve e il nuovo presidente Donald Trump. L’economia americana entra nel nuovo anno con orgogliosa sicurezza: in dicembre l’indice dei servizi misurato dall’Institute for Supply Management è salito a 54, oltre le aspettative di 53,3 e sopra il 52,1 del mese precedente, un dato che si colloca ampiamente nell’area dell’espansione. Anche il mercato del lavoro è tonico, in dicembre sono stati creati 256.000 nuovi posti di lavoro, ben oltre le attese di 155.000. Il tasso di disoccupazione è al 4,1%.
Dati che concorrono alla riformulazione delle aspettative sui futuri tagli dei tassi di interesse. La discesa dell’inflazione ha permesso alla Federal Reserve di iniziare a tagliare i tassi per la prima volta dall’inizio del 2022. La promessa di Powell di sconfiggere l’inflazione si scontra però con le promesse di Trump su tasse e tariffe e gli stessi attacchi al presidente della Fed, le brusche esortazioni a tagliare i tassi per alleggerire il costo del servizio del debito, non si conciliano con le dichiarazioni del presidente della Fed sull’indipendenza sua e della banca centrale.
I prezzi dei futures sui Fed Funds hanno registrato il cambiamento, non scontano più due o tre tagli di un quarto di punto ma, al contrario, non considerano più una certezza che la banca centrale taglierà anche solo una volta nei prossimi sei mesi. Gli stessi timori stanno spingendo il rendimento del Treasury decennale al 4,7%.
Nell’equazione entra naturalmente anche la Maganomics. I rischi e le incognite si concentrano soprattutto negli Stati Uniti che Trump sta iscrivendo al non invidiabile club degli Stati revanscisti: è vero che sarà rilevante ciò che Trump farà e non ciò che dice, ma le ripetute dichiarazioni su Panama e Groenlandia, ad esempio, hanno l’immediato effetto di dare cittadinanza alle rivendicazioni russe e cinesi su Ucraina e Taiwan.
Anche le dichiarazioni sui dazi non sono di buon auspicio: le politiche protezionistiche non fanno mai bene alla crescita economica e il loro potenziale inflazionistico limiterebbe i margini alla Federal Reserve per tagliare i tassi di interesse. Il Financial Times riporta un sondaggio in cui più della metà dei 47 economisti intervistati prevede un impatto negativo delle politiche di Trump, qualcuno si aspetta un “forte impatto negativo” e solo un quinto di essi prevede un effetto positivo.
Lo scetticismo degli economisti si specchia nell’ottimismo degli analisti che nel 2025 prevedono per lo S&P 500 una crescita degli utili del 15%, lo scorso anno era circa il 9%, “i margini di profitto netto dovrebbero espandersi fino a raggiungere il livello più alto degli ultimi dieci anni” riporta il Financial Times.
È d’altro canto possibile che le azioni sui dazi, sui tagli alle tasse, sulla deregulation e sulle deportazioni degli immigrati illegali vengano calibrate opportunamente, è già accaduto nel primo mandato: per cui conteranno i fatti, non le dichiarazioni.
Inflazione, Trump e lo scenario internazionale costituiscono le incognite maggiori ma, tenendo i piedi nella concretezza, ricordiamo che l’eccezionalismo americano fonda su fondamentali d’eccezione, la performance relativa di Wall Street è stata alimentata dal ciclo di crescita degli utili nettamente superiore a quella di altre aree e le condizioni restano favorevoli al listino americano. È ancora la tecnologia e in modo particolare le aspettative sull’intelligenza artificiale ad alimentare la fiducia degli investitori, basterà però una stagione degli utili al di sotto delle attese, o qualsiasi notizia o condizione avverse, per interrompere il gioco.
Il 2025 sarà l’anno della Grande Incertezza, il disincanto e il pragmatismo degli investitori saranno il contrappunto alle valutazioni via via aggiornate delle possibili fonti di rischio, le strategie e le asset allocation dovranno essere capaci di adattamento a condizioni che cambiano ed evolvono rapidamente.
“Hedge your bets”, proteggi le scommesse direzionali: occorre diversificare quanto più possibile, sulla parte azionaria, sul reddito fisso e sul credito. La parte corta della curva continua a offrire rendimenti interessanti mentre le maggiori banche centrali sono alle prese con una inflazione più ostinata del previsto, anche le obbligazioni governative a più lunga scadenza stanno registrando rendimenti elevati, nelle ultime settimane la curva dei rendimenti si è irripidita a livelli non visti da due anni e mezzo.