La crescita dell’Italia – secondo il Congiuntura flash di maggio del Centro Studi della Confindustria (CSC) – prosegue nel 2° trimestre benché a ritmi più moderati. Ciò in un contesto internazionale dove si registra una situazione di debolezza nell’Eurozona. La produzione industriale dell’Area scivola a marzo (-4,1%), portando il 1° trimestre in negativo (-0,2%). Cala in particolare la manifattura (-0,7% nel 1°trimestre), che si mantiene sotto i valori di inizio 2021; da quando cioè risulta di poco positivo lo scarto dell’Italia (+0,1%), mentre è ampio il gap accumulato in Germania (-1,3%). Negli USA è ripartita l’industria; il PIL nel 1° trimestre è salito di +0,3%, meglio delle attese (ma peggio dei due precedenti), grazie alla crescita di consumi e export, mentre calano gli investimenti. In aprile, l’industria ha mostrato una buona performance: +0,5% la produzione, dopo la stasi degli ultimi due mesi (+0,5% l’acquisito per il 2° trimestre, dopo due cali consecutivi). Frena la Cina, cresce l’India.
Tornando all’Italia, la crescita (pur rallentata) è trainata dai servizi. Il turismo da noi nel 1° trimestre è risultato molto sopra i livelli del 2022 (+30,7% la spesa dei visitatori stranieri), intorno a quelli del 2019. In aprile il PMI dei servizi è salito ancor più, indicando forte crescita (57,6 da 55,7), anche se a maggio la fiducia delle imprese ha subito un calo. Il settore beneficia ancora della domanda repressa delle famiglie liberata dalle riaperture post-Covid.
Secondo il CSC, l’industria si limita a resistere. Ma il trend – è l’opinione che ricavo da un approfondimento dei dati) desta qualche preoccupazione. La produzione è diminuita ancora a marzo (-0,6%), terzo calo consecutivo, ma chiude il 1° trimestre solo di poco negativa (-0,1%) grazie alla buona eredità di dicembre. Lo scenario è tuttavia in peggioramento: il PMI (l’indicatore economico costituito da rapporti e sondaggi mensili, raccolti dalle aziende private del settore manifatturiero), in aprile è bruscamente crollato (46,8 da 51,1). A maggio, la fiducia delle imprese è di nuovo calata: meno ordini, più basse attese sulla produzione. La domanda estera non tira più: l’export italiano di beni si è fermato, in media, nel 1° trimestre 2023.. Segnali misti per i consumi. A marzo è proseguito il calo delle vendite di beni alimentari (-,7%, in volume), mentre sono ripartite da inizio anno le immatricolazioni di auto, grazie a una domanda favorevole dopo molti mesi di contrazione (+9,7% nei primi 4 mesi). Un fattore positivo è il mercato del lavoro che è rimasto in espansione nel 1° trimestre (+80mila occupati). Per aprile, l’ICC (Camera di commercio internazionale) segnala però una crescita tenue dei consumi (+0,2% annuo), trainata solo dai servizi (+4,5%). E a maggio i giudizi delle famiglie sulla propria situazione economica sono un po’ peggiorati, come la fiducia in generale. mentre gli investimenti crescono anche se poco. L’aumento nella produzione di beni strumentali (+0,3% nel 1° trimestre) delinea, infatti, buone prospettive per gli investimenti. Le risorse a disposizione delle imprese manifatturiere per fare investimenti non sono molte visti anche i margini operativi compressi. Quanto all’inflazione, l’incremento è persistente come previsto; pertanto, i tassi di interesse salgono e i prestiti diminuiscono.
Nelle ultime settimane è stata fatta l’ipotesi di una ‘’inflazione da profitti’’. In sostanza, le aziende che avevano aumentato i prezzi a seguito dell’impennata dei costi dell’energia, non li avrebbero diminuiti in conseguenza crollo dei prezzi del gas e delle altre materie prime. Sono tesi sostenute anche da vari economisti, che tuttavia sono state assunte in toto da Maurizio Landini, leader della Cgil, in un’intervista al Corriere della Sera (‘’il gas è sceso, il carrello della spesa no’’). Anche in ambienti della BCE si sostiene che vi sarebbe stata in Europa, lo scorso anno, un’imprevista e non frequente componente di inflazione da profitti. Se questa si rivelasse persistente, potrebbe ostacolare la discesa dell’inflazione nel 2023, richiedendo tassi di interesse alti più a lungo. Il CSC fornisce nel flash una sua interpretazione dei processi inflativi in atto, diversa da quella di Landini che stavolta si è trovato, però, in buona ed autorevole compagnia. Diversamente dalla Europa – fa notare il CSC -la dinamica dei profitti unitari in Italia presenta delle proprie caratteristiche. Per l’insieme dell’economia la crescita è molto più bassa che nell’Eurozona: +3,5% nel 2022 rispetto al 2021. I settori che hanno registrato aumenti significativi sono l’energetico-estrattivo e il commercio (+8,0%). Al contrario, in Italia hanno subito una flessione dei profitti unitari sia i servizi (-2,6%) che le costruzioni (-3,8%) e la manifattura ha visto un forte calo (-8,1% in media nel 2022), nonostante il recupero nell’ultimo trimestre. Dunque, la tesi per cui l’aumento dei profitti ha alimentato l’inflazione – secondo il CSC -non si applica pienamente all’Italia. I dati Istat sul markup manifatturiero forniscono la stessa indicazione: caduta da inizio 2021, solo parziale recupero a fine 2022. Un’analisi recente della Commissione UE, ricorda il flash, giunge a risultati analoghi: mostra che in tutti i paesi europei, nel 2022, i profitti unitari hanno contribuito molto al balzo dell’inflazione (cioè alla crescita del deflatore del PIL), tranne proprio che in Italia. La nota mette in evidenza anche quelli che potrebbero essere i possibili motivi. Vari fattori possono spiegare la dinamica più bassa dei margini in Italia: maggior aumento dei costi energetici; minore dimensione delle imprese, che potrebbe limitare il potere di mercato; maggior peso di settori a valle, a contatto con i consumi compressi; strategie di prezzo mirate a sostenere i volumi.
L’erosione dei margini nella manifattura – avverte il CSC – può frenare la crescita degli investimenti in Italia, perché riduce la capacità di autofinanziamento delle imprese. A ciò si aggiunge che le disponibilità liquide sono in calo (-43 miliardi i depositi a marzo da luglio 2022) e il credito bancario si riduce. Dunque, non vi sono nei bilanci delle imprese italiane risorse facilmente utilizzabili per finanziare nuovi investimenti. E quelli privati, in Italia come nelle altre economie avanzate, sono realizzati soprattutto dalle imprese (73%) e solo in parte dalle famiglie (27%; pari a 265 e 99 miliardi di euro nel 2022, su un totale di 364).