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Come e quanto lmpresa 4.0 può far lievitare il Pil

Una valutazione di impatto potenziale di “Impresa 4.0”: +5,7% del PIL in 10 anni con i settori della meccanica, prodotti in metallo e il tessile-abbigliamento in prima linea. L'approfondimento di Giuseppe Capuano

I risultati che si presentano in anteprima in forma sintetica in questo articolo, saranno pubblicati nelle prossime settimane su una rivista specializzata americana e fanno parte di un programma di studio indipendente iniziato dall’Autore nel 2016 in collaborazione con Martina Capuano, giovane economista, e che si protrarrà, probabilmente, negli anni a venire.

Il principale obiettivo di questo programma, infatti, attraverso una “valutazione di impatto ex ante” (una “valutazione di impatto ex post” si potrà fare solo nei prossimi anni), è stato lo stimare l’impatto economico “potenziale” sui settori del manifatturiero italiano del Piano “Industria 4.0” (successivamente denominato “Impresa 4.0”) introdotto in Italia nel 2016 che ha un valore di più 13 miliardi di euro in un decennio, fino al 2027 e un “effetto moltiplicatore potenziale” da noi stimato pari a circa 34miliardi di euro.

Una azione di policy che potrebbe risultare estremamente importante per la competitività dell’economia italiana (seconda economia manifatturiera dell’Unione europea a elevata propensione all’export), dove sono localizzate ben 385mila imprese manifatturiere, soprattutto, però, di piccole dimensioni (solo 8.644 hanno tra i 50 e i 249 addetti contro le 1.271 imprese che hanno più di 250 addetti. Fonte: ISTAT).

Una specificità della struttura produttiva italiana, quest’ultima, che differenzia l’Italia da quella dei principali competitors come USA, Cina, Giappone, Germania etc. che va irrobustita in termini quantitativi (crescita dimensionale delle imprese) e, allo stesso tempo, valorizzata e resa più competitiva attraverso il buon esito delle politiche a sostegno dell’innovazione come “Impresa 4.0”.

Un Piano che avrà negli anni un “potenziale” effetto leva sugli investimenti molto importante, ma che ancora non riesce a sprigionare tutti i suoi effetti (ha solo tre anni di vita) se, ad oggi, il numero delle imprese beneficiare è di circa 53mila (Fonte: Ministero Sviluppo Economico).

In questo contesto si è inserito lo studio di valutazione ex-ante che si fonda sui moltiplicatori derivati dalle tavole Input-Output prodotte dall’ISTAT del settore manifatturiero. Il risultato del nostro esercizio di analisi ha avuto come principale risultato la costruzione di un cluster settoriale formato da 14 sub settori del manifatturiero.

Da un punto di vista dei singoli settori è subito chiaro come l’impatto potenzialmente più rilevante della policy lo si potrebbe avere per i cosiddetti settori “high tech” ma anche il Made in Italy darà il suo contributo.

Infatti, i settori che potrebbero beneficiare maggiormente negli anni degli sgravi fiscali previsti con un maggiore effetto moltiplicatore (“maggiore impatto”) saranno quelli legati alla produzione di macchinari e la fabbricazione di prodotti in metallo (vedi tabella). Ciò probabilmente avverrà in quanto questi ultimi sono i settori che maggiormente hanno la capacità non solo di introdurre nelle varie fasi della produzione macchinari all’avanguardia dal punto di vista tecnologico, ma anche e soprattutto nel saper combinare insieme diverse tecnologie e metterle in rete. Inoltre sono quei settori dove la dimensione media delle imprese è più elevata con una organizzazione interna di conseguenza più strutturata. Inoltre, è interessante aggiungere che un settore del Made in Italy rientra nel gruppo a “maggiore impatto” ossia l’industria tessile-abbigliamento. I settori “fanalino di coda” della nostra analisi (“minore impatto”) sono quelli (dal basso verso l’alto della tabella) del legno-mobilio, della fabbricazione della carta e della stampa.

Dalla nostra analisi, emergono cinque “fatti stilizzati”:

  1. non è rilevabile una relazione diretta tra elevati valori del moltiplicatore dell’output ed un alto impatto economico a causa dei differenti gradi di utilizzo degli incentivi previsti da parte dei singoli settori manifatturieri. Un esempio fra tutti riguarda il settore chimico. Difatti tale settore ha il moltiplicatore più elevato tra tutti quelli che abbiamo studiato (2.89) mentre si evince come l’impatto economico di “Impresa 4.0” sia, al momento, in questo settore tra i più bassi (“minor impatto”). Ciò è dovuto al “minore utilizzo” degli incentivi fiscali. Ovviamente questo effetto potrà essere migliorato nel tempo con interventi settoriali correttivi;
  2. dall’analisi dei dati notiamo come emerge un gruppo di settori a “medio” e a “maggiore impatto” che traineranno la performance dell’intero settore manifatturiero. Ciò grazie a una propensione all’innovazione medio alta e a più elevati coefficienti tecnologici, con un effetto moltiplicatore che permetterà l’aumento della produzione aggiuntiva superiore a quella media di molti dei 14 settori da noi studiati. In particolare, secondo le nostre stime, i primi tre settori con effetto moltiplicatore maggiore saranno: fabbricazione delle macchine; produzione del metallo; tessile-abbigliamento. Essi rappresentano più del 30% del totale degli addetti e delle esportazioni del settore manifatturiero;
  3. dalla nostra analisi si è rilevata una robusta relazione tra un elevato impatto e la capacità di esportare dei singoli settori studiati. Una caratteristica comune a quasi tutti settori del manifatturiero (quindi di tipo trasversale e non caratterizzante esclusivamente quelli ad elevato impatto) anche se con intensità differente. Ciò significa che, attraverso una “relazione di tipo circolare”, per avere una forte capacità di penetrazione sui mercati esteri dei prodotti, le nostre imprese devono essere competitive sia in termini di prezzi che di qualità dei prodotti. Una combinazione tecnica che presuppone anche una importante capacità ad innovare e ad introdurre nuove tecnologie nell’organizzazione della produzione, grazie alle quali si è più competitivi sui mercati internazionali. Infatti, dalle nostre elaborazioni emerge che su 14 settori analizzati ben 11 hanno una propensione all’esportazione superiore al 30% con punte del 60 – 65% in due dei primi tre settori per impatto economico;
  4. i risultati in termini monetari generati dal prodotto dagli incentivi fiscali (circa 13miliardi di euro) in 10 anni per i moltiplicatori settoriali da noi calcolati (il risultato è di circa 34miliardi di euro) si riferiscono ai soli effetti diretti potenziali (al netto delle importazioni) originati dalla leva fiscale di origine pubblica e non tengono volutamente conto degli effetti indiretti o indotti che le agevolazioni fiscali utilizzate dal settore manifatturiero avranno sugli investimenti privati (stimati in altri circa 10 miliardi di euro) e sulla domanda di altri settori economici. Difatti, molto probabilmente, “Impresa 4.0” avrà degli effetti positivi sull’indotto in particolare sul settore terziario dove le imprese più grandi (manifatturiere) assumeranno un ruolo di traino rispetto alle imprese più piccole (in particolare del terziario avanzato, come informatica, progettazione, etc.);
  5. un impatto di tipo trasversale (effetti diretti e indiretti) che in generale, potrebbe rilanciare ampi comparti dell’economia italiana per un valore stimato potenziale (“effetto incrementale” dell’output del settore manifatturiero) che si ipotizza, se tutte le condizioni poste (tra queste, un importo permanente dei finanziamenti dedicati) saranno rispettate, avrà un valore pari allo +0,57% annuo per 10 anni ossia un incremento nominale aggiuntivo cumulato del +5,7% nel decennio 2017 – 2027.

In conclusione, riteniamo possibile che queste “due forze” (effetti diretti e indiretti) potrebbero amplificare l’“effetto I4.0” sull’intero sistema produttivo nazionale, favorendo l’aumento della produttività ed un migliore posizionamento competitivo delle nostre imprese. Ciò lo si potrà verificare solo nei prossimi anni a condizione che le risorse finanziarie destinate a questa “policy di successo” siano permanenti nel bilancio dello Stato e possibilmente crescenti negli anni.

 

Giuseppe Capuano, economista, attualmente dirigente del Ministero dello Sviluppo Economico
(Le opinioni espresse nell’articolo non coinvolgono assolutamente il MISE e sono strettamente personali)

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