skip to Main Content

Vi racconto i subbugli politici dei 3mila imprenditori (sbuffanti) riuniti a Torino

Chi c'era e che cosa si è detto alla manifestazione organizzata a Torino dai vertici nazionali di 12 organizzazioni dell’impresa e del lavoro. Fatti, commenti e scenari nell'articolo di Enrico Martial presente alle Officine Grandi Riparazioni di Torino

Tremila persone, l’80% dell’export, il 65% del valore aggiunto nazionale, 13 milioni di italiani che lavorano. Di fronte a una platea gigantesca in abito scuro, alle Officine Grandi Riparazioni di Torino, i vertici nazionali di 12 organizzazioni dell’impresa e del lavoro non l’hanno mandata a dire non solo al governo attuale, ma anche a quelli passati.

L’affollamento era tale che è stata allestita una sala d’ascolto, e una parte di coloro che sono rimasti fuori si sono persino sistemati in sala stampa. Alla serie di interventi hanno preso parte il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, di Confcommercio, Carlo Sangalli, di Confartigianato Giorgio Merletti con i presidenti di Ance, Confapi, Casartigiani, Cna, Confesercenti, Confagricoltura, Confcooperative, Legacoop.

E’ stata una giornata diversa da quelle tradizionali delle organizzazioni datoriali, con quattro elementi distintivi.

Il primo è culturale. Uno non vale uno e uno non vale l’altro, è la qualità che fa la differenza. Questo accade nell’organizzazione del Paese come nelle possibilità italiane di competere sui mercati. Creare sviluppo e occupazione comporta impegno, lavoro, responsabilità: un insieme di valori.

Il mondo dei “leoni da tastiera” e di una certa incompetenza che veleggia nel Paese è stato contrapposto a una visione collettiva dello sviluppo economico nell’interesse nazionale, non di settore o di filiera. Si è percepito un salto qualitativo, una voglia politica che ha permesso di riunire 12 organizzazioni in passato anche concorrenti tra loro, ed ora francamente alleate. La maggiore capacità di visione si leggeva anche sul tema delle infrastrutture: non era più la tradizionale critica al “nimby”, a chi non vuole qualsiasi opera nel giardino di casa. Si aggiungono ora ragioni ambientali, sociali, geopolitiche.

In secondo luogo, è stata la giornata dell’apertura dell’Italia. Gran parte dei nostri scambi economici avvengono in Europa e la debolezza delle infrastrutture costa almeno 70 miliardi di mancate esportazioni. Star fuori dai circuiti internazionali è un danno non solo economico, ma complessivo per il futuro dell’Italia, quindi politico. Boccia ha esplicitamente invitato a sostenere i trattati di commercio con l’estero, e tra questi anche il CETA con il Canada, su cui tentenna la ratifica gialloverde. La crescita e il reddito delle famiglie dipendono dal grado di apertura e di connessione esterna del Paese anche sul piano politico, anche nei consessi internazionali, dove bisogna andare preparati (visto che ora non lo siamo abbastanza).

In terzo luogo sono emersi i tratti di un programma politico, sottolineando il “limite della pazienza” delle imprese, come ha detto il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia. Si leggevano delle linee di fondo: mercati e politica aperti all’internazionale, ancoraggio all’Europa, stabilità dei conti, azione pubblica efficace. Sono stati declinati quattro temi: i due classici dell’alleggerimento del carico fiscale e della riduzione dei costi amministrativi e burocratici a cui sono stati aggiunti quello della legalità (anche come efficienza del sistema di giustizia) e quello delle infrastrutture, che servono sia per lo sviluppo sia nell’immediato per fare girare l’economia.

Il messaggio al governo su quest’ultimo punto è stato netto: nessuna procedura di infrazione con l’Europa. Il tono era di leggero fastidio per l’interlocutore al governo, ma anche per i predecessori: sono decenni che non capiscono come fare sviluppo. Adesso va poi anche peggio: tagliano i fondi all’innovazione (come Industria 4.0), alla ricerca (e i giovani talenti se ne vanno), la banda larga finisce in chiacchiera mentre restiamo agli ultimi posti.

In quarto luogo si è sentito tra il pubblico – nei commenti e negli applausi – un senso di unità e di volontà assai strano in consessi di solito ancillari alla politica.

Boccia ha detto che “noi mandiamo un messaggio politico alla politica”. Di politici però qui non ce n’erano, e forse per questo si sentiva un certo orgoglio tra i tremila, una voglia (ma forse non ancora capacità) di nuova classe dirigente.

Back To Top