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Piattaforma Lavoro

Tutti i rischi assistenzialistici del reddito di cittadinanza

L'analisi dell'editorialista Giuliano Cazzola

Gian Antonio Stella è il Carl Bernstein italiano, uno dei protagonisti del Watergate. Il libro ”La casta”, scritto con un’altra ”grande firma” del giornalismo (Sergio Rizzo alias Bob Woodward) non ha dato il via soltanto alla filiera saggistica dell’antipolitica, ma ha rappresentato la classica palla di neve all’origine della valanga che ha travolto (soltanto?) la classe dirigente della Seconda Repubblica.

Resta da dimostrare che la nuova ”casta” sia migliore di quella vecchia; ma non è questo il problema che voglio affrontare. Stella è un professionista serio che non esita a denunciare gli scandali e le anomalie del Belpaese, sia che si tratti dei mali di una burocrazia incaprettata o di privilegi grandi o piccoli che siano, all’interno dei palazzi del potere.

Gli capita allora di andare controcorrente, e di non preoccuparsi troppo di quanto è considerato ”politicamente corretto” nel contesto dei luoghi comuni con i quali viene sobillata l’opinione pubblica. Nei giorni scorsi, nella sua rubrica (Tuttifrutti) sul Corriere della Sera, Stella ha pubblicato un articolo (”Quel lavoro al Nord che non piace più”), in cui, partendo da casi concreti, ha gettato un’ombra di dubbio sulla mistica del precariato, tanto cara alla retorica del dibattito politico e all’andazzo dei talk show.

Ecco dunque una storia italiana che tanti vorrebbero conoscere, ma che nessuno racconta. Bepi Covre è proprietario di un’azienda metalmeccanica nel trevigiano; ha 250 dipendenti, ma avrebbe la necessità di assumerne altri 40, applicando loro un contratto e tempo indeterminato con uno stipendio di partenza tra compreso tra 1.300 e 1.500 euro mensili. Nonostante le inserzioni sui quotidiani nessuno ha risposto all’appello.

Così Bepi ha dovuto assumere degli stranieri: ”rumeni, moldavi, indiani, bosniaci, africani”. E aggiunge: ”Residenti in Italia, magari nati in Italia. Gente che non fa problemi a spostarsi e andare a lavorare dove c’è il lavoro. Gli diamo anche una mano a trovare casa….”. Di fronte ad affermazioni di questo tenore è normale che un giornalista domandi: ”Meridionali niente?”. Magari supponendo che l’imprenditore, già militante della Liga Veneta, se ne esca con una tirata sui terroni.

La risposta è netta: ”Zero”. ”Dispiace dirlo – prosegue Covre – ma non troviamo giovani meridionali disposti a venir su”. E non è solo la sua esperienza. Un amico, fornitore dell’Ikea, con oltre 1.200 dipendenti, è costretto ad avvalersi delle agenzie interinali (definite ”il nuovo caporalato” dai tetragoni al governo) per fare scouting, al Sud, di periti, tecnici, operai specializzati. ”Niente da fare” però; salvo ”prenotare” ragazzi che sono ancora a scuola.

Mi fermo qui. Non intendo generalizzare il caso di Bepi Covre e del suo amico, anche se tante altre aziende hanno denunciato più volte le stesse difficoltà, senza mai riuscire a ”fare notizia”, perché la realtà percepita è preferibile (e preferita) a quella corrispondente al vero. Lungi da me, poi, la tentazione di cadere nella trappola dei ”bamboccioni” e di disconoscere l’esistenza di un effettivo problema di disoccupazione giovanile.

Treviso e dintorni, inoltre, fanno parte di un’isola particolarmente felice rispetto alle stesse condizioni socio-economiche delle aree del Nord. Ma occorrerebbe un po’ di onestà intellettuale per ammettere che, per tante ragioni, vi è, in Italia, un mismacht significativo tra domanda e offerta di lavoro.

Il fatto è che talune scelte politiche del governo possono aggravare tale situazione. L’anticipo del pensionamento (attraverso l’introduzione di quota 100 e quota 41) per centinaia di migliaia persone in più, produrrà i suoi effetti – nei settori privati – nelle regioni settentrionali del Paese, dove esiste una manodopera (soprattutto maschile) che può vantare l’anzianità contributiva richiesta. Se già ora vi sono difficoltà sul versante dell’offerta di lavoro, la situazione potrà solo peggiorare (sempre che non arrivino altri lavoratori stranieri) perché – per un banale motivo demografico – quelli che usciranno saranno in numero maggiore di quelli che potranno entrare.

Quanto al Sud: ”Non so come andrà a finire – conclude Bepi – con il reddito di cittadinanza…”. A queste obiezioni, un sorridente Luigi Di Maio risponderebbe che nessuno percepirà quella prestazione senza partecipare attivamente alle iniziative promosse dai centri per l’impiego, per i quali saranno stanziate risorse importanti.

In un Dossier delle Acli si fa notare che per i Centri dell’Impiego è difficile applicare i meccanismi di condizionalità e valutare la congruità delle offerte di lavoro, anche per la carenza di strumenti, banche dati e reti informatiche, soprattutto al Sud. I meccanismi di erogazione del sussidio, invece, saranno operativi (si parla persino di processi automatici) in un tempo certamente più breve di quello necessario per l’organizzazione delle iniziative formative e di politica attiva.

Si creerà così una platea di popolazione assistita, messa a bagnomaria in attesa di un cambio di passo (le tre proposte lavorative nell’arco di un biennio) che le strutture incaricate non riusciranno a compiere, se non in grande ritardo; giustificando così la permanenza di masse di cittadini nel regime del reddito di cittadinanza, che da temporaneo rischierà di divenire permanente.

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