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Piano Marshall

Il PIano Marshall europeo che può salvarci

Le conclusioni del paper "Verso un Piano Marshall europeo" scritto da Marcello Messori e Giuseppe De Michele pubblicato su Luiss Open.

 

Per apprezzare le diverse implicazioni della soluzione suggerita e valutare la capacità del mercato di assorbire il finanziamento del ‘Piano Marshall’ europeo, è necessario sottolineare due punti ulteriori. Il primo è che la BEI è già impegnata in un altro piano europeo di investimenti, InvestEU; e che, nei prossimi giorni, l’Eurogruppo e il Consiglio europeo coinvolgeranno quest’istituzione nel finanziamento di alcuni investimenti richiesti dalle imprese private per fronteggiare lo shock causato dalla pandemia. E’ probabile che tali impegni esauriscano tutta l’attuale capacità di leverage della BEI.

Pertanto, a meno che il Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) non sia anche coinvolto in un peculiare finanziamento di lungo termine della BEI, quest’ultima potrebbe eseguire un portage finanziario a favore della Commissione europea solo grazie a un importante aumento del suo capitale. Di norma, le ricapitalizzazioni della BEI sono largamente a carico dei bilanci dei paesi dell’EA. Tale onere, per quanto importante possa essere, rappresenterebbe comunque una parte trascurabile degli introiti incassati dalla vendita delle reti infrastrutturali.

Il secondo punto da sottolineare è che l’intervento della BEI rallenterebbe ma non cancellerebbe l’emissione da parte della Commissione europea di project bond assimilabili ai safe asset. L’emissione più graduale di questi safe asset pienamente garantiti e sovra-collateralizzati implica a fortiori che non vi sarebbero carenze dal lato della loro domanda di mercato. Ciò rimane vero anche considerando che, alla scadenza del portage finanziario della BEI, l’ammontare totale di tali emissioni e la relativa offerta potrebbero raggiungere un valore massimo atteso pari a circa 2.300 miliardi di euro.

Al riguardo, sia sufficiente il riferimento ad alcuni dati che mostrano perché anche un ammontare così ingente di obbligazioni possa essere agevolmente assorbito dal potenziale di domanda degli investitori privati dell’EA. Dal 2012 al 2019 gli avanzi positivi accumulati dalle bilance commerciali dell’intera EA verso il resto del mondo sono ammontati a oltre 3.400 miliardi di euro. Ciò consente di affermare che, nello stesso periodo, la differenza positiva cumulata tra risparmi aggregati e investimenti aggregati dell’EA ha ecceduto largamente i 3.000 miliardi di euro.

Questi risparmi cumulati netti dell’EA sono diventati una componente degli oltre 18.000 miliardi di euro di ricchezza finanziaria netta detenuta dalle famiglie dell’EA nell’autunno 2019 (corrispondente a circa 25.500 miliardi di euro di attività finanziarie lorde). Una porzione importante dei risparmi netti è confluita in attività liquide. Basti ricordare che, nella seconda metà del 2019, la liquidità totale (moneta e depositi) detenuta dalle famiglie dell’EA era solo leggermente al di sotto di 8.400 miliardi di euro; e, negli ultimi mesi, questo ammontare è probabilmente cresciuto. Tali cifre sono rafforzate dagli andamenti crescenti nei depositi bancari detenuti dai detentori di ricchezza nell’EA. Alla fine di febbraio 2020, questi ultimi avevano raggiunto il valore di quasi 19.000 miliardi di euro.

L’enorme ammontare di liquidità accumulata nell’EA è alla ricerca di investimenti finanziari ‘sicuri’ a interessi non negativi; e anche se con notevoli differenze, lo stesso vale per la parte liquida dei portafogli finanziari detenuti dalle famiglie al di fuori dell’EA. Inoltre, i numeri precedenti non includono pienamente la ricchezza finanziaria gestita da investitori istituzionali e professionali e non tengono completamente conto della ricchezza propria detenuta in forma quasi-liquida dai gruppi bancari, dalle compagnie di assicurazione e da altri intermediari finanziari dell’EA.

Infine, si è fin qui trascurato di sottolineare che la disponibilità di un safe asset porterebbe a una riallocazione significativa persino nelle componenti meno liquide dei portafogli degli investitori finanziari e delle famiglie. La nostra previsione è, dunque, che la domanda per i safe bond emessi dalla Commissione europea sarebbe un multiplo molto alto dell’emissione richiesta per finanziare l’acquisto di una quota significativa delle reti infrastrutturali nazionali da parte dell’EA.

I punti di forza del ‘Piano Marshall’ europeo non sono limitati alla sua copertura finanziaria. Questo piano sarebbe in grado di superare il trade-off tra condizionalità e condivisione del rischio, assicurando non solo una sostenibilità economica e finanziaria a tutti gli stati membri dell’EA ma anche una praticabilità politica in molti dei paesi coinvolti. A tale riguardo, vale la pena di ribadire con attenzione alcuni elementi qualificanti del piano che, pur se all’apparenza specifici, rivestono grande importanza.

In primo luogo, l’accesso ai contratti di vendita delle diverse reti nazionali (investimenti brownfield) viene deciso dai paesi dell’EA, originariamente in possesso di tali reti, solo su base volontaria; e il lancio di investimenti greenfield della UE in un territorio nazionale deve essere preventivamente e volontariamente approvato dal paese coinvolto.

Secondo, l’UE, quale nuovo proprietario, non può decidere investimenti rilevanti e riorganizzazioni delle reti infrastrutturali acquistate, se questi aspetti non sono stati specificati nel contratto di vendita sottoscritto dalle parti o se – in difetto di tale requisito – non vi è un esplicito consenso da parte del proprietario nazionale originario.

Terzo, anche se successivo allo scambio, un coinvolgimento di nuovi azionisti (pubblici e/o privati) nella proprietà di queste stesse reti dovrebbe ottenere una previa autorizzazione dal possessore nazionale originario. Quarto, le vendite alla UE delle varie reti non sono irreversibili nel senso che, in ogni momento, il paese venditore può decidere il riacquisto di una o più delle proprie reti nazionali originarie a prezzi che sono basati sui precedenti valori di scambio e che incorporano gli investimenti e miglioramenti fatti dalla UE e dagli altri possibili proprietari.

Infine, se il riacquisto riguardasse una rete già aggregata con un’infrastruttura europea più ampia, il proprietario originario potrebbe comunque riacquistare la propria vecchia rete nazionale; in questo caso, il prezzo di riacquisto dovrebbe però incorporare anche i costi dell’aggregazione e della connessa riorganizzazione così come il costo delle “esternalità” negative prodotte dallo scorporo.

La conclusione è che esistono tutti gli ingredienti necessari alla realizzazione di un ‘Piano Marshall’ europeo che sostenga e rilanci in tempi appropriati le economie dell’EA (e della UE) colpite dalla crisi. Questo piano è utile, se non necessario, per vari attori: i paesi più fragili dell’EA, perché crea spazio per le loro politiche fiscali espansive nel breve e nel medio periodo; il gruppo di paesi dell’EA che desiderano migliorare il funzionamento del mercato unico per le reti infrastrutturali europee e rafforzare traiettorie innovative nell’economia digitale; le famiglie e gli investitori professionali e istituzionali che sono alla ricerca di un safe asset.

Pertanto, il nostro ‘Piano Marshall’ europeo appare in grado di rilanciare il ruolo e l’ambizione dell’EA rafforzando il mercato unico, la stabilità e la convergenza tra gli stati membri, l’evoluzione istituzionale della UE. Nel lungo periodo, le nuove reti infrastrutturali europee possono offrire “esternalità” positive che facilitano innovazioni e sostengono la competitività delle imprese europee più innovative; esse possono inoltre ri-attribuire alla Commissione europea un ruolo strategico e rendere disponibili risorse finanziarie (i canoni ottenuti dopo la prima concessione) che favoriscano la creazione di un Ministero delle Finanze europeo con un suo proprio bilancio.

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