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Quota 100

Il mio ricordo di Bruno Trentin. Firmato: Cazzola

Il 23 agosto del 2007 moriva Bruno Trentin

Il 23 agosto del 2007 moriva Bruno Trentin a seguito di un incidente in montagna da cui non si era più ripreso.

Per me parlare di Trentin – con il quale ho lavorato sia nella Fiom che nella Cgil – equivale a dire cose ovvie, come se fossero note a tutti, per l’importanza che ha avuto nella storia del sindacato, della sinistra e del Paese. Capita spesso a chi è avanti con gli anni di evocare, come normali e accaduti l’altro ieri, fatti, circostanze, eventi e personalità in presenza di interlocutori che non ne hanno mai sentito parlare, per una banale ragione anagrafica.

Non si può ricordare Bruno senza evocare l’autunno caldo del 1969 e lo storico rinnovo contrattuale dei metalmeccanici o la battaglia per l’unità sindacale che vide la Fiom, la Fim e la Uilm tra i principali protagonisti, quando oggi la sigla FLM è riprodotta sulla parete di un palazzotto di Corso Trieste a Roma, ma i proprietari, un tempo uniti secondo assetti funzionali, vivono da separati in casa.

Non si può ricordare Trentin senza fare riferimento a suo padre Silvio, un sommo giurista di diritto amministrativo, appartenente a quella dozzina di professori universitari che rifiutarono di giurare fedeltà al Fascismo e furono costretti ad intraprendere la via dell’esilio, nel suo caso in Francia, dove Bruno nacque nel 1926 e da dove tornò in Italia, non ancora ventenne, per prendere parte alla Resistenza nelle formazioni di Giustizia e Libertà. Trentin era un gigante in un mondo di giganti, di sindacalisti e di politici formatisi attraverso dure esperienze di vita e di lavoro, di studio, di riflessione innanzitutto culturale oltre che pratica.

Ed è questo aspetto della vita di Bruno che intendo mettere al centro di un commiato che è insieme rimpianto ed orgoglio per averlo conosciuto, insieme ai tanti che – come dice il poeta – ‘’mi corrispondevano’’ e che non sono più tra noi. Bruno Trentin fu tra i protagonisti di un dibattito che si svolse all’interno del Pci e della sinistra sugli effetti del ‘’miracolo economico’’. Il tema fu posto da Giorgio Amendola nella sua relazione, il 6 maggio 1961, alla Conferenza dei comunisti nelle fabbriche e riguardava l’analisi della nuova fase del capitalismo in Italia, anche in vista della prospettiva di un’apertura della Dc al Psi e alla nascita, di lì a breve, del centro-sinistra. La c.d. destra del Partito era più attenta ai problemi del Mezzogiorno e considerava inadeguato il sistema capitalistico italiano a modernizzare il Paese (la teoria del ‘’capitalismo straccione’’). Quest’analisi economica aveva anche un obiettivo politico: orientare il partito ad osservare con cautela ed interesse i processi politici in corso.

‘’Per i giovani della nuova sinistra –scrisse Giorgio Bocca nella biografia di Palmiro Togliatti – da Pietro Ingrao a Lucio Magri, al sindacalista Bruno Trentin, il neocapitalismo era una cosa seria’’. ‘’Non è vero – sostenevano – che il neocapitalismo, e il centro-sinistra che ne è l’espressione politica, siano incapaci di risolvere alcuni dei problemi fondamentali dell’Italia’’, come l’industrializzazione del Sud, la trasformazione dell’agricoltura, la riforma scolastica, la modernizzazione dell’amministrazione e l’espansione dei consumi. Da quest’analisi la sinistra faceva discendere il rifiuto di ogni collaborazione con le nuove prospettive. Col senno di oggi, potremmo dire che la sinistra sopravvalutava le potenzialità del ‘’neocapitalismo’’, ma che la sua analisi era corretta e riusciva meglio ad interpretare i cambiamenti in atto. Certo, erano discutibili – a mio avviso -le conclusioni politiche di chiusura a cui arrivava, mentre erano più convincenti quella della destra, benché partisse da un’analisi discutibile. Ma non è mia intenzione addentrarmi in ricostruzioni sommarie

. Mi preme sottolineare lo spessore di quel dibattito. Oggi questi problemi (a cui Trentin ha dedicato saggi fondamentali) non se li pone più nessuno, neppure i sindacati, il cui unico obiettivo pare essere quello di ibernare l’assetto sociale esistente, a suon di cig e blocco dei licenziamenti, nell’attesa, vana, che tutto torni come prima.

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