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Il merito secondo Codogno e Galli

“Crescita economica e meritocrazia” di Lorenzo Codogno e Giampaolo Galli letto da Tullio Fazzolari

 

Per quanto possa sembrare assurdo in Italia si passano intere giornate a discutere inutilmente di un articolo maschile o femminile. Lo stesso è capitato sull’uso della parola “merito” con una polemica altrettanto sterile a base di retorica o di egualitarismo buonista a basso costo. Più di tanto politici e opinionisti non sembrano capaci di dire e tocca allora a due importanti economisti spiegare che cosa è realmente la meritocrazia e soprattutto quali sono i danni che derivano dal non tenerne conto.

Lorenzo Codogno e Giampaolo Galli con “Crescita economica e meritocrazia” (il Mulino, 338 pagine, 34 euro) riportano l’attenzione su dati di fatto oggettivi evitando i toni da pamphlet usati da politici e mass media. Punto di partenza è che ormai da più di vent’anni l’Italia ha perso entrambe le stampelle con cui in precedenza sosteneva la propria economia. Dall’avvento dell’euro, non si può più recuperare competitività sui mercati internazionali svalutando la lira. Né è consentito aumentare senza freni il debito pubblico per dare impulso al PIL. Lecito aspettarsi che il celebrato genio italico trovasse la soluzione per superare le nuove difficoltà. Non è andata così. Eppure, come spiegano Codogno e Galli, c’erano e, in fondo, ci sono ancora valide risorse su cui puntare. Quali?
In sintesi, la nostra carta vincente dovrebbe essere il capitale umano valorizzando intelligenze e creatività. Ma non siamo andati in questa direzione con il risultato che “l’Italia spreca i suoi talenti e non cresce”.
“Crescita economica e meritocrazia” non intende essere un pamphlet però, di fatto, è un preciso atto d’accusa sui metodi seguiti negli ultimi due decenni per lo più improntati a luoghi comuni. Tra cui il più sbagliato è che riconoscere e premiare il merito sia una sorta di sopraffazione verso i più deboli. E in questo modo si nasconde che la vera uguaglianza andrebbe raggiunta prima dando a tutti le stesse opportunità.

L’analisi di Codogno e Galli mostra in dettaglio perché ciò non avviene. La scuola dà spesso un basso livello d’istruzione. Le università sono cronicamente a corto di fondi per la ricerca. La pubblica amministrazione è in maggior parte gestita da lobbies che ignorano il merito nell’assegnazione di ruoli e nell’avanzamento delle carriere. Quanto alle assunzioni non abbiamo fatto grandi progressi rispetto a due secoli fa perché il vecchio metodo delle raccomandazioni politiche ha attraversato indenne anche l’epoca della seconda Repubblica.

Dal disastro si salvano solo poche aziende manifatturiere consapevoli che, per essere competitive sul mercato internazionale, devono puntare sui migliori talenti. Ma non è abbastanza perché l’Italia sia un paese più efficiente e in grado di crescere. E non basta neppure ad affrontare un problema desolante come la “fuga di cervelli” di cui ci si lamenta da cinquant’anni senza però fare nulla di concreto per risolverlo. Trascurando il merito abbiamo perso giovani scienziati come Sergio Gaudio che poi ha preso il premio Nobel lavorando in un team di ricerca statunitense. Ma ormai perdiamo anche bravi medici e bravi infermieri che, non sentendosi considerati, preferiscono le retribuzioni più alte offerte da altri paesi. Hanno ragione Codogno e Galli: ignorando un po’ di sana meritocrazia siamo stati capaci di farci male da soli.

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