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Capitalismo Clientelare Russia

Il capitalismo clientelare in Russia spiegato dall’Economist

Il Paese dove il fenomeno del capitalismo clientelare è più tangibile è la Russia. Qui i famosi oligarchi hanno in mano addirittura quasi il 20% della ricchezza nazionale, ad evidenziare lo stretto nesso esistente tra capitalismo, clientele e corruzione. L'articolo di Marco Orioles

 

Il capitalismo clientelare (crony-capitalism), ossia le ricchezze accumulate da oligarchi e affini che operano al riparo della concorrenza e benedetti dalla protezione dello Stato, non è un fenomeno esclusivo di economie come quella russa in cui i plutocrati dispongono di un patrimonio complessivo pari a ben il 20% del Pil. A dircelo è l’edizione del 2023 dell’indice del capitalismo clientelare dell’Economist, che, fresco di pubblicazione, fornisce anche i dati relativi al numero di miliardari censiti nei vari Paesi del mondo.

L’indice Economist 2023.

Giunto alla sua decima edizione annuale, l’indice 2023 del capitalismo clientelare curato dall’Economist misura la quota percentuale della ricchezza di vari Paesi del mondo che è in mano a tycoon operanti in settori economici messi al riparo dalla concorrenza e/o favoriti da specifici accordi con gli stati e la loro burocrazia.

A livello globale la ricchezza posseduta dai capitalisti clientelari è salita notevolmente negli ultimi 25 anni, passando da un totale di 315 miliardi di dollari, pari all’1% del Pil globale, agli attuali 3 trilioni di dollari, equivalenti a quasi il 3% del Pil mondiale.

Circa il 60% dell’incremento della floridità del capitalismo clientelare si è registrato in soli quattro Paesi: America, Cina, India e Russia.

Il 40% di queste ricchezze si è formato nei Paesi autocratici, dove la percentuale del Pil in mano ai plutocrati è pari a ben il 9%.

I miliardari nel mondo.

I dati sul capitalismo clientelare vanno letti in rapporto al numero di miliardari censiti nel mondo. Attingendo all’apposita lista stilata da Forbes, l’Economist è stato in grado di distinguere da una parte quanti hanno fatto la loro fortuna legittimamente in un contesto di competizione economica e, dall’altra, i famosi oligarchi che si sono arricchiti grazie alla protezione dello Stato e altre forme di comportamenti più o meno illeciti.

Secondo Forbes nel 1998 c’erano nel mondo 209 miliardari, con un patrimonio complessivo di un trilione di dollari equivalente al 3% del Pil globale. Col tempo tuttavia questi numeri sono schizzati all’insù: l’edizione 2023 della classifica Forbes elenca 2.640 miliardari possessori di una ricchezza pari a 12 trilioni di dollari, ovvero il 13% del Pil mondiale.

La gran parte di questi Paperoni, precisa l’Economist, si è arricchita in modo legittimo operando in mercati competitivi e rispettandone le regole. Ma se si scende nel dettaglio e si guarda alla situazione di specifici Paesi, si staglia evidente il profilo della montagna di denaro accumulata da capitalisti senza scrupoli il cui business è cresciuto al riparo della concorrenza e favorito da accordi e intrallazzi.

Il caso Russia.

Il Paese dove il fenomeno del capitalismo clientelare è più tangibile è, come è noto, la Russia. Qui i famosi oligarchi hanno in mano addirittura quasi il 20% della ricchezza nazionale, ad evidenziare lo stretto nesso esistente tra capitalismo, clientele e corruzione.

Dallo scoppio della guerra in Ucraina, tuttavia, qualcosa è cambiato, soprattutto a seguito delle sanzioni occidentali che hanno ridotto i margini di manovra degli oligarchi intaccandone la ricchezza, che rispetto ai 456 miliardi di dollari del 2021 ha subito un brusco calo l’anno scorso fermandosi a quota 387 miliardi.

Ciò che non è cambiato dal 24 febbraio 2022 sono i rapporti di forza tra capitalismo clientelare e non. La ricchezza derivante dagli affari del libero mercato rappresenta ancora solo un quinto del totale del patrimonio dei miliardari russi contro l’80% concentrata nei forzieri degli oligarchi.

Vladimir Putin non è un oligarca, ma è sicuramente un miliardario che ha costruito la propria fortuna a forza di ruberie e saccheggi, che gli hanno consentito di raccogliere più di 100 miliardi di dollari, secondo la stima citata dall’Economist. Se lo Zar fosse nella lista di Forbes, si posizionerebbe senza dubbio nel gruppo di testa.

Gli oligarchi negli Usa.

Sebbene la situazione nella patria del capitalismo moderno, gli Stati Uniti, non sia nemmeno lontanamente comparabile con quella di Paesi come la Russia, anche qui il capitalismo clientelare svolge un suo ruolo, capace di garantire i suoi protagonisti una ricchezza pari al 2% del Pil.

Questa percentuale rimane comunque molto più bassa rispetto a quella relativa alla ricchezza posseduta dai normali magnati, che è pari al 15% del Pil Usa.

Il mercato americano, tuttavia, sottolinea l’Economist, ha delle caratteristiche peculiari che favoriscono la concentrazione plutocratica delle ricchezze. Ad esempio, le 20 più grandi società tech a stelle e strisce hanno venduto beni nel 2017 pari a quasi la metà di tutte le merci vendute in questo settore, rendendolo uno dei più concentrati di tutti gli Usa.

La distorsione è tale che, sottolinea l’Economist, se si classificasse l’industria tech come un settore clientelare, il totale del Pil generato dal capitalismo clientelare salirebbe dal 2 al 6%,

Il caso cinese.

Il monitoraggio del capitalismo clientelare in Cina condotto dall’Economist, ha risentito di una variabile politica: la feroce lotta contro la corruzione ingaggiata dal Presidente Xi Jinping fin dal suo primo mandato.

A colpi di arresti shock e arresti esemplari, la campagna contro la corruzione di Xi ha avuto l’effetto di ridurre la concentrazione delle ricchezze in mano agli oligarchi dal picco del 4,4% del 2018 all’attuale 2,5%.

Questo declino si spiega anche con le più recenti mosse di Xi finalizzate ad addomesticare il capitale privato. La personalità più illustre a farne le spese è stata Jack Ma, il cofondatore di Alibaba scomparso dalla scena pubblica nel 2020 (e riapparso solo recentemente con la notizia di un innocuo incarico accademico in Giappone) dopo aver avuto l’impudenza di criticare le politiche economiche del Partito comunista. Se nel 2020 Ma poteva vantare una ricchezza pari a quasi 50 miliardi di dollari, dopo la purga quella montagna di denaro si è praticamente dimezzata.

Il numero di miliardari nel Paese si è comunque moltiplicato insieme alle ricchezze controllate: se nel 1998 in Cina, inclusi i territori di Hong Kong e Macao, i miliardari erano appena otto, oggi sono ben 562 con una ricchezza complessiva di 2 trilioni di dollari.

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