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Capitale Umano

Il capitale umano come priorità di politica industriale

Il mismatch domanda/offerta nel mercato del lavoro non deriva esclusivamente dall’incapacità dell’istruzione tecnica e universitaria di fornire i profili richiesti dalle imprese 4.0 o dall’invecchiamento della popolazione, ma anche dal capitale umano in quanto sono soprattutto i giovani a scegliere di cambiare lavoro perché la loro priorità è la felicità personale. L'intervento dell'economista Giuseppe Capuano

 

Il mercato del lavoro 4.0 del XXI secolo nell’economia occidentale è più complesso e articolato di quello conosciuto nel secolo scorso dove le relazioni causa-effetto tra le variabili macroeconomiche sono meno meccanicistiche rispetto al passato come ad esempio le relazioni inverse tra tasso di disoccupazione e salari o tra tasso di disoccupazione e inflazione, relazioni che spesso sono state smentite dai fatti nell’ultimo ventennio.

L’offerta di lavoro in questi anni è stata più sedimentata e articolata a seconda delle fasce di età e dove gli aspetti psicologici e comportamentali e la rapida evoluzione/rinnovamento delle tecnologie sono diventate determinanti rispetto al passato. È la crisi del “modello iperliberista” (massimizzare il profitto e mettere chi lavora al servizio della proprietà e degli azionisti), essendo oggi la persona al centro dell’organizzazione d’impresa e il tempo libero, la famiglia e la cura di sé stessi sono valori crescenti: “vivere per lavorare e per la carriera” sono la rappresentazione di una filosofia di vita sempre meno attuale e popolare tra le nuove generazioni. Uno stile di vita ormai caro solo ai boomers.

Un altro mix di fattori che hanno contribuito a ridisegnare il mercato del lavoro 4.0 è rappresentato dal ridimensionamento della globalizzazione sfrenata (deglobalizzazione) conosciuta fino al primo decennio del secolo XXI e dalla nuova divisione internazionale del lavoro con fenomeni quali reshoring, nearshoring, friendshoring con il conseguente accorciamento delle reti di fornitura (dalle reti lunghe alle reti corte), etc. che stanno ridisegnando sia la domanda che l’offerta di lavoro.

Infine, un altro aspetto interessante che si è affermato nell’ultimo ventennio è l’interdisciplinarietà dall’economia alla psicologia alle scienze neurali che sono ormai indispensabili per interpretare i fenomeni che caratterizzano il mercato del lavoro contemporaneo e dei giovani lavoratori.

Strumenti concettualmente innovativi che sono forniti dalle discipline psicologico-comporamentali-cognitive, divenuti ormai indispensabili per comprendere le scelte e i comportamenti delle persone da parte del management e per meglio organizzare le funzioni aziendali da parte delle imprese.

Il cambiamento di scenario ha influenzato fortemente il mercato del lavoro e ha aggravato gli squilibri tra domanda e offerta di profili professionali da parte delle imprese.

Infatti, secondo i dati del Progetto Excelsior di Unioncamere-Anpal sono 504mila le assunzioni previste dalle imprese a gennaio 2023: +46mila rispetto a un anno fa, ma 230mila le assunzioni di difficile reperimento.

La domanda di lavoro prevista a inizio d’anno si colloca sopra i livelli pre-Covid e segna un +14,0% (+62mila assunzioni) rispetto a gennaio 2019 ma sale al 45,6% la difficoltà di reperimento (+7 punti percentuali rispetto a un anno fa), che raggiunge il 66% per le figure dirigenziali e sfiora il 62% per gli operai specializzati.

Nel 2022, 6 imprese su 10 hanno programmato assunzioni, ma il mismatch domanda-offerta di lavoro è sempre più critico: 41% è la quota delle assunzioni difficili da reperire sul mercato perché, oltre a problemi di ordine qualitativo (non sempre le professionalità disponibili e/o formate dal sistema formativo italiano sono quelle richieste) ci sono problemi strutturali dal lato dell’offerta: “inverno demografico”, milioni di “inattivi”, cambiamento di approccio al lavoro dei giovani dove le componenti psicologiche sono molto impattanti.

In relazione all’inverno demografico, in Italia, su 59 milioni e 236mila persone residenti in Italia (Fonte: Istat, 2022) sono 23 milioni e 182mila gli italiani che lavorano. Ciò significa che il 39% “mantiene” il 61% della popolazione. Nel 2070 l’Italia avrà 48 milioni di abitanti a “politiche invariate”. Nei prossimi trent’anni la popolazione di 15-64 anni scenderebbe dal 63,6% (37,7 milioni) al 53,4% (28,9 milioni) con una forchetta potenziale compresa tra il 52% e il 54,8%. Inoltre nei prossimi trenta o quaranta anni la fecondità è destinata a ridursi perché le donne in età riproduttiva passeranno da 12 a 8 milioni.

L’effetto del cambiamento demografico, della composizione per età della popolazione, del numero di abitanti, secondo l’Istat, avrà anche un impatto negativo soprattutto sul Pil italiano: dai 1.800 miliardi di euro del 2022 si scenderebbe di 500 miliardi, ossia si avrà la riduzione di un terzo della ricchezza prodotta se questa tendenza sarà confermata e ad invarianza di politiche entro il 2070.

All’effetto demografico si aggiunge un altro importante fenomeno: gli inattivi (non occupati che non cercano un’occupazione), come bacino potenziale di occupazione sui quali occorre qualche forma di intervento. Essi sono 12 milioni e 752 mila, pari al 21,5% della popolazione residente di cui circa 7 milioni dichiara di non cercare offerte di lavoro e di non essere disponibile a lavorare: si tratta di coloro che, pur essendo in età lavorativa, se gli venisse offerto anche solo un lavoretto in regola lo rifiuterebbero: 4 milioni di essi ha motivi familiari per non cercare occupazione, come l’assistenza a un anziano o l’accudimento dei figli, mentre 4 milioni e 400 mila circa adducono motivi di studio e formazione. In tale categoria vi sono, tra gli altri, gli studenti universitari e quelli degli ultimi anni delle superiori.

Infine, un altro fenomeno che ha un rilievo crescente nelle dinamiche del mercato del lavoro contemporaneo sono gli aspetti psicologici e comportamentali.

Infatti, Sempre più persone decidono di lasciare il proprio lavoro per le ragioni più svariate. Si tratta di un fenomeno globale in costante crescita ribattezzato negli Stati Uniti come great resignation, che sta prendendo piede anche in Italia. La great resignation è un fenomeno caratterizzato dal progressivo aumento del numero di dimissioni dei lavoratori dal proprio impiego. Alla base di questo esodo, naturalmente, c’è un senso di insoddisfazione determinato dalle motivazioni più svariate. In particolare, per molti lavoratori, dal bisogno di appagare le proprie ambizioni ed esigenze altrove, trovando nuove opportunità di crescita.

A scegliere di cambiare lavoro sono soprattutto i giovani della Gen Z, che affermano con sempre maggiore frequenza che la loro priorità è la felicità personale piuttosto che il lavoro. Secondo Randstad Workmonitor, il 29% dei lavoratori italiani starebbe cercando attivamente un nuovo impiego. Percentuale che sale al 38% se si considera solo la fascia d’età compresa tra i 25 e i 34 anni.

Trattenere le risorse e affrontare queste nuove sfide risulta strategico per le imprese. Capire i bisogni ed evitare il quite quitting ossia la disaffezione professionale legata alla incapacità dell’azienda di saper coinvolgere i propri addetti. Il quite quitting come “dimissioni silenziose”, fenomeno sempre più diffuso di frustrazione sul lavoro, messo in luce dalla great resignation, che induce a ripensare la cultura del sacrificio sul lavoro e a ricercare un migliore equilibrio tra vita privata e impiego. Secondo una indagine di Twenix, l’Italia è maglia nera europea per disaffezione professionale dove i lavoratori hanno deciso di ridefinire le priorità di vita: il 95% degli intervistati considera la compatibilità con la vita privata l’aspetto più importante sul lavoro, a pari merito con la retribuzione.

In conclusione, il mismatch domanda/offerta nel mercato del lavoro non deriva esclusivamente dall’incapacità dell’istruzione tecnica e universitaria, di fornire i profili richiesti dalle imprese 4.0 per la transizione green e digitale quanto, anche dal cambiamento dell’offerta di lavoro in Italia, caratterizzata da un preoccupante “inverno demografico”, dall’invecchiamento della popolazione e dal cambiamento culturale, psicologico e comportamentale, in particolare nei più giovani, nei confronti del lavoro, verificatosi anche a causa degli eventi pandemici.

Quindi, la “grande trasformazione” del mercato del lavoro e delle caratteristiche in divenire del capitale umano sono un “affaire” di cui la politica industriale non può disinteressarsi se vuole supportare seriamente e con successo le imprese alle prese con il cambiamento tecnologico e la sfida ambientale. Il capitale umano con le sue skills, quindi, entra oggi a pieno titolo come uno dei principali temi da affrontare per una politica industriale moderna.

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