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Putin Germania

Vi racconto il bazooka tedesco anti crisi da Covid

La Germania non ha alternative: senza una Ue stabile, un mercato comune robusto e partner europei forti, il suo modello di crescita rischia di crollare su se stesso. L'analisi di Alessandro Alviani, per il quadrimestrale di Start Magazine

 

Berlino dispiega una potenza di fuoco impressionante: oltre mille miliardi di euro tra crediti, garanzie e aiuti diretti, per contenere l’impatto del coronavirus sulla sua economia. La spesa tedesca non è a pioggia, ma segue una precisa direttrice.

Il piano di stimoli da 130 miliardi – il più grande nella storia della Germania riunificata – approvato in estate dimostra la capacità di Berlino di ripensare il proprio modello di crescita.

Accanto a interventi più classici, come il taglio temporaneo dell’Iva dal 19 al 16% o il bonus alle famiglie da 300 euro per ogni figlio, il governo ha riservato nove miliardi di euro all’idrogeno, per diventare leader mondiale del settore, cinque miliardi alla creazione di un’infrastruttura 5G in tutto il Paese entro il 2025, 2,5 miliardi alla mobilità elettrica, due miliardi all’intelligenza artificiale e altrettanti alla tecnologia quantistica, con l’obiettivo di presentare nel 2021 il primo computer quantistico Made in Germany.

Temi non a caso al centro della presidenza di turno tedesca della Ue. Piuttosto che limitarsi a misure generalizzate di stimolo o a blindare strutture e settori consolidati, Berlino ha provato a cogliere l’occasione dello stravolgimento imposto da Covid 19 per investire sul proprio futuro.

Una scommessa che va inquadrata in una cornice ancora più ampia. Nell’èra della “slowbalization” – il rallentamento della globalizzazione – la Germania, fortemente dipendente dall’export e dall’apertura dei mercati, è costretta a cambiar passo. E per farlo ha bisogno più che mai dell’Europa. La pandemia impone una rilocalizzazione delle catene produttive e accelera la riscrittura degli equilibri internazionali, con una Cina che punta a rafforzare il suo ruolo sullo scacchiere mondiale e un’America trumpiana che si dimostra sempre meno interessata ad agire come leader globale. È uno scontro tra sistemi, con la Germania che teme di ritrovarsi schiacciata tra Pechino e Washington.

In quest’ottica, rafforzare la coesione della Ue e impedire che le forze centrifughe innescate dalla crisi spazzino via l’Eurozona diventa un obiettivo ancora più vitale per la Repubblica federale.

Siamo lontani dall’idealismo europeista che fu di Helmut Kohl: salvare la Ue è nell’interesse tedesco. È in quest’ottica che va vista la proposta, finora impensabile, di un fondo da 500 miliardi di euro di trasferimenti a fondo perduto presentato a maggio da Merkel e dal presidente francese Macron e il successivo accordo, a luglio, sul Piano europeo per la ripresa da 750 miliardi. Un cambio radicale per un Paese che ha mandato così in soffitta un altro dogma: il no alla Schuldenunion (“unione dei debiti”) e alla Transferunion (“unione dei trasferimenti”).

La Germania non ha alternative: senza una Ue stabile, un mercato comune robusto e partner europei forti, il suo modello di crescita rischia di crollare su se stesso. Per impedire tale scenario, deve finalmente assumersi quel ruolo di leadership che ha sempre rifiutato.

(Estratto di un articolo pubblicato sul quadrimestrale di Start Magazine “Digital Europe – Il ritorno dell’Unione e l’occasione dell’Italia”, qui la versione integrale)

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