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I sassolini del prof. Tria sulla Bce

Che cosa ha scritto l'economista Giovanni Tria, ex ministro dell'Economia nel governo Conte 1, sul Sole 24 Ore di sabato 19 ottobre

Toni lievi, frasi argomentate, proposte sussurrate. Giovanni Tria, anche dismessi i panni di ministro dell’Economia, lancia idee dirompenti in una forma quasi dimessa.

Ma l’idea – messa per iscritta oggi sul Sole 24 Ore – suona anche come una critica indiretta alla Banca centrale europea (Bce).

L’analisi di Tria sul quotidiano di Confindustria parte da una constatazione: la politica monetaria accomodante dell’Istituto centrale “fatica a trasmettere i suoi effetti all’economia reale, nella misura in cui la creazione di liquidità aggiuntiva non riesce a determinare un sufficiente aumento dei consumi e degli investimenti pubblici e privati, soprattutto in un periodo di forte incertezza e senza l’appoggio di politiche fiscali espansive”, scrive l’economista ed ex ministro dell’Economia e delle Finanze nel governo M5s-Lega.

Quindi, secondo Tria, la Bce dovrebbe creare “liquidità mediante il finanziamento diretto di programmi pubblici di investimento in infrastrutture materiali e immateriali e in innovazione tecnologica su scala europea”.

Le idee del professore saranno seguite da Francoforte e Bruxelles? I dubbi sono legittimi.

Ecco di seguito un breve estratto dell’articolo di Tria pubblicato oggi sul Sole 24 Ore:

Non è la necessità di una politica monetaria espansiva che dovrebbe essere discussa, quanto eventualmente la sua modalità d’azione e cioè l’intervento nel mercato secondario dei titoli con l’obiettivo di ridurre i tassi di interesse o renderli negativi.

Il problema principale di questa politica è che essa fatica a trasmettere i suoi effetti all’economia reale, nella misura in cui la creazione di liquidità aggiuntiva non riesce a determinare un sufficiente aumento dei consumi e degli investimenti pubblici e privati, soprattutto in un periodo di forte incertezza e senza l’appoggio di politiche fiscali espansive.

Un effetto più diretto sull’economia si avrebbe, invece, creando liquidità mediante il finanziamento diretto di programmi pubblici di investimento in infrastrutture materiali e immateriali e in innovazione tecnologica su scala europea.

Ciò significherebbe sostanzialmente il superamento del “tabù della monetizzazione”, ma limitato alla spesa per investimenti. Ciò rappresenterebbe un modo di creare un’interazione tra la politica monetaria e quella di bilancio senza creazione di debito aggiuntivo.

La strategia proposta, se adottata per un periodo determinato e sotto rigorose condizioni, non avrebbe nulla a che fare con la aborrita “mutualizzazione dei debiti sovrani”, non essendo da temere, nella fase attuale, un eccesso di inflazione, che è il motivo che ha determinato in passato la rinuncia alla monetizzazione anche parziale dei deficit pubblici. Neppure essa è assimilabile a qualche forma di helicopter money.

Inoltre, nei Paesi in cui il gap infrastrutturale materiale e immateriale è particolarmente elevato, l’assorbimento di liquidità da parte degli investimenti pubblici, con il conseguente miglioramento delle dimensioni e della qualità del capitale pubblico, non avrebbe un effetto di spiazzamento degli investimenti privati, che al contrario beneficerebbero di un miglioramento dei loro rendimenti.

La pratica attuazione della proposta potrebbe passare attraverso la partecipazione al finanziamento di un budget dell’Eurozona dedicato a sostenere investimenti produttivi, di cui si discute da tempo, senza sostanziali progressi, nei faticosi processi decisionali di Bruxelles.

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