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Landini

I numeri e la realtà smentiscono le teorie di Landini sul lavoro

Tutte le ultime farlocche teorie di Maurizio Landini, segretario Cgil. L'analisi di Giuliano Cazzola

 

Dopo le manifestazioni di Bologna e Milano, si chiude oggi, a Napoli, il mese di mobilitazione di Cgil, Cisl, Uil a sostegno della loro piattaforma unitaria. En passant, le confederazioni hanno avuto un argomento in più da trattare e criticare nei comizi: quel decreto-lavoro che il governo ha approvato il Primo Maggio scippando, con mano lesta, l’attenzione dell’opinione pubblica dai consueti riti celebrativi.

Come è avvenuto nelle precedenti manifestazioni e come si ascolta e si legge nelle dichiarazioni pressoché quotidiane dei leader sindacali, specie di Cgil e Uil, l’azione del governo non “ascolta” il lavoro e chi lo rappresenta. “Si persegue invece – ha affermato Landini nel corso dell’audizione al Senato – la logica del lavoro a termine, di accondiscendenza alle richieste di flessibilità delle imprese, anziché pensare di operare una stretta sulle forme più precarie, come il lavoro a chiamata o il lavoro autonomo occasionale o ricondurre i tirocini extracurriculari a esperienze esclusivamente formative, limitate nella possibilità di utilizzo, contrastando gli abusi”.

Da queste parole scaturisce certamente un giudizio molto negativo – ben al di là delle singole norme – della politica del lavoro del governo in carica. Ma si vede che l’austerità di Palazzo Madama ha determinato un compassato ritegno nel leader della Cgil, di solito molto più tranchant nel rappresentare quella che ritiene essere la realtà. In una delle sue recenti performance Landini si era spinto fino a riscrivere l’articolo 1 della Costituzione: l’Italia era divenuta una Repubblica fondata sullo sfruttamento del lavoro. Figuriamoci, allora, che cosa dirà nella capitale del Mezzogiorno in perenne sofferenza! Verrebbe da chiedersi se vale la pena avere istituzioni pubbliche che hanno tra i loro compiti il monitoraggio dell’economia e dell’occupazione/disoccupazione, quando persone importanti e con grandi responsabilità come Maurizio Landini e tanti altri annidati nei partiti e nei media si guardano bene dal consultare rapporti, tabelle, focus perché è molto più gratificante presentarsi come illuminati portatori di giustizia o loro cantori.

Nei giorni scorsi una brillante conduttrice televisiva che, in tanti anni è stata capace di pubblicizzare alcune delle più grandi bufale del secolo (almeno della parte fino a ora trascorsa) quale la telenovela dei c.d. esodati, si è lanciata nella mischia a sostegno della pagliacciate delle tendopoli universitarie, invitando persino gli eroici difensori dei nuovi diritti a costruire delle barricate, per mitigare il caro-affitti che, magari, obbliga gli studenti “fuori sede” a svolgere qualche lavoretto, facendosi sfruttare anticipatamente.

Non ha senso che il Ministero del Lavoro, la Banca d’Italia e l’ANPAL escano con un report sul mercato del lavoro di marzo e aprile dell’anno in corso, evidenziando che la domanda di lavoro nel settore privato non agricolo ha continuato ad aumentare a ritmi sostenuti: nei due mesi sono stati creati oltre 100.000 posti, al netto delle cessazioni (tav. 1), un valore simile a quello del primo bimestre e superiore sia agli andamenti medi del 2022, sia a quelli del 2019, prima della pandemia di COVID-19.

La domanda di lavoro, come nei due mesi precedenti, è stata trainata dai servizi e soprattutto dal turismo, dove sono stati creati poco meno di 40mila posti di lavoro, corrispondenti a circa un terzo del totale. Nell’industria in senso stretto e nelle costruzioni l’occupazione ha continuato a salire a tassi in linea con quelli del bimestre precedente. È proseguita la ripresa dei settori manifatturieri a maggiore intensità energetica, che hanno beneficiato del calo dei prezzi dell’energia. Ma ci sono dei dati interessanti anche per quanto riguarda la qualità dei rapporti di lavoro.

A marzo e aprile la maggioranza dei posti di lavoro creati, circa il 70%, sono stati a tempo indeterminato. Coerentemente con la marcata espansione dell’occupazione, è proseguita la graduale riduzione del tasso di licenziamento, iniziata a metà del 2022; le dimissioni, dovute soprattutto alle transizioni da un impiego a un altro, rimangono su livelli più elevati rispetto al periodo precedente la crisi sanitaria. Negli ultimi due mesi si è però rafforzato il ricorso al lavoro a termine, il cui saldo è più che raddoppiato nel confronto con il bimestre precedente (circa 35mila posizioni da 15mila). <Ahimè! Ecco che il diavolo ci ha messo la coda> direbbe Landini a questo punto. Ma c’è una spiegazione a volerla cercare. Su questa ripresa – sostiene il report – ha influito la forte crescita del comparto turistico, in cui i rapporti di lavoro di breve durata sono più diffusi, ma anche la maggiore propensione delle imprese ad attivare nuove posizioni a tempo determinato, dopo che molte di quelle in essere erano state trasformate in permanenti nel 2022.

Da quando sono venute meno le limitazioni previste per la pandemia, l’azienda Italia è ripartita smentendo in positivo le previsioni di crescita. Strada facendo si è atteso il crollo dell’economia, prima in conseguenza del caro energia, poi dell’inflazione e dell’aumento del tasso di sconto in chiave antinflazionistica. Per carità: nessun trionfalismo; anzi tante preoccupazioni, anche per il tergiversare del governo sul PNRR.

Ma se non si fida dei rapporti ufficiali Maurizio Landini si documenti almeno con i dati pubblicati dalla Cgil. La Fondazione Di Vittorio, all’inizio di maggio, ha reso noto lo stato della copertura contrattuale del lavoro dipendente in Italia. Sono 16,6 milioni i lavoratori pubblici e privati, (agricoli e domestici esclusi) complessivamente tutelati dai contratti collettivi nazionali di lavoro; e altri 251 mila sono i lavoratori pubblici in regime di diritto pubblico coperti direttamente per legge. Di questa platea risulta coperto dai contratti firmati da Cgil, Cisl, Uil, rispettivamente il 97% dei dipendenti privati e il 99,3% dei dipendenti pubblici.

Dall’interessante lavoro di ricerca emerge un altro dato significativo: dal 2012 al 2021 il numero dei contratti sottoscritti è aumentato dell’80%. Dei 992 contratti vigenti depositati al Cnel (ne risultano già scaduti 662, il 62,7%, e in vigore 370, il 37,3%), 246, il 24,8%, sono stati siglati da Cgil, Cisl, Uil; 746, il 75,2%, sono stati firmati solo da altre organizzazioni sindacali. Quindi, nonostante la copertura dei CCNL riguardi la quasi totalità dei dipendenti, solo un quarto è sottoscritto dalle tre Confederazioni. E così la FDV ha ridimensionato anche la sòla dei contratti pirata che sono tanti, ma che riguardano un numero ristretto di lavoratori. Ciò non significa che il problema non esista, ma non è certamente la questione più grave nel campo delle relazioni industriali e del lavoro. In conclusione, a fronte di questo telaio di copertura contrattuale, i sindacati non dovrebbero valorizzare la funzione che svolgono, piuttosto che raccontare a sé stessi una realtà che non esiste? Poi d’accordo: si può sempre fare meglio e di più.

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