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mercati emergenti

I mercati emergenti sono rischiosi o resilienti?

Perché i mercati emergenti possono diventare più resilienti grazie a riserve di valuta più elevate. L'analisi di Nicholas Hardingham, Portfolio Manager di Franklin Templeton Fixed Income e il suo team (Stephanie Ouwendijk, Robert Nelson, Joanna Woods, Carlos Ortiz e Jamie Altmann)

 

Nell’ultimo decennio, politiche sane, riforme strutturali e una forte crescita hanno portato a un netto miglioramento dei mercati emergenti (ME). Confrontandoli con  i mercati sviluppati (MS), è evidente che il divario della qualità di credito si è ristretto. Mentre dopo la pandemia del COVID-19 le metriche dei MS sono peggiorate,  nei ME hanno prevalso tassi di crescita migliori, una maggiore sostenibilità del debito e fondamentali sempre più robusti.

In questo documento sosteniamo che le percezioni dei ME da parte di molti investitori abitualmente non sono né accurate né eque, soprattutto per gli investitori che hanno meno familiarità con la classe di asset. Nella nostra analisi, in molti casi i fondamentali dei ME sono migliori rispetto al mondo dei MS. Preconcetti diffusi, tra i quali rischiosità, governance scadente, livelli di corruzione elevati e profili di debito non sostenibili, non sono correttamente applicabili alla maggior parte dei ME.

Durante la pandemia i ME erano apparsi vulnerabili, ma per la maggior parte si sono poi ripresi con forza adottando misure per ricostituire cuscinetti ammortizzatori  e mettendo in atto riforme mirate a un ulteriore rafforzamento della resilienza e sostenibilità. A differenza dei MS, i ME generalmente non godevano di uno spazio f iscale analogo a sostegno delle proprie economie, e pertanto sono state diverse anche le dimensioni del deterioramento fiscale subito. Nonostante un ripristino dell’ortodossia fiscale nella maggior parte dei paesi dei M, in alcuni di essi, ad esempio gli Stati Uniti, la politica fiscale è ancora accomodante.

Nel confronto tra i ME e i MS, secondo noi va tenuto conto di come MS quali gli  Stati Uniti, il Giappone e l’Unione Europea (UE) stiano beneficiando del loro status  di valuta di riserva. Per i MS vi è una costante domanda delle obbligazioni governative (o, nel caso dell’UE, delle obbligazioni governative di paesi membri), che sono abitualmente considerate “rifugi sicuri” ed esenti da rischi. Inoltre i MS sono abitualmente meno suscettibili al livello di volatilità politica vista visto nei ME. Questi due fattori aiutano a spiegare il premio al rischio più elevato degli asset dei ME.

Da un punto di vista quantitativo, tuttavia, le metriche dei ME sono più soddisfacenti, ad esempio il rapporto tra debito e prodotto interno lordo (PIL), la crescita del PIL,  le riserve valutarie e l’interesse in percentuale dei ricavi, tra l’altro. Nell’analisi seguente, delineiamo come stiano migliorando i mercati emergenti in quanto classe di asset analizzando il consolidamento fiscale, la crescita economica e la posizione  in riserve esterne rispetto ai MS.

Fattori fiscali: Il consolidamento è la strada giusta per gli sviluppi futuri?

Le prospettive fiscali per i ME secondo noi sono più promettenti rispetto a quelle per i MS. Questa divergenza è sottolineata da indicatori fiscali fondamentali, ad esempio gli interessi pagati rispetto ai ricavi, i saldi primari e il rapporto debito/PIL, delineando due strade divergenti per queste due classi di asset. I MS, soprattutto gli Stati Uniti, hanno continuato ad accumulare forti deficit fiscali, per cui il debito è diventato sempre più oneroso. I ME (esclusa la Cina) sono invece riusciti a stabilizzare i livelli del loro debito dopo la pandemia, e dovrebbero iniziare a vedere una riduzione graduale del rapporto debito/PIL nel breve periodo. Generalmente inoltre il punto di partenza del rapporto debito/PIL per i ME è molto più sano, in parte a seguito della loro incapacità precedente di sostenere un debito più gravoso. Ciò contribuisce ulteriormente alla resilienza odierna di questi paesi. Mentre i MS in generale possono sostenere un debito maggiore con l’aiuto di ricavi più efficienti e i costi più bassi del ricorso a finanziamenti, il divario tra MS e ME in termini di debito e deterioramento fiscale si è andato ampliando, visto che i ME adottano politiche più prudenti, mentre il debito degli Stati Uniti e della Cina continua a crescere a seguito di una politica fiscale accomodante. Nel 2023 gli Stati Uniti hanno dovuto affrontare notevoli sfide fiscali, che hanno fatto decollare il deficit all’8,8% del PIL. Il Fondo Monetario Internazionale (FMI) prevede che sul medio termine il deficit fiscale continuerà ad essere superiore al 6% del PIL. Analogamente, il deficit della Cina è cresciuto oltre il 7% del PIL nel 2023, e dovrebbe crescere fino a circa l’8% del PIL entro il 2029. Di conseguenza, per la Cina si prevede che il rapporto debito/PIL  continuerà a salire nonostante le dinamiche favorevoli degli interessi e della crescita.

L’interesse come percentuale dei ricavi è una misura utile per valutare la sostenibilità del debito. Con questa metrica, ci si attenderebbe che i paesi dei MS dovrebbero andare  particolarmente bene, a fronte dei ricavi più elevati (in percentuale del PIL) e del costo più basso del debito rispetto ai ME. Prevalentemente, i MS sono superiori.  Gli Stati Uniti tuttavia dal 2020 hanno assistito a un deterioramento notevole della misura interesse/ricavi, per cui ora sono solo marginalmente superiori ai ME. Per la Cina nei prossimi anni si prevede un deterioramento di dimensioni analoghe. Il quadro sarebbe molto migliore se si escludessero anomalie dei ME che distorcono la media, ad esempio per l’Egitto, Nigeria e Pakistan. Questi paesi pagano interessi che nel 2023 assorbono rispettivamente il 40%, 34% e 59% dei ricavi, quando la mediana dei ME era del 7,4%. La tendenza  al ribasso per i ME tranne la Cina sottolinea che le politiche dei ME sono state adeguate  in modo da mitigare il costo aggiuntivo relativo alla necessità di operare in un contesto  di tassi elevati.

I saldi primari, ossia i saldi fiscali esclusi i pagamenti di servizio del debito, offrono un quadro più chiaro della situazione fiscale. Nel 2023, i deficit primari nelle economie avanzate (esclusi gli Stati Uniti) hanno perso 0,6 punti percentuali rispetto a un deficit medio del 2,1% del PIL, a seguito di sussidi correnti uniti a trasferimenti ed estensioni di misure di sostegno correlate alla pandemia. Nel 2023, i deficit primari nei ME (tranne la Cina) si sono indeboliti fino a una media dell’1,3% del PIL, ancora decisamente inferiore  a quella dei MS. L’aumento nei saldi primari dei ME era dovuto principalmente a un calo dei ricavi nei paesi esportatori di materie prime e un aumento della spesa trainato dall’inflazione. Per i deficit primari dei ME si prevede un calo allo 0,3% entro il 2029, trainato da tagli della spesa primaria. Gli Stati Uniti e la Cina sono forti anomalie (negative) rispetto al resto del mondo. In sintesi, mentre i MS lottano con livelli più alti del debito e aumenti del costo degli interessi, i ME stanno procedendo con una resilienza relativa e una gestione fiscale prudente che continua a migliorare la qualità della classe di asset del loro debito. Andando avanti, riforme mirate e politiche fiscali attente saranno cruciali per un ulteriore rafforzamento della sostenibilità economica dei ME.

Crescita: Il differenziale più importante che mai

Un elemento fondamentale della forza dei ME è stato il differenziale di crescita rispetto ai MS. I tassi di crescita sono importanti nel contesto della sostenibilità del debito, considerando che quanto più alto è il tasso di crescita tanto più espansionistica può essere la politica fiscale senza avere impatti sui livelli del debito. Ciò significa che un paese può avere deficit primari più elevati senza che cresca il suo rapporto debito/PIL.  In altri termini, presumendo deficit primari uguali a zero, un tasso di crescita più elevato consente a un paese di superare il proprio debito. In un contesto di tassi d’interesse elevati,  il differenziale di crescita tra MS e ME è diventato sempre più importante. Il debito futuro  di un paese è determinato dal costo degli interessi, il tasso di crescita, il debito esistente accumulato e il saldo primario. Tassi d’interesse più elevati significano che sono necessari tassi di crescita superiori per stabilizzare il debito rispetto a quello che era successo nel decennio precedente.

La crescita più elevata dei ME è dovuta a vari motivi. Ad esempio, la base di partenza del PIL pro capite dei ME è più bassa, e possono beneficiare di una crescita di recupero trainata da vari fattori, tra i quali trasferimenti tecnologici e accumulo di capitale, che alla fine portano  a una convergenza con i MS. Un altro fattore per cui i paesi dei ME hanno, e continueranno probabilmente ad avere, tassi di crescita più elevati è il dividendo demografico, ossia il benef icio per un’economia di una popolazione giovane e in crescita, con tassi di mortalità e fertilità in calo, che portano a una minore dipendenza e una maggiore produttività. Molti ME beneficiano o sono pronti per beneficiare di questo dividendo demografico. Nei mercati sviluppati invece la situazione è opposta: popolazioni in via di invecchiamento e di contrazione che riducono la forza lavoro ed erodono ulteriormente la crescita. Ciò significa che possiamo prevedere differenziali di crescita costanti, a ulteriore sostegno della resilienza dei ME.

Un’altra fonte di crescita sono gli investimenti. Può essere un utilizzo produttivo del debito, avendo il potenziale di imprimere alla crescita una spinta sufficiente per compensare il saldo primario più elevato e il debito associati all’investimento, portando così a una stabilizzazione del debito o addirittura a un suo calo. I ME, soprattutto la Cina, hanno tassi d’investimento superiori, che nel 2023 ammontano rispettivamente a circa il 24% e il 42% del PIL. A confronto, nel 2023 il tasso d’investimento dei MS, tranne gli Stati Uniti, è il 24% del PIL,  e negli Stati Uniti è il 22% del PIL. Il tasso d’investimento più elevato della Cina può in un certo senso giustificare il suo saldo primario più alto, ma presumendo che tutti gli investimenti siano produttivi e abbiamo un moltiplicatore di crescita positivo – e ciò potrebbe non essere il caso.

Esterno: Per chi è meno privilegiato

Un fattore importante da considerare nel confronto tra ME e MS è la resilienza esterna dei paesi dei ME. Ciò è meno rilevante per i paesi dei MS, visto il loro status di valute di riserva che li porta a detenere riserve minime presso le rispettive banche centrali. Per i ME, i rischi esterni sono particolarmente importanti, soprattutto dal momento che il loro debito è prevalentemente denominato in valute estere (ad es., il dollaro statunitense). Il debito in valuta estera è spesso indicato come “il peccato originale”, essendo stato in passato una causa  di crisi del debito dei ME. Di conseguenza, molti paesi dei ME hanno, e stanno sviluppando ulteriormente, un mercato obbligazionario interno più ampio per ridurre i rischi associati al debito denominato in valuta estera. Tuttavia, paesi con mercati del debito interno maturi non sono isolati da vulnerabilità esterne. Quote notevoli del debito del mercato interno possono essere ancora nelle mani di investitori esteri, rendendo così un paese vulnerabile a flussi del portafoglio che esercitano una pressione sui conti esteri e le valute del paese. Molti paesi in passato hanno beneficiato di forti afflussi di denaro che si sono poi improvvisamente arrestati. Un evento di questo tipo può provocare una crisi del saldo dei pagamenti e lasciare un paese in una posizione precaria.

Le dimensioni dei cuscinetti ammortizzatori sono importanti per mitigare il rischio di flussi di capitale improvvisi. Nei decenni scorsi, le riserve dei ME sono aumentate costantemente. Mentre in questi ultimi anni questa tendenza si è leggermente indebolita a causa della pandemia, la crisi energetica e la chiusura dei mercati di capitale, è importante ricordare il robusto punto di partenza e la tendenza alla stabilizzazione dei saldi di riserve. Disporre di riserve sufficienti nella banca centrale mitiga il rischio di un saldo della crisi dei pagamenti, fornendo un cuscinetto ammortizzatore al quale i paesi possono ricorrere quando è necessaria una liquidità esterna. Va anche ricordato lo sviluppo di altre forme di riserve tramite wealth fund sovrani, banche statali tra altri detentori di riserve sovrane.

Infine, sembra esserci una concezione errata riguardo alla volatilità dei cambi dei ME rispetto ai MS. Vediamo che la deviazione standard media di un paniere di valute dei ME (0,52%) rispetto al dollaro statunitense su un periodo di 10 anni (2014–2024) è stata inferiore  a quella della sterlina inglese (0,60%) e dello yen giapponese (0,55%), e allineata all’euro (0,50%), ma resta più volatile rispetto a un indice del dollaro statunitense (0,43%). Questo dato suggerisce che la resilienza esterna alla quale abbiamo già accennato sta  iniziando ad essere visibile nelle valute dei ME.

Conclusioni

In questo documento sottolineiamo che i paesi dei ME sono spesso travisati da investitori le cui percezioni non sono aggiornate, e che molti ME stanno sviluppando fondamentali macro resilienti. Mentre negli ultimi anni i MS hanno assistito a un deterioramento dei fondamentali, i ME hanno adottato una politica fiscale più prudente, contenendo e normalizzando i saldi primari dopo gli shock recenti. I ME continuano anche a beneficiare di differenziali di crescita favorevoli. I MS tuttavia beneficiano ancora dello status di valuta di riserva, vale a dire che non hanno gli stessi problemi esterni dei ME. Detto questo, i paesi dei ME hanno messo in atto misure destinate ad accumulare riserve che ne migliorino la resilienza esterna.

Mentre è ancora giustificata una differenziazione degli investitori tra asset di MS e ME,  i ME stanno avendo un miglioramento che ora li rende più simili ai paesi dei MS. La classe di asset dei ME non è un gruppo omogeneo, e per comprenderne in pieno i rischi si dovrebbe adottare una combinazione di un’analisi quantitativa e un’analisi dei fondamentali per ogni singolo paese.

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