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I dazi di Trump saranno un disastro per gli Stati Uniti?

Un’analisi del Wall Street Journal consiglia di attendere prima di prefigurare scenari nefasti per l’economia americana a causa dei dazi di Trump.

«Se i dazi di Trump sono così dannosi, dove è la recessione?» Si domanda Gerard Baker, uno dei più prestigiosi commentatori del Wall Street Journal, nella sua edizione del 29 luglio.

Un articolo da gustare parola per parola, frase per frase. Il cui inizio è tutto un programma: «La politica commerciale di Donald Trump rischia di dimostrare la verità di una vecchia definizione di economista: qualcuno che vede qualcosa funzionare nella pratica e spiega perché non funzionerà mai in teoria».

Baker parte dalla constatazione che ci era stato detto da «seguaci di diverse correnti della triste pseudoscienza, che i vasti piani tariffari del presidente sarebbero stati una via breve verso il disastro economico: Smoot-Hawley, il seguito».

È infatti vero che «i dazi sono una tassa che ha conseguenze particolarmente negative, aumentando i prezzi pagati dagli importatori e, in ultima analisi, dai consumatori; e, a causa dell’effetto reddito di un aumento delle tasse, allo stesso tempo deprimono la domanda»

Però «non ci sono segnali evidenti del disastro economico che ci era stato promesso. Gli accordi firmati la settimana scorsa con due dei nostri maggiori partner commerciali indicano che un dazio del 15% è ora il probabile nuovo livello minimo per la maggior parte delle importazioni negli Stati Uniti, con dazi più alti ancora in vigore su alcuni beni».

Ma i dati su crescita del PIL, inflazione e andamento dei mercati azionari, raccontano una storia diversa, almeno per ora. Allora Baker si chiede: «Avendo infranto la maggior parte delle regole della politica, il signor Trump ha davvero distrutto anche una delle presunte leggi ferree dell’economia?»

La risposta non può essere univoca e Baker apre un ventaglio di possibilità, con sfumature davvero interessanti.

«Ci sono tre possibili risposte: in primo luogo, è troppo presto per dirlo. La maggior parte dei dazi annunciati non è in vigore da molto tempo. Stranamente, l’incertezza derivante dai vertiginosi cambiamenti di politica di Trump, che si pensava dovesse essere particolarmente destabilizzante, potrebbe aiutare ad attenuare il colpo […] quando i livelli effettivi dei dazi risultano inferiori ai peggiori timori, l’effetto psicologico può essere positivo; quella strana sensazione di contentezza che provi quando scopri che il biglietto da 100 dollari che pensavi di aver perso sul marciapiede era solo da 20».

Si apre così un secondo scenario: «i dazi finora non sono stati abbastanza significativi da causare i danni che gli economisti ci avevano avvertito riguardo a un protezionismo totale. Gli Stati Uniti sono un’economia relativamente chiusa, con le importazioni che rappresentano meno del 15% del prodotto interno lordo. Forse l’economia statunitense è semplicemente abbastanza resiliente da resistere anche a una cattiva politica, più capace di sopportare uno shock tariffario moderato.»

Ma dato il livello storicamente elevato dei dazi, la capacità di sopportazione dell’economia Usa deve trovare altre spiegazioni. «Potrebbe essere che ci stiamo perdendo qualcosa?» Si chiede Baker.

Ecco che si avanza l’ipotesi più interessante: «poiché nessuno può negare che l’effetto delle tasse sia reale, forse, nella loro fretta di enfatizzare gli aspetti negativi, gli economisti hanno trascurato le forze controbilancianti in gioco con i dazi: la ridistribuzione dell’onere dei dazi tra esportatori stranieri, importatori statunitensi e consumatori potrebbe ridisegnare l’equilibrio dei benefici tra imprese nazionali ed estere e tra aziende e consumatori. Le entrate federali dai dazi fino a 300 miliardi di dollari all’anno produrranno guadagni per gli americani. Il vantaggio relativo di fare affari negli Stati Uniti potrebbe, come promesso, iniziare a riflettersi in flussi di investimento in ingresso più forti

Insomma, in poche parole: non è che i modelli di previsione degli economisti non sono affatto pronti a valutare l’impatto di una politica economica non convenzionale che non si vedeva da decenni? Come accadde col Covid, i modelli di previsione macroeconomica hanno sparato per mesi numeri buoni solo per il Superenalotto, incapaci di simulare dinamiche per le quali non erano allenati.

Baker resta cauto affermando che «solo la prima risposta può essere data con sicurezza: è troppo presto per dirlo. Ma se la seconda o la terza risultassero vere, se gli Stati Uniti riuscissero a scrollarsi di dosso o addirittura a guadagnare dal loro abbraccio al protezionismo, rappresenterebbe un altro colpo alla già malconcia reputazione di quello che era recentemente il cosiddetto consenso economico dell’Occidente».

La conclusione è di quelle davvero dirompenti: «Se la più grande economia del mondo può adottare politiche economiche presumibilmente screditate e prosperare comunque, anche le ortodossie politiche dell’ultimo mezzo secolo saranno state infrante. Le voci crescenti di coloro che sostengono un programma di governo nazionalista, statalista e corporativo potranno aggiungere una dose di evidenza empirica ai loro argomenti ideologici, mentre la teoria cerca ancora una volta di raggiungere la pratica».

Insomma Trump sta mettendo in discussione il paradigma fondamentale delle economie occidentali. Se riuscisse ad affermare l’inconsistenza di certi dogmi, le conseguenze non sarebbero né lievi né di breve periodo. Staremo a vedere.

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