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Consumi Statunitensi

Gli scricchiolii bancari porteranno alla recessione Usa?

Una combinazione di difetti del sistema finanziario statunitense, oltre alla continua cautela dei prestatori, probabilmente prolungherà questo periodo di incertezza. L'analisi di Steven Bell, Chief Economist EMEA di Columbia Threadneedle Investments

 

Secondo alcuni commentatori, la crisi delle banche regionali statunitensi è ormai superata. L’ultima vittima di un attacco di short selling, PacWest Bancorp, ha visto il suo titolo salire venerdì (5 maggio) e questa settimana (8 maggio) ha aperto nuovamente in rialzo. Goldman Sachs ha pubblicato dati che dimostrano che il ritmo dei deflussi di depositi è rallentato dall’inizio della crisi a marzo e, naturalmente, nessun depositante ha perso denaro.

Esiste uno scenario in cui l’inflazione tornerà all’obiettivo del 2% della Federal Reserve senza recessione, i tassi di interesse scenderanno e il sistema bancario statunitense prospererà, ma ritengo che una simile ipotesi sia altamente improbabile. Uno scenario più probabile vedrebbe una contrazione del credito, ulteriori oscillazioni del sistema bancario e una recessione negli Stati Uniti – anche se probabilmente lieve – prima che la Fed effettui i grandi tagli dei tassi di interesse già prezzati dal mercato.

Pertanto, non credo che la crisi bancaria sia finita e, sebbene le argomentazioni siano un po’ tecniche, riflettono gravi difetti del sistema finanziario statunitense. In primo luogo, molti dei poteri utilizzati con successo dalle autorità statunitensi durante la crisi finanziaria globale (GFC) del 2008, come l’estensione dell’assicurazione sui depositi, sono stati revocati dal Congresso. Per il momento sono stati trovati acquirenti per le banche regionali in crisi, ma questo processo ha dei limiti.

In secondo luogo, l’espansione del bilancio della Fed a seguito del quantitative easing (QE) ha eliminato un meccanismo chiave che nelle crisi precedenti aveva contribuito a stabilizzare il sistema. Prima dell’avvento del QE, in caso di crisi finanziaria si assisteva a una fuga dai depositi bancari verso i Buoni del Tesoro, che spingevano il loro rendimento al ribasso rispetto a quello dei depositi bancari, ampliando il cosiddetto TED spread. In questo modo, i grandi depositanti subivano una penalizzazione per lo spostamento dei depositi dalle banche e, con l’aumento della paura del fallimento delle banche, il TED spread si allargava e il sistema poteva trovare un equilibrio. Il QE ha posto fine a questa situazione. Per evitare dunque un eccesso di depositi presso la Federal Reserve, derivante dal QE, la Fed tenderebbe a far scendere il tasso di fondi verso lo zero. Invece, la Federal Reserve ha dovuto pagare gli interessi sui depositi bancari in eccesso al tasso di interesse obiettivo, mettendo in cortocircuito il TED spread. In questo modo, i depositanti non subiscono più una penalizzazione nel ritirare i fondi da una banca in difficoltà.

A prescindere da questi problemi tecnici, il timore di molte banche statunitensi di essere la prossima vittima le porterà a essere estremamente caute nella concessione dei prestiti. In effetti, un significativo irrigidimento si era già verificato prima del fallimento della Silicon Valley Bank. Il Senior Loan Officer Opinion Survey, pubblicato questa settimana, mostra un’ulteriore stretta verso i livelli visti nei giorni peggiori dell’ultima crisi finanziaria globale. Una differenza importante rispetto alla passata crisi finanziaria globale, tuttavia, è che le mega-banche hanno sofferto poco in quest’ultima crisi; anzi, potrebbero addirittura prosperare nel lungo termine, dato che raccolgono i rivali a basso costo. Tuttavia, è improbabile che riescano a recuperare tutto il ritardo nell’offerta di credito lasciato dalle loro sorelle più deboli e sicuramente inaspriranno ulteriormente le condizioni dei prestiti che concederanno.

Nel frattempo, i recenti dati sull’occupazione dimostrano che l’economia statunitense è lontana dalla recessione. Tuttavia, i ritardi nella politica monetaria sono lunghi e variabili e le enormi eccedenze di risparmio lasciate dalla crisi del Covid-19 hanno probabilmente allungato tali ritardi. Ma queste riserve sembrano ormai essere state spese negli Stati Uniti e la contrazione del credito, se si evolverà come mi aspetto, comporterà che una recessione statunitense prima della fine dell’anno.

Cosa significa tutto questo per le azioni e le economie del resto del mondo? In primo luogo, le banche centrali hanno aumentato i tassi quasi ovunque, con conseguente inasprimento delle condizioni di credito. Ma non mi aspetto che le banche in Europa e nel Regno Unito subiscano la stessa crisi continua. Credit Suisse è stato davvero un caso isolato e le autorità di regolamentazione in Europa non sono così vincolate come le loro controparti statunitensi.

Le recessioni in generale non sono mai una buona notizia per gli asset di rischio. Tuttavia, l’imminente recessione statunitense è la più attesa che io ricordi. Le stime sugli utili sono già state tagliate e, sebbene le prospettive per le azioni non siano rosee, noi di Columbia Threadneedle abbiamo assunto una posizione sostanzialmente neutrale, dato che i tassi di interesse dovrebbero scendere rapidamente. I titoli di Stato potrebbero sovraperformare e il dollaro USA sembra destinato a indebolirsi ulteriormente. Ci attende un’altra settimana importante, con dati economici cruciali attesi negli Stati Uniti dai quali avremo una maggiore chiarezza sulla situazione attuale.

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