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Giornalisti, nuove regole per il praticantato. Il ministero di Giustizia ci ripensa ma chiarisce nulla

L'intervento di Maurizio Pizzuto, direttore dell'agenzia Prima Pagina News

 

Partiamo dall’inizio.

“Roma 3 dicembre 2022, firmato Giovanni Mimmo Direttore Generale Affari Interni Ministero di Grazia e Giustizia”. L’oggetto della missiva inviata al Presidente del Consiglio Nazionale dei Giornalisti Italiani Carlo Bartoli riguarda la “Richiesta di sospensione dell’aggiornamento con nuovi criteri interpretativi dell’art. 34 della legge n. 69/1963 (accesso al praticantato giornalistico) con effetto dal 1° gennaio 2023, decisi con delibera del Consiglio nazionale dell’ordine dei giornalisti nella seduta dell’8 novembre 2022”.

Il Direttore Giovanni Mimmo, che è per “funzione istituzionale” il garante della tenuta e del lavoro che svolge il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti avverte lo stesso Consiglio Nazionale dell’Ordine che “,Sono pervenute a questa Direzione generale varie segnalazioni, fortemente critiche, in merito all’adozione da parte di codesto Consiglio nazionale della delibera del1’8 novembre 2022, recante “Criteri interpretativi dell’art. 34 legge 69/1963 sull’iscrizione al Registro dei praticanti”, invocando un intervento “protettivo” da parte di questo Ministero volto a sospenderne l’operatività”.

Per la prima volta Giovanni Mimmo usa un termine “pesante”, quello di “censure svolte sull’operato dell’organo consiliare che si incentrano, sotto svariati profili, sulla violazione del principio di legalità, declinato in concreto quale rispetto della gerarchia delle fonti, giacché l’adozione dei censurati criteri interpretativi per l’iscrizione nel registro dei praticanti”

Tutto questo “avrebbe configurato una modalità di accesso totalmente difforme e contrastante con le normative vigenti, attribuendo agli ordini regionali di procedere, in via eccezionale, all’iscrizione al registro dei praticanti a seguito dell’accertamento del lavoro giornalistico svolto a prescindere dal riferimento a una testata giornalistica. In aggiunta, è stata segnalata la possibile difformità di trattamento a seconda che il Consiglio territoriale decida di applicare i meno i suddetti criteri, determinandosi così una potenziale discriminazione di aspiranti giornalisti sul territorio nazionale”.

Vi chiederete, ma cosa c’entra il Ministero della Giustizia con la vita interna dell’Ordine dei Giornalisti?

Lo spiega bene nella sua lettera il Direttore Generale Giovanni Mimmo: “il Ministero della giustizia non esercita una funzione di controllo di legittimità sulle delibere consiliari, potendone eventualmente sospenderne l’efficacia, ma ha il compito di vigilare sul funzionamento dei Consigli e degli ordini di numerose professioni regolamentate… In quest’ottica, pertanto, questo Ministero è tenuto a verificare il rispetto del parametro di legittimità nell’azione amministrativa posta in essere dal Consiglio, potendolo così invitare al rispetto della normativa vigente.”.

Cos’è dunque che a giudizio del Ministero della Giustizia non va nelle decisioni assunte dall’Ordine dei Giornalisti?

“L’art. 34 della legge n. 69/1963, rubricato “Pratica giornalistica“, al comma 1 stabilisce che “La pratica giornalistica deve svolgersi presso un quotidiano, o presso il servizio giornalistico della radio o della televisione, o presso un’agenzia quotidiana di stampa a diffusione nazionale e con almeno 4 giornalisti professionisti redattori ordinari, o presso un periodico a diffusione nazionale e con almeno 6 giornalisti professionisti redattori ordinari“.

Giovanni Mimmo non lascia spazio ad interpretazioni diverse, anzi va giù duro in alcuni passaggi della sua lettera.

“Il precedente art. 33 prevede al comma 1 che “Nel registro dei praticanti possono essere iscritti coloro che intendono avviarsi alla professione giornalistica e che abbiano compiuto almeno 18 anni di età. La domanda per l’iscrizione deve essere corredata dai documenti di cui ai numeri 1), 2) e 4) dell’articolo 31. Deve essere altresì corredata dalla dichiarazione del direttore comprovante l’effettivo inizio della pratica di cui all’articolo 34”.

Prima osservazione di sostanza: “A parere di questa Direzione generale, il complesso normativo sopra richiamato stabilisce in modo chiaro e univoco i requisiti e le modalità per l’iscrizione nel registro dei praticanti, ancorandola al riferimento diretto e ineludibile a una testata e un direttore responsabile. È certamente vero che nel testo dell’art. 34 della legge professionale siano contemplate nozioni, quali quella di “diffusione nazionale”, che rappresentano clausole generali, il cui contenuto non può che essere riempito di significato tramite un’attività ermeneutica svolta dai Consigli”.

A giudizio del Direttore Generale del Ministero di Grazia e Giustizia Giovanni Mimmo, “la delibera consiliare dell’8 novembre 2022, si è spinta ad aggiornare alcune modalità di accesso all’esame di Stato, sostanzialmente attribuendo agli ordini regionali la facoltà di consentire l’iscrizione con una “modalità eccezionale” nel registro dei praticanti a tutti quelli che riescono a dimostrare di avere esercitato per 6 mesi attività giornalistica retribuita”.

“Si tratta dunque -osserva il Ministero della Giustizia- di un intervento di contenuto normativo non consentito dal sistema ordinamentale, nel quale la legge istitutiva dell’ordine professionale ha predeterminato in modo compiuto e organico le modalità di iscrizione al registro dei praticanti in ragione di un periodo svolto presso una testata e con un direttore responsabile, senza delegare alcun potere normativo autonomo in capo al Consiglio nazionale che abbia attitudine derogatoria alle fonti primarie.

Traduciamo, secondo il Ministero che vigila sull’attività del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti lo stesso Consiglio non ha il potere di cambiare queste regole.

“Orbene, pur potendosi condividere l’esigenza palesata da codesto Consiglio di adeguare l’accesso alla professione alle profonde innovazioni che si sono verificate nel settore dell’editoria, preme tuttavia ribadire – scrive il Direttore Generale Giovanni Mimmo.  che si tratta di modifiche normative che non sono demandate alla potestà regolatoria dell’ordine, il quale, a legislazione primaria invariata, non può configurare una modalità di accesso al registro dei praticanti difforme e contrastante con il quadro normativo vigente, prescindendo dai parametri ritenuti necessari dal legislatore”.

Ma c’è anche dell’altro. Perché a questo si aggiunge il profilo della possibile discriminazione tra aspiranti giornalisti, “perché quella di prescindere dai criteri legali per l’iscrizione nel registro è stata configurata come una mera facoltà in capo agli ordini territoriali, con possibilità di riscontrare prassi difformi sul territorio nazionale, in pregiudizio del principio della certezza e dell’uniformità delle situazioni giuridiche”.

E’ chiaro, pare di capire, che la materia vada in qualche modo rivista alla luce di queste osservazioni, non a caso la lettera firmata da Giovanni Mimmo segna dei paletti molto rigidi: “Alla stregua di queste considerazioni, in definitiva, si invita il Consiglio nazionale a revisionare i criteri interpretativi deliberati in data 8 novembre 2022 nei termini sopra esplicitati, al fine di risultare coerenti con quanto disposto dagli art. 33 e 34 della legge professionale, nonché dell’art. 36 del regolamento attuativo”.

Alla luce di queste cose, e alla luce soprattutto delle ultime decisioni assunte nel frattempo in queste settimane dal Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti abbiamo prova che il Presidente Carlo Bartoli abbia risposto alle contestazioni del Direttore Generale Giovanni Mimmo, fornendo al Ministero i chiarimenti richiesti, chiarimenti che il Ministero ha giudicato oggi coerenti e convincenti, rimangiandosi però in sostanza tutto quello che il direttore Giovanni Mimmo aveva scritto a dicembre.

In data 17 marzo 2023 è sempre il Direttore Generale Giovanni Mimmo che scrive testualmente al Consiglio Nazionale dei Giornalisti: “Si rappresenta che, alla luce della disamina del testo trasmesso, appaiono superati i fattori di criticità evidenziati da questa Direzione generale con nota prot. DAG n. 244968.U del 5 dicembre 2022.

“Non si può non ammettere la singolarità di tutta la vicenda, a partire dal repentino ripensamento di via Arenula. A lasciare ancora più interdetti i consiglieri che hanno votato contro la delibera – scrive Giovanni Innamorati su Puntoeacapo, egli stesso Consigliere Nazionale – è stato l’annuncio che il Comitato per la riforma proseguirà come se nulla sia accaduto, come se l’indirizzo a cui esso stava lavorando non sia stato contraddetto dalla nuova interpretazione dell’articolo 34, in base al quale si può arrivare all’esame di Stato con la Terza media, senza aver mai lavorato spalla a spalla con altri giornalisti o aver letto neanche un manuale di deontologia”.

Carlo Bartoli naturalmente difende la sua proposta fino in fondo: “La professione giornalistica – avverte il Presidente del Consiglio Nazionale dell’Ordine  -è completamente cambiata, le modalità, i luoghi e i linguaggi sono completamente cambiati, e quindi occorre rimettere la legge al passo con i tempi: se questo non si fa, si rischia di morire per asfissia”.

Ma Bartoli va anche oltre questo principio generale di fondo, e riconosce con grande onestà intellettuale quello che invece ci saremmo aspettati dicesse il Ministero della Giustizia: “Occorre precisare che non è una riforma – sottolinea Carlo Bartoli -, ma è un provvedimento tampone, perché la riforma la deve fare il Parlamento e anzi, noi spingiamo da anni, da decenni, affinché lo faccia”.

Questo è il vero dato di fondo.

Urge dunque una legge, che cambi quella precedente, altrimenti tutto rischia di rimanere in alto mare. Solo così avremo davvero una riforma del praticantato. Altrimenti sono solo chiacchiere.

LETTERA DEL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA

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