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Cosa farà il governo su spese e tasse?

Le parole del ministro Giorgetti su imposte e spese commentate da Liturri.

C’è una sola cosa peggiore di nuove tasse: annunciarle in termini generici sui giornali. Soprattutto quando buona parte di questi ultimi – non proprio filogovernativi – sono in famelica attesa di fare a brandelli ragionamenti più articolati e fare il titolo della giornata.

Ieri il ministro Giancarlo Giorgetti è riuscito in questa tafazziana impresa, peraltro non proprio rara nello sciatto dibattito pubblico su temi così importanti. Ed allora sono bastate poche generiche parole «la manovra richiederà sacrifici da tutti» per far partire il tam tam dei titoli e mandare la Borsa in rosso del 1,5%.

Quando si parla di imposte e tasse c’è una regola di “igiene” del dibattito: non esistono i “si parla” e i “si dice”. Le norme prima si decidono nei dettagli, poi si pubblicano in Gazzetta Ufficiale e poi si spiegano.

L’incertezza è invece il male assoluto. Soprattutto quando la precisione delle parole è decisiva per comprendere il raggio d’azione di un’imposta. Perfino la posizione di una virgola può cambiare decine di milioni di gettito.

Invece lo stucchevole dibattito è partito con Giorgetti che ha discettato di «extraprofitti è un termine scorretto. Si deve parlare di tassare i giusti profitti, gli utili, calcolati in modo corretto», qualsiasi cosa, cioè nulla, voglia dire. È poi proseguito con le rituali prese di posizione del sottosegretario di turno (Federico Freni) «Non fanno parte del Dna di questo governo, lo abbiamo detto due anni fa e lo ribadiamo, evitiamo boutade». Infine è terminato, per modo di dire, con la “benedizione” del Ceo di Intesa San Paolo, Carlo Messina, «ci possono esser alcuni modi in cui contribuire alla situazione del debito pubblico senza avere impatti sui conti delle società” come ad esempio “lavorare sulle attività fiscali differite, fornire dei flussi di cassa al settore pubblico». Anche in questo caso, parole in libertà, perché, delle due, l’una: o le banche (come altre imprese) vengono incise dalle (maggiori) imposte e, simmetricamente, lo Stato migliora il suo deficit in modo strutturale e permanente, oppure non servono elemosine. Da via XX Settembre fortunatamente non hanno perso l’accesso ai mercati e possono sempre emettere titoli pubblici anziché ricevere “anticipi o acconti” dalle banche o da chicchessia.

Allora come si potrebbero spiegare le parole di Giorgetti? Non ci sentiamo di arrogarci il ruolo di esegeti del pensiero del ministro, ma parlano i numeri. Con il piano annunciato venerdì il deficit/Pil del 2025 dovrebbe andare al 3,3% rispetto al tendenziale del 2,9%. Circa 9-10 miliardi disponibili per fare cose (proroga del taglio del cuneo fiscale, Irpef a tre aliquote, politiche invariate, ecc…) che, a spanne, costano almeno 20 miliardi, se non di più. Allora, puramente e semplicemente, si dovrà tagliare qualche spesa o aumentare qualche entrate, per aumentare altre spese e tagliare altre entrate. Una redistribuzione che non potrà essere indolore ma che appartiene alla normale dinamica di un governo che vuole fare la sua politica di bilancio: una parte la finanzia in deficit, e su questo abbiamo già criticato l’eccessiva prudenza di Giorgetti, anche alla luce del caos che sta accadendo in Francia, e l’altra deve trovare copertura a parità di saldi complessivi di bilancio. Nulla di nuovo.

Il resto sono solo lanci di agenzia che durano il giusto.

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