Con il nuovo avvento di Donald Trump alla Casa Bianca, oltre a questioni note come l’incrinamento del rapporto con l’Europa o le negoziazioni con la Russia, stanno avvenendo altre scosse nelle relazioni internazionali. Una riguarda l’estremo Oriente, in particolare il Giappone. Tokyo, infatti, sembra voler reagire alla minaccia di dazi mandando segnali diretti a Washington, dicendosi pronta a rafforzare il dialogo con la Cina.
L’ASSE TRA CINA, GIAPPONE E COREA DEL SUD ANTI TRUMP
Domenica 30 marzo i ministri del Commercio di Cina, Giappone e Corea del Sud si sono ritrovati a Seul per un incontro dal significato profondo. Intanto perché un vertice simile non avveniva dal 2019. E poi perché è arrivato alla vigilia dell’entrata in vigore dei dazi reciproci annunciati da Trump. In una dichiarazione congiunta, i tre ministri hanno concordato di “collaborare strettamente per colloqui globali e di alto livello” per raggiungere un accordo di libero scambio tra Pechino, Tokyo e Seul e per “promuovere il commercio regionale e globale”.
I colloqui per un accordo di libero scambio tra i tre paesi vanno avanti dal 2012 con alti e bassi, ma di progressi veri e propri non ce ne sono stati. L’adozione dei dazi da parte statunitense potrebbe accelerare il processo e un avvicinamento di Corea e Giappone alla Cina. Anche perché, dopo il Messico sono proprio Corea del Sud e Giappone i paesi che esportano maggiormente auto negli Usa, quindi l’annuncio fatto da Trump delle tariffe del 25% sulle importazioni di veicoli sarebbe un colpo pesante per i due paesi orientali. La prossima riunione dei ministri si terrà in Giappone e se andranno avanti colloqui simili – così come i dazi – sarà chiaro che non si tratta solo di un avvertimento nei confronti di Washington, ma di un vero cambio di approccio.
LA RISPOSTA COMUNE AI DAZI AMERICANI?
Tanto più che poche ore dopo sono spuntate indiscrezioni, provenienti dalla Cina, di una potenziale intesa tra Pechino, Seul e Tokyo per rispondere in maniera congiunta e univoca ai dazi statunitensi. Un’ipotesi frenata per adesso sia dalla Corea sia dal Giappone, che hanno rimandato diplomaticamente alla dichiarazione congiunta dell’incontro ministeriale. Sembrano ancora una volta tattiche per avvisare gli Stati Uniti.
“Se confermata, la notizia di una risposta comune ai dazi da parte di Cina, Corea del Sud e Giappone (risposta gradita a Pechino), mostra quanto sia importante la dimensione e la filiera regionale del commercio, al di là delle antipatie politiche”, ha commentato l’analista ed esperto Alessandro Aresu sul suo profilo X.
GLI INTRECCI AZIENDALI E COMMERCIALI TRA USA E GIAPPONE
La questione dei dazi si inserisce in un periodo particolare per gli intrecci commerciali e industriali tra Usa e Giappone. Pochi giorni fa, è stata annunciata l’acquisizione dell’azienda statunitense di semiconduttori Ampere Computing da parte della holding giapponese SoftBank. Un affare da 6,5 miliardi di dollari. SoftBank ha un peso importante per gli Usa, visto che presiede la joint venture con OpenAi e Oracle per il progetto Stargate sulle infrastrutture per l’intelligenza artificiale. Un progetto che prevede investimenti iniziali per 100 miliardi di dollari e potrebbe arrivare a 500 miliardi, anche se ci sono alcuni dubbi sulla reale portata del progetto. Tra l’altro sarà proprio Oracle a cedere a SoftBank le sue quote di Ampere, che rimarrà in California ma agirà come una sussidiaria della holding giapponese.
Washington ha accolto positivamente l’investimento di SoftBank. L’opposto di quanto accaduto con Nippon Steel, il più grande produttore di acciaio giapponese, che da anni ormai sta provando ad acquisire l’americana U.S. Steel. Un affare su cui l’amministrazione di Joe Biden si era opposta per ragioni di sicurezza nazionale, scontrandosi con entrambe le aziende, favorevoli all’accordo. Con Trump la situazione è cambiata, ma non troppo. A febbraio il presidente Usa aveva annunciato che Nippon Steel avrebbe cambiato la sua offerta di acquisto della U.S. Steel da 14,9 miliardi di dollari in una sorta di investimento all’interno dell’azienda statunitense. Ora, secondo alcune indiscrezioni, le due società starebbero negoziando ancora per convincere gli Usa a firmare un accordo di acquisto. Garantendo ancor più investimenti miliardari per modernizzare gli stabilimenti della U.S. Steel.
LA VISITA DI HEGSETH IN GIAPPONE E LA PARTNERSHIP SULLA DIFESA
Se sul commercio, anche per ragioni geografiche, il Giappone cerca comunque soluzioni alternative. E in alcuni casi più locali alle iniziative aggressive trumpiane, in altri settori non sembra voler o poter allontanarsi dagli Stati Uniti. D’altronde è il suo più importante partner fin da dopo la Seconda guerra mondiale. Domenica, quasi in contemporanea con il vertice dei tre ministri orientali a Seul, è volato in Giappone il segretario alla Difesa Pete Hegseth per incontrare il suo omologo giapponese Gen Nakatani. I due hanno discusso su come consolidare l’alleanza tra Washington e Tokyo in materia di difesa, per contrastare “l’espansionismo della Cina nella regione dell’Asia-Pacifico”.
Hegseth ha definito il Giappone un “partner indispensabile” e ha annunciato il potenziamento della presenza militare americano nel paese. Il comando delle Us Forces Japan dovrà diventare un “quartier generale per la guerra”. Per rafforzare le capacità delle truppe statunitensi di stanza in Giappone e una loro integrazione operativa con l’esercito giapponese. Non si prevede però un aumento dei soldati americani, attualmente circa 50mila, ma una loro riorganizzazione. Gli Stati Uniti, nell’interesse di mantenere alta l’attenzione nell’Indo-Pacifico in chiave anticinese, contano molto sul legame securitario con il Giappone.