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Perché il governo dovrebbe rendere facoltativa la Gestione separata dell’Inps

L'intervento di Enrico Bertholet.

 

Questa relazione prende in esame, dal punto di vista previdenziale, una platea particolare di lavoratori autonomi che, se compresa nella sua essenzialità e nella sua forza per gli argomenti ivi rappresentati, potrebbe essere una grande occasione da cogliere per contribuire, in piccola parte, alla crescita dell’Italia.

È questo il periodo e il governo giusto perché qualcuno si faccia carico di presentare un emendamento o un disegno di legge, (il metodo valutato più adatto alla bisogna) costruito in modo tale rendere non obbligatoria ma facoltativa l’appartenenza o meno alla “Gestione separata” dell’INPS.

Il progetto europeo del PNRR porterà all’Italia disponibilità finanziaria che dovrà essere destinata a progetti rivolti alla crescita del paese e soggetta all’approvazione di riforme impegnative. Per le riforme ci pensa il governo e sono le istituzioni che devono garantire che i fondi ricevuti vadano i n direzione d’impieghi produttivi di crescita.

Tra questi indirizzi ci sembra che la proposta messa in evidenza in questa relazione, vada nella direzione auspicata nel PNRR.

Le ragioni a sostegno della tesi sopra enunciata sono fondamentalmente le seguenti:

1) l’emendamento, inserito nei modi e nelle forme che saranno giudicate le più opportune, è a costo zero per lo Stato

2) lo Stato sarebbe percettore d’imposte, che comunque mai potrebbe disporre per la tendenza del lavoratore percettore di pensione , a non attivarsi, pur potendolo fare per  proprie condizioni di salute eccellenti. Per proseguire la propria attività o aprirne di nuove, il lavoratore deve essere sollevato dall’onere di sottoporre eventuali redditi conseguiti al carico fiscale previdenziale previsto dalla “gestione separata”.

Facciamo il caso di un lavoratore autonomo che, raggiunta l’età della pensione, desideri continuare nella sua attività non essendo pronto per andare in vacanza e godersi in pace le condizioni di felice pensionato perché dotato ancora di forza creativa e produttiva. Detto lavoratore potrebbe trovarsi di fronte a ostacoli tali da metterlo in condizioni di rifiutare all’istante l’idea di continuare a lavorare. Tanti di questi lavoratori si sentono ancora in grado di continuare a lavorare e di contribuire con la propria iniziativa a far crescere il paese. C’è però un grosso ostacolo alla realizzazione di questa ipotesi e cioè: il lavoratore dispone di una pensione più o meno interessante soggetta ad aliquota fiscale come tutti i redditi imponibili. Se si dovesse mettere nelle condizioni di produrre reddito che si aggiungesse alle entrate della pensione, il meccanismo in atto per la tassazione dei redditi, farebbe scattare aliquote progressive tali da rendere il lavoratore in dubbio se dedicare tempo fatica e impegno al lavoro per raccogliere solo briciole. Inoltre ,cosa più grave e  importante, oltre al cumulo che potrebbe aumentare il carico fiscale sui redditi, dovrebbe continuare a versare i contributi previdenziali a norma della “gestione separata “.

Ecco che la libertà di scegliere, dopo i 75 anni, se restare o no nella “gestione separata” potrebbe indurre un buon numero di lavoratori a scegliere di continuare la propria attività con ricadute fiscali a favore dello Stato. La nuova platea di redditi imponibili che lo Stato avrebbe a disposizione potrebbe portare risorse allo Stato diversamente irraggiungibili!

Si chiede a questo punto di fare uno sforzo di disponibilità intellettuale, scevro da ogni implicazione ideologica, e valutare con attenzione il divenire della presente proposta!

1) Questi presunti lavoratori non creerebbero alcuno scompiglio sul mercato  del lavoro perché l’iniziativa dipenderebbe solo dalla loro volontà e l’eventuale lavoro derivante non avrebbe alcuna possibilità d’esistere senza di loro! L’attività esercitata non inciderebbe minimamente sulle dinamiche del lavoro dipendente ma anzi lo favorirebbe creando nuove opportunità di lavoro nel senso sociale della parola.

2) Un altro mito da sfatare, già enunciato sopra e ripetuto adesso, sarebbe quello della perdita di gettito che si generebbe nell’ipotesi di lasciare all’individuo la scelta di restare nella “gestione separata” o l’uscita dalla stessa.  Nel caso di specie non ci sarebbe gettito perduto perché il lavoratore autonomo non prenderebbe neanche in esame, come detto sopra, l’eventualità di dedicarsi alla continuazione di un’attività alla presenza di vincoli fiscali così elevati come quelli previsti dal regime fiscale in essere.

Il gettito non ci sarebbe per mancanza di reddito imponibile. Nel caso invece contrario, cioè di concessione di scelta tra due regimi fiscali, lo Stato avrebbe solo da guadagnare perché la platea di reddito imponibile generato aumenterebbe in base alla determinazione e voglia del soggetto lavoratore autonomo che, nel caso sopra descritto,  eliminando il gettito previdenziale, si sentirebbe non più gravato da vincoli fiscali a lui non graditi ( ma per quale ragione dovrebbe versare i contributi previdenziali se non ha la certezza di andare avanti negli anni per periodi lunghi  tali da godere della pensione che detti contributi dovrebbero riconoscere al termine  della vita da pensionato?). A questo punto sarebbe capace di dedicarsi con voglia alla continuazione della propria attività o di aprirne di nuove!

Pensate che il lavoratore sia sicuro di continuare a lavorare sino agli  80-90-100 e passa anni, sempre che la salute lo preservi, per raggiungere una soglia di versamenti contributivi ,previsti dalla “gestione separata”,? Questi contributi dovrebbero  garantirgli una pensione con la quale, dopo i 30/35, dai suoi 75  anni, di versamenti, potrebbe andare alla Maldives a divertirsi e godere finalmente dei frutti della propria pensione. Vi sembra questa un ipotesi sostenibile?

Grazie per l’attenzione!

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